L’aveva promesso Dave Grohl che dopo la pausa di un paio d’anni avremmo risentito parlare in modo massiccio dei Foo Fighters. Il periodo di pausa, che aveva persino allarmato i molti fan, è servito invece a far nascere quello che probabilmente è il loro lavoro più ambizioso: Sonic Highways. Eccolo raccontato dallo stesso ex Nirvana.
Parto subito con una domanda a bruciapelo: dopo vent’anni e otto dischi, Sonic Highways è il vostro progetto più ambizioso di sempre?
“Qualcuno l’ha detto. Francamente, non posso risponderti con estrema certezza, perché ogni volta in cui mi sono messo a pensare a quale sarebbe potuto essere il passo successivo, ho immaginato qualcosa se non di più ambizioso, almeno di diverso. Per diverso intendo soprattutto dal punto di vista della concezione dell’album, più che da quello prettamente musicale: credo che tutte le band che hanno significato qualcosa nella mia vita avessero un marchio di fabbrica ben preciso, che le rendeva riconoscibili anche nel momento in cui si muovevano su territori diversi dal proprio. Sonic Highways è il nostro tentativo di raccontare la musica del nostro paese attraverso sonorità, luoghi e persone che ne hanno segnato la storia. Anche In Your Honor era ambizioso, ma in modo differente.”
Eppure recentemente Billy Corgan ha detto di non apprezzare la vostra musica proprio per il fatto di non essersi mai evoluta dagli esordi…
“Sai com’è, siamo tutti liberi di dire e pensare qualsiasi cosa e non per questo il mio modo di intendere i Foo Fighters o le canzoni che scrivo cambierà in futuro. Ho grandissima stima per Billy e ci siamo anche visti diverse volte negli anni, quindi prendo il suo giudizio semplicemente come una questione di semplice gusto personale. Non ho messo in piedi una band per piacere a tutti, né tanto meno per piacere ai miei colleghi. La nostra musica non si è evoluta? Per certi versi posso pure essere d’accordo, nel senso che vedo un’estrema continuità tra quello che facevamo alla fine degli anni novanta e oggi. In questo momento però siamo molto più consapevoli e credo che sia la nostra storia a dire che qualche volta abbiamo anche osato. So che una delle ossessioni musicali di Corgan è non essere mai uguale a se stesso, magari quelle parole provengono da lì.”
La consapevolezza di cui parli è quella che forse ti mancava ai tempi dei Nirvana e a cui spesso fai riferimento?
“Solo in parte, direi. Sono tanti gli eventi della tua vita che possono aumentare la consapevolezza di quello che stai facendo o rischiare, al contrario, di non farti mai visualizzare bene la strada da seguire. Quando parlo delle mie fragilità ai tempi dei Nirvana va anche considerato il fatto che mi ritrovai catapultato in pochi mesi in una situazione in cui perdere il controllo era la cosa più semplice che potesse accadere. Kurt aveva avuto dubbi su ogni batterista entrato nella band dagli esordi, dunque pur ritenendomi un buon musicista, quella situazione creava davvero molte tensioni e pressioni interiori. Mettici che poi lui era in grado di farti sentire completamente a tuo agio e poco dopo la persona più inadeguata nella stanza, quindi puoi capire cosa intendo quando dico di aver messo in discussione tutto me stesso. In particolare durante le session di In Utero.”
Per come è stato concepito, Sonic Highways non può essere messo in paragone con nessuno dei vostri album precedenti. Eppure ho la sensazione che in troppi l’abbiano fatto. Ti sei chiesto perché?
“E dire che mi sembrava così scontato che si trattasse di qualcosa di completamente inedito per noi. Infatti mesi fa dichiarai che stavamo registrando un album in un modo che mai nessuno aveva provato ad utilizzare, se non altro perché non si trattava certo di un metodo di lavoro economico e pratico (ride, ndr). Avevamo bisogno di riconnetterci alle origini musicali del nostro paese, di suonare insieme a gente che quella musica l’aveva respirata e segnata indelebilmente: Sonic Highways non è altro che un grande omaggio a tutto questo. Cambiare continuamente città, cultura e studi di registrazione è stato come andare a Disneyland quando eravamo dei bambini, in studio sembravamo dei ragazzini idioti che impazzivano per ogni minimo input che quei luoghi ci davano. Se me l’avessi chiesto a vent’anni, quando ascoltavo solo hardcore, ti avrei forse mandato al diavolo se mi avessi detto che avrei fatto un disco cambiando otto studi di registrazione.”
Però la maggior parte dei giudizi parte proprio dal paragone con Wasting Light!
“Infatti la ritengo una cosa folle, o per lo meno una cosa che denota la poca attenzione con cui molti si accostano alla musica e al processo creativo in generale. È assurdo paragonare due progetti così differenti solo per il fatto che provengano dalla stessa band. Dal punto di vista musicale, per esempio, Sonic Highways risulta inevitabilmente meno omogeneo, perché quella è proprio una caratterista legata all’idea da cui tutto nasce: come può essere omogeneo un lavoro in cui il gruppo si è lasciato ispirare dalle sonorità e dalla cultura musicale di otto città differenti (ride, ndr)? Ma questo è qualcosa con cui si deve fare i conti quando si pubblica un album…Se avessimo ricalcato Wasting Light avrebbero detto che una volta trovata la via non volevamo più lasciarla! Pensa cosa avrebbe detto Corgan (ride, ndr).”
Mentre in realtà credo che l’unico paragone possibile possa essere fatto con Sound City…
“Sì, infatti ho detto fin dall’inizio che, pur essendo un progetto per certi versi differente da quello e dunque Foo Fighters al cento per cento, l’ispirazione per il nuovo progetto discografico nasceva proprio da lì. Tanto è vero che in qualche modo è nata prima l’idea della serie televisiva e poi l’album, che di fatto ne è praticamente la colonna sonora. Il successo di Sound City non era qualcosa di necessario affinché mi rendessi conto che quel tipo di lavoro mi piaceva davvero tanto: la svolta è stata rendermi conto che le immagini del documentario potevano fondersi con le canzoni scritte per esso e viceversa. In quell’istante ho compreso che avrei potuto fare emozionare chi guardava ogni singola puntata grazie a canzoni che ne sottolineassero gli elementi fondamentali.”
Hai rimpianto un po’ il fatto di aver utilizzato Bob Mould sull’album precedente e non in un’occasione come questa dove avresti potuto omaggiare la sua musica?
“(Ride, ndr) non ci avevo pensato prima, ma ora che hai aperto la questione sono già pieno di rimorsi. Non ho mai fatto mistero del fatto che non ci sarebbe stato nemmeno un disco dei Foo Fighters senza l’intera produzione degli Hüsker Dü, quindi il timore più grande che avevo la prima volta in cui ho incontrato Bob era che mi prendesse a botte per avergli scippato metà del canzoniere. Detto ciò, col tempo siamo diventati buoni amici e abbiamo iniziato anche a suonare sugli stessi palchi, cosa che probabilmente avrebbe fatto felice anche Kurt. In realtà non ho alcun tipo di rimpianto per il semplice fatto che il brano che abbiamo composto insieme per Wasting Light mi ha fatto realizzare due sogni contemporaneamente: quello di omaggiarlo e allo stesso tempo di produrre qualcosa insieme a lui. Ancora oggi credo sia una delle canzoni più belle della mia carriera.”
Invece l’idea di risuonare il primo disco da dove nasce? Non hai paura di un certo tipo di operazioni?
“A dire il vero ne ho molta paura, anche perché un album resta nell’immaginario della gente per come ha imparato ad amarlo e non lo ama certo di più una volta rimasterizzato o addirittura risuonato. Però c’è un cruccio che mi porto dietro da sempre nei confronti di quel disco, cioè la sensazione che quelle canzoni suonate dalla band di oggi e non solo dal sottoscritto avrebbero avuto tutto un altro impatto sonoro. Questa cosa mi torna in mente ogni volta in cui prendo in mano quel disco e questa volta ero davvero convinto di voler festeggiare i vent’anni della band con un’operazione di quel tipo. È stato Taylor (Hawkins, ndr) a convincermi del fatto che potesse essere una stronzata, ridondante e fine a se stessa, pur avendo capito bene le motivazioni dietro a quella proposta.”
La sensazione è che, pur essendo americano, tu possa essere in grado di imbastire un progetto simile a questo ma nel Regno Unito: pensa a quanti studi…
“E pensa a quanti artisti che amo! Ma sai che potrebbe anche non essere un’idea da buttare? Potrei esportare il progetto in altri paesi del mondo (ride, ndr). L’Inghilterra musicale resta ancora qualcosa di inspiegabile e la cui importanza sulla cultura americana ancora non è stata scritta per bene. Penso ai Motörhead del mio amico Lemmy, a Brian May e Roger Taylor, a David Bowie: solo pensare a qualcosa di questo tipo ai Trident Studios mi mette i brividi su tutto il corpo. Tra l’altro potrei chiedere a Bowie di utilizzare il brano che abbiamo composto insieme, ma che non ha ancora visto la luce. Sai che più ci penso e più credo che sarebbe una cosa da fare senza nemmeno pensarci? Inizio subito a fare qualche telefonata…”