Ogni anno, più o meno in questo periodo, Jimmy Page rilascia una dichiarazione in cui sostiene di avere inciso moltissima musica e di essere pronto a tornare a suonare dal vivo. Da un paio d’anni a questa parte, nessuno crede più alle sue parole. Da un certo punto di vista, Page può essere considerato il più grande talento sprecato degli ultimi trent’anni. Dalla fine dell’avventura dei Led Zeppelin in poi, infatti, del seminale chitarrista che aveva cambiato per sempre gli anni settanta ed il modo di concepire la musica rock non sono rimaste che poche e sporadiche testimonianze discografiche. Considerata la prolificità con cui si era fatto conoscere al mondo e la quantità quasi soprannaturale di band in cui aveva militato da turnista prima di formare il Dirigibile, il suo comportamento post Zeppelin pare davvero incoerente o, più probabilmente, addirittura patologico. Mi spiego. La sensazione è che Page non si sia mai ripreso dalla fine così drammatica della propria creatura, nata dalle ceneri degli Yardbirds e conclusasi improvvisamente con la morte di John Bonham e che nelle poche uscite discografiche degli anni ottanta e novanta abbia sempre cercato qualche surrogato di ciò che aveva smarrito. Se infatti, pur con gli stessi problemi, il suo fratello di sangue Robert Plant aveva ripreso immediatamente la propria carriera discografica (rinnegando inizialmente il proprio passato), il creatore del riff di “Whole Lotta Love” ne era invece rimasto prigioniero e probabilmente, superate le settanta primavere, ancora fa fatica a svincolarsi da un mito così ingombrante. Come spiegare altrimenti un comportamento così singolare? Svogliatezza? Appagamento? Difficile crederci dopo che tra la fine dei sixties e quella del decennio successivo almeno dieci album portavano il suo nome tra i crediti di copertina. Più facile la strada del rimpianto perenne o, comunque, della nostalgia per tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato. In quest’ottica, la reunion di pochi anni fa era riuscita a riaccendere in lui quel fuoco mai spento, ma il successivo rifiuto di Plant di far ripartire lo Zeppelin rappresentò il colpo di grazia finale. Che fare allora? Dopo aver provato a trovare un sostituto credibile (anche John Paul Jones e Jason Bonham si erano dichiarati disponibili), a Jimmy non restò che tornare in studio e rimettere mano agli archivi della band. Tuttavia, siamo pronti a scommettere che i due anni impiegati a confezionare le deluxe edition di tutta la discografia del gruppo, non abbiano colmato quel vuoto interiore che Page si porta dietro dalla morte dell’amico Bonzo.
Vivere All’Ombra Dello Zeppelin
25 Ottobre 2015
Articoli
Giornalista musicale con esperienza decennale, Luca Garrò scrive o ha scritto per alcune delle riviste musicali più note del nostro paese, da Rolling Stone a Jam, passando per Rockstar, Rocksound, Onstage e Classic Rock, oltre ad essere uno dei fondatori del magazine online Outune.net. Appassionato di classic rock fin dall'infanzia, ha scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati, tre libri per Hoepli (Freddie Mercury, David Bowie e Jimmy Page & Robert Plant) e sta curando una biografia su Brian May per Tsunami. Per cinque anni è stato tra i curatori del Dizionario del Pop Rock Zanichelli.
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