Intervistare una band come i Foo Fighters non è cosa di tutti i giorni. Il destino, talvolta, ti permette però di portare a casa qualcosa di inimmaginabile e non programmato, come questa chiacchierata avvenuta nei giorni del loro ritorno sulle scene dopo qualche anno. Ecco come sono andate le cose…
“Avevamo bisogno di fermarci, anzi a dirla tutta sentivo che dovevamo fermarci per dar modo al nostro pubblico di prendersi una pausa!” Con queste parole Dave Grohl motiva l’assenza forzata dalle scene dei Foo Fighters avvenuta dopo il super concerto a Wembley nel 2008. “Siamo stati su qualsiasi palco, media e radio per quindici anni, quasi forzatamente direi, era arrivato il momento di staccare la spina per ricaricare le pile.” Alla luce di “Wasting Light”, già ora uno dei dischi del 2011, possiamo dire che l’attesa è stata ripagata in pieno. Non solo Grohl, ma anche Taylor Hawkins e Nate Mendel hanno partecipato alle celebrazioni in occasione dell’apertura della mostra dei Queen Stormtroopers In Stilettos. Ed è proprio durante quel periodo, che casualmente coincideva anche con la notte degli NME Awards e del loro gig alla Wembley Arena, che abbiamo approfittato degli eventi per capire qualcosa di più dell’universo Foo Fighters.
Taylor Hawkins, altra vera colonna portante dei Foo Fighters, ci racconta di come, dal 2009 in poi, “Ci siamo dedicati ai progetti paralleli, io ho dato alle stampe il disco dei Coattail Riders, Chris si è concentrato sui Dead Peasants, Dave sui Them Crooked Vultures, Nate ha girato il mondo con i Sunny Day Real Estate. Ma proprio durante questo periodo sentivamo tutti la necessità di iniziare a pensare a quando ci saremmo ritrovati.”. Lo stesso Dave Grohl ha ammesso già nel 2009 e più di una volta che “nonostante mi trovassi in tour con la band dei miei sogni (i Them Crooked Vultures, con Josh Homme e John Paul Jones, ndr), non potevo fare a meno di sentire una voglia irrefrenabile di essere sul palco con la mia band il prima possibile. I Foo Fighters sono la mia famiglia, i miei amici, non sono solo un marchio e una band, sono molto di più.” Mendel ricorda come iniziò la strada verso la composizione di Wasting Light: “Una mattina mi trovo una mail sul pc di Dave (Grohl, ndr) che era un papiro, lunghissima, aveva già scritto lì dentro cosa sarebbe successo da lì ai prossimi mesi e c’era una vera e propria dichiarazione d’intenti su come avrebbe dovuto suonare il nostro nuovo disco.”
“Non ci sarebbero stati brani riempitivo, ballate o pezzi acustici – prosegue Grohl – questo album sarebbe stato fottutamente rock dall’inizio alla fine. In più avremmo registrato il tutto nel mio garage senza computer, pro tools e cazzate del genere. Ho detto chiaro a Butch (Vig, produttore) che se avessi visto un pc collegato a un microfono l’avrei licenziato all’istante (risate, ndr)”. Ed è possibile sentire in ogni pezzo di “Wasting Light” quella ruvidezza e quella necessità di suoni grezzi ed immediati a cui Grohl fa riferimento in più di un’occasione durante la chiacchierata. “Sapevo che Butch Vig è in grado di fare dischi rock monumentali. Lo ha fatto a partire da “Nevermind” in poi e il risultato finale è proprio quello che mi sarei aspettato.”
Inevitabilmente la discussione cade sulla contemporaneità di due eventi, solo apparentemente casuali: il ventennale di “Nevermind” appunto e l’uscita del lavoro migliore dei Foo Fighters da tempo immemorabile. Inoltre la curiosità si concentra sul brano “I Should Have Known” e sulla presenza di Krist Novoselic (ex bassista dei Nirvana) proprio su questo pezzo. Grohl taglia corto: “I Should Have Known non è dedicata a Kurt Cobain. Negli ultimi vent’anni ho perso più di un amico a cui ero legato. Chi se ne è andato tragicamente, chi in seguito a un’overdose, chi dopo essersi distrutto con l’alcol e via dicendo. Nella vita di ognuno di noi ci sono persone che vivono all’estremo e, inconsciamente, tu ti prepari alla loro fine perché sai che prima o poi potrà succedere. Certo, anche Kurt è incluso in questa cerchia, ma non ho necessariamente scritto il pezzo per lui.”
Ritrovarsi insieme al produttore dei Nirvana e al compagno d’avventura di quei tempi dev’essere stato emotivamente rilevante: “Sicuramente, la musica è stato un pretesto per ritrovarci tutti e tre insieme, uomini adulti, padri di famiglia che si siedono a bere whisky e vino, dopo aver registrato un pezzo insieme, senza alcuna volontà di celebrare eventi a vent’anni di distanza. È stata una cosa molto sentita ma anche molto naturale.”
Taylor invece ci racconta qualcosa in più riguardo al documentario che accompagna l’uscita di “Wasting Light” intitolato “Back And Forth”, che contiene la testimonianza dei primi sedici anni di carriera della band: “Onestamente ho fatto fatica a guardarlo, ci sono alcune parti che avrei preferito tenere per me. Certo, questa cosa è positiva, significa che interesserà molto ai nostri fans – Hawkins si riferisce alla sfiorata tragedia che lo ha visto protagonista in occasione dell’overdose che lo portò vicino alla morte nel 2001 – e mostrerà come i Foo Fighters non sono solo baci e abbracci ma un gruppo che nel corso degli anni e attraverso un sacco di alti e bassi è rimasto sempre unito e compatto, con la stessa voglia di fare musica che ci anima da quando iniziammo sedici anni fa.”
I Foo Fighters si esibiranno al Rock In Idrho il 15 giugno a Milano, un consiglio spassionato per chiunque stia leggendo queste righe: se ve li perdete siete dei pazzi.