A due anni esatti dall’ultimo disco, gli Hardcore Superstar tornano a deliziare gli amanti dello sleaze rock scandinavo con un lavoro che lascerà basiti molti fan: un ritorno inaspettato alle loro origini, per stupire tanto chi li conosce, quanto chi li scopre solo oggi. Un gentilissimo Joke Berg ci ha spiegato perché HCSS sia così importante per la band.
Quando ormai sembrava che aveste trovato la formula perfetta per un disco degli Hardcore Superstar, tirate fuori dal cilindro un lavoro spiazzante come HCSS!
“Oh sì, non puoi capire quanto siamo eccitati all’idea di stupire chi metterà il disco nel proprio stereo, anzi chi lo sentirà sul proprio pc, visto che sono rimasto l’ultimo a parlare di stereo al mondo (ride, ndr). In realtà qualche nuova idea era già nata, ma nulla che potesse fare da traino e dare quell’entusiasmo che poi ti porta a scrivere venti pezzi in una settimana. In genere c’è un pezzo che poi si porta dietro tutti gli altri e intorno a cui gira un po’ tutto l’album: non è per forza di cose un singolo, anzi in genere non lo è proprio, ma diventa subito uno dei favoriti della gente. Ci è sempre successo. Questa volta invece la scintilla è scoccata in maniera completamente diversa, stupendo persino noi…”
Mi pare di aver capito che sia arrivata dritta dal vostro passato…
“Proprio così! Un fan ha avvicinato il nostro bassista dopo un concerto e gli ha regalato un demo che registrammo nel 1994: non puoi capire che effetto ci abbia fatto risentire quelle tracce, soprattutto perché alcune ci sono sembrate terribilmente attuali. Così, nel momento in cui abbiamo ricominciato a pensare ad una nuova uscita, il pensiero è andato subito a quel nastro, le cui canzoni hanno rappresentato il classico faro in un momento di temporaneo buio. Abbiamo quindi deciso di registrare nuovamente tre di quelle tracce, di cui però almeno per ora non vogliamo dire quali, componendone poi altre sette che hanno finito per risentire pesantemente di quel mood. Insomma, Hardcore Superstar al cento per cento, però quelli di vent’anni fa (ride, ndr)!”
Ok, non vuoi dirci quali sono i nuovi brani. Da parte mia però posso dirti che The Cemetery mi sembra un mix tra Clash e Ramones. Che ne dici?
“Dico che è assolutamente così e mi fa piacere che la cosa si colga così bene. Le strofe sono un chiarissimo omaggio alla band di Joe Strummer, mentre il ritornello potrebbe davvero essere preso da un brano dei Ramones, se poi pensi che un loro celeberrimo brano aveva la parola cemetery all’interno (Pet Cemetery, ndr). Siamo dei grandissimi fan di entrambe le band e del punk in generale. Io personalmente adoro quel periodo di transizione tra punk e metal di cui credo Lemmy sia riuscito ad incarnare l’essenza perfetta. Non a caso tra Ramones e Motörhead ci furono diversi scambi di favore negli anni. Inoltre, da questo punto di vista, credo che gli album degli Iron Maiden con Paul DiAnno siano stupefacenti: l’attitudine do it yourself era ancora palpabilissima.”
Già con No Regrets avevate omaggiato un certo tipo di ascolti, ma non andò benissimo. Non avete avuto paura di rischiare nuovamente?
“Dei rimpianti (regrets, ndr) per quel disco ne abbiamo una valanga, anche perché credo venne davvero gestito male dalla nostra casa discografica di allora. Volevamo far vedere un altro lato della nostra personalità, quello forse meno legato allo street rock in cui venivamo chiaramente inseriti, ma mi rendo conto che non centrammo appieno l’obiettivo. La gente non ci riconobbe e, a distanza di anni, anch’io non ascolto più quelle tracce, né le ripropongo dal vivo. Questa volta è diverso, è impossibile non trovare la nostra anima, semplicemente abbiamo voluto osare un po’ di più e non accontentarci di replicare uno schema che forse ci aveva annoiato un po’.”
Un altro brano davvero spaziante è Touch The Sky. Così strano da sembrare paradossalmente quello cui gira intorno tutto il disco…
“Infatti è la canzone che dà il nome anche al tour che stiamo portando avanti in questo momento e che proseguirà nei prossimi mesi. Abbiamo voluto stupire tutti, chi ci conosce e chi sentirà per la prima volta il nostro nome. Anche questo per certi versi mi ricorda un po’ il sound dei Clash, quelli meno punk diciamo. È un brano molto strano, con un tempo stranissimo e che, se ascoltata sul disco, fa pensare di essere di fronte ad un’altra band (ride, ndr). Il disco è infatti mediamente molto tirato, forse con meno attenzione ai ritornelli che ti restano in testa immediatamente, proprio quello che aveva in testa all’epoca. Anche l’artwork si rifà un po’ a quell’estetica un po’ alla Misfits che amavamo alla follia. Dopo anni di colori cupi, abbiamo riempito il disco di immagini sgargianti.”
Penso che il lavoro più difficile sia toccato a Vic Zino, che non era nella band ai tempi e che è quello che forse vi ha portato su lidi più metal al momento del suo arrivo.
“Vic è un musicista straordinario e credo che se siamo ancora in giro a questi livelli il merito sia anche suo. L’addio di Silver fu un terribile colpo: era cresciuto con noi e resta un grande amico. Il suo chitarrismo era debitore degli insegnamenti di band come gli Hanoi Rocks, che nelle nostre terre sono ancora una sorta di divinità. Il sound di Vic è più pesante, anche se ha una capacità di creare riff che mi è capitato poche volte nella vita di incontrare. Inoltre ha una cultura musicale vastissima, che gli permette di spaziare da un genere all’altro senza grossi problemi. Tutto questo per dirti che non ha faticato più di tanto a cambiare qualcosa nel suo modo di suonare, anzi si è divertito davvero tanto.”
In ogni caso, non spaventiamo più di tanto i fan: un brano come Party ‘Till I’m Gone è un instant live classic!
“Quello è il classico pezzo che mettiamo al secondo posto nei nostri album. Abbiamo una tradizione lunghissima di brani ‘numero due’, da Bag On Your Head sul black album a Guestlist di Split Your Lips o Medicate Me su Dreamin’ In A Casket e tutti hanno la stessa peculiarità: dal vivo scatenano l’inferno! Credo che popolerà i nostri live per diversi anni e se ci hai fatto caso nelle ultime date abbiamo scelto di suonarla appena prima di Last Call For Alcohol, altro brano da cui ormai non possiamo più prescindere dal vivo. Quando l’abbiamo risentita in studio dopo averla registrata abbiamo capito subito che non avremmo potuto liberarcene tanto facilmente (ride, ndr).”
All’inizio dell’anno siete tornati in America dopo quasi dieci anni, un lasso di tempo che sembra incredibile per una band col vostro sound. Come è andata?
“Credo che suonare al Whisky A Go Go possa essere considerato il punto di arrivo assoluto per qualsiasi band e in particolare di una come gli Hardcore Superstar, che da sempre guarda con amore a tutto quello che è passato sul Sunset Strip negli ultimi trent’anni. Inoltre, pensare che mostri come Jim Morrison hanno calcato quel palco mette così tanti brividi che l’unica cosa che puoi fare è far finta che sia tutto uno scherzo. Il rischio è quello di andare fuori di testa. Essendo tantissimo che non sbarcavamo in America, abbiamo studiato la setlist in modo da non andare molto oltre Hardcore Superstar, senza dubbio il nostro best seller negli U.S.A.. Divertentissimo anche suonare insieme agli Steel Panther, dei geni totali (ride, ndr).
Cosa canta Joke Berg sotto la doccia?
“(Ride, ndr) Ultimamente mi sono fissato su Stand By Me di Ben E. King!”
Ma la versione originale o quella di John Lennon?
“Nessuna delle due, la mia è la versione che potrebbe incidere Bruce Dickinson: scream for me Ben E. King (ride, ndr)!