Che a Francesco Renga non siano mai piaciute le cose semplici, lo si era capito da moltissimi anni a questa parte. Che però volesse esagerare al punto da tirare fuori dal cilindro un album così particolare, era davvero difficile da immaginare. Quel che è certo è che noi apprezziamo chi lascia la strada più comoda per affrontare nuovi percorsi e, ad essere sinceri, l’opera ci piace assai. Abbiamo parlato con Francesco (disponibile e simpaticissimo) della sua nuova avventura e del suo futuro nella musica.
Parli da anni di un progetto del genere, ce ne hai messo di tempo per deciderti…
Effettivamente diciamo che vent’anni sono un bel lasso di tempo (ride), ma devi pensare che per tutto questo periodo mi sono dedicato prima ai Timoria e poi al mio percorso da cantautore. Ora finalmente, anche forse per una questione di età, ho finalmente voluto tornare su quel progetto. Un progetto dove la voce ricopre il ruolo più importante, dove torna finalmente ad essere la cosa più importante del disco.
Quindi per far tornare la voce in primo piano hai deciso di tornare puro interprete?
Esattamente. Dopo l’episodio di “Pugni Chiusi” di inizio carriera ho voluto replicare e tornare sul luogo del delitto. Quelle che ho scelto sono canzoni che sentivo cantare a mia madre quando ero piccolo o che mi hanno accompagnato durante la crescita. Canzoni belle, di un periodo fantastico per la musica del nostro paese, quando avevamo grande importanza nel mondo.
Si tratta di un lavoro rischioso, che forse può avere più chance all’estero che in Italia.
E’ un disco pensato con una netta vocazione internazionale. Una delle cose che più mi ha dato soddisfazione è stato proprio il fatto di rischiare, oltre al fatto di potermi reinventare completamente. È molto accattivante e stimolante potermi presentare di fronte ad un pubblico che non ha preconcetti, come se fossi un fanciullo tornato vergine che non si deve confrontare con quello che ho fatto nel corso della sua carriera. Inoltre in un periodo come questo per la discografia mondiale, i rischi sono amplificati.
Deriva quindi da questo l’idea di fare date prevalentemente all’estero?
Be’, indubbiamente si tratta del pubblico più avvezzo ad operazioni del genere. Non escludo però di poter presentare lo spettacolo anche in Italia, ma prima di certo lo porterò solo fuori.
Tornando all’album, è azzardato considerare questo lavoro il più intimo e autobiografico della tua carriera?
No, anzi. Paradossalmente, pur essendo un album di sole cover, è davvero uno degli album che più sento vicini alla mia personalità in assoluto. Essendo pezzi scelti secondo la mia sensibilità, mi descrivono completamente e creano una sorta di percorso di vita molto veritiero. Come noterai non ci sono pezzi famosissimi come “O Sole Mio” o “Il Mondo” di Jimmy Fontana perché non era quello l’intento dell’album.
In Italia difficilmente si è sentito un prodotto del genere, parlo anche a livello di arrangiamenti e produzione.
Credo moltissimo in questo progetto e mi permetto di aggiungere che al mondo in questo momento non esiste nulla di simile. E’ innovativo e fresco pur trattando canzoni molto vecchie. Lo ascoltavo prima in macchina e ha una resa davvero straordinaria. Non si tratta del solito disco con l’orchestra in cui davanti al muro del suono dato dagli elementi si pone la voce come elemento a se stante, ma di qualcosa di amalgamato alla perfezione.
In quest’ottica è stato preziosissimo il lavoro di Celso Valli.
Celso è un genio. E’ stato felicissimo di lavorare con me al progetto perché ha detto che aspettava questo momento da quando ha iniziato a lavorare. Ora finalmente ha trovato il pazzo che ha deciso di farlo! Le melodie sono nate tutte dal suo lavoro, mi telefonava giorno e notte e mi raccontava a parole quello che avrebbe voluto fare. Se mi avesse fatto vedere degli spartiti non avrei capito assolutamente nulla, ma così ha funzionato benissimo (ride). Poi io sono riuscito a fregare Universal Muisc e ora vediamo cosa ne verrà fuori!!
Un’ultima cosa. Tu non hai mai negato di continuare a studiare anche ora. Che ruolo ha ricoperto Demetrio Stratos e i suoi studi sulla voce nel tuo percorso musicale?
Credo che Demetrio debba ricoprire il ruolo più importante nel percorso di qualsiasi cantante. E’ il più grande maestro che la nostra musica abbia avuto. Non è un caso che l’idea di questo album parta proprio da quella “Pugni Chiusi” da cui è iniziata anche la mia avventura. Vorrei aggiungere che alla sua figura si affianca quella di un altro interprete immenso, Mario Del Monaco. Due voci molto differenti per certi versi, ma così vicine come orizzonti. Da vent’anni studio ogni giorno, cerco di capire i miei limiti e le mie possibilità . Mi ha sempre affascinato più questo aspetto che quello della composizione dei brani. In un certo periodo della mia vita ho anche provato ad imparare a suonare la chitarra o il pianoforte, ma facevo ridere i polli. Poi ho capito che lo “strumento voce” aveva pari dignità.