Quarant’anni di carriera non sono poca roba e lo sguardo determinato di Piero Pelù sulla copertina dell’ultimo Pugili Fragili sembra essere lì a dimostrarlo. Se, da una parte, il tempo trascorso non ha scalfito nella forma fisica il rocker fiorentino (basti pensare all’esibizione spumeggiante di Sanremo), dall’altra le produzioni in studio non sono sempre state all’altezza di tale energia. Qualche dubbio si era già insinuato lo scorso ottobre, dopo l’ascolto di Picnic All’inferno, primo singolo estratto dal nuovo lavoro: di fatto un appello ecologista dove Pelù “duetta” con la giovane attivista Greta Thunberg, senza però convincere del tutto dal punto di vista musicale. Nonostante il lodevole messaggio, il brano non stupisce granché, ricordando da vicino gli stilemi di Bene bene male male del 2002. La cosa che più preoccupa è l’imbarbarimento delle liriche di Piero: versi come «l’uomo è l’animale più feroce sulla terra/siamo sempre in guerra», oppure «mangio plastica e cemento» ricordano da vicino gli appelli ecologisti anni ’80 di Celentano e, in qualche modo, sviliscono l’intento nobile della canzone. Una tendenza che era già emersa in più occasioni negli anni passati, come nel caso di Impossibile, brano scelto come apripista di Eutopia, ultima fatica targata Litfiba.
Non che questo mood valga per tutti i 34 minuti di ascolto. La title-track, per esempio, è una ballata splendida, epica ed evocativa. Altro episodio assolutamente convincente è l’energica cavalcata Fossi Foco in duetto con Andrea Appino degli Zen Circus, che riprende la celebre poesia di Cecco Angiolieri. Non sfigura nemmeno la nuova veste rock di Cuore Matto e la cosa non stupisce, visto che Pelù aveva già interpretato magistralmente Pugni Chiusi de I Ribelli all’inizio della sua carriera solista nel 2000. Uno dei picchi più alti dell’opera è sicuramente la leggera Nata Libera, che riprende atmosfere anni sessanta e restituisce un Pelù ispirato come non mai. A metà strada di questo discorso troviamo Gigante, dedicato al nipote, che con la sua formula elettro-pop non poteva che funzionare perfettamente a Sanremo. Bocciata invece la danzereccia Luna Nuda, lontana anni luce da qualsiasi cosa vorresti ascoltare in un disco a nome Piero Pelù. Di matrice opposta, ma comunque poco convincente, è il metal sparato di Ferro Caldo, in cui la ripetizione ossessiva del testo alla lunga annoia; cosa che vale anche per l’inno alla Musica di Stereo Santo, che perde il confronto con Dea Musica, brano del 2004 di ben altro spessore. Lascia l’amaro in bocca anche la conclusiva Canicola, denuncia al riscaldamento globale che ripropone una formula metal-mantra di sicuro impatto, ma povera di contenuto.
Quarant’anni di carriera musicale sono un fardello pesante da portare e qualche passo falso è inevitabile che ci sia. Questo non scalfisce in alcun modo quello che Piero Pelù ha dato alla musica italiana. Nel bene e nel male, l’immagine che rimane è quella di un pugile sempre in lotta.