A più di quindici anni dal debutto, i Darkness restano una delle band più genuinamente rock ‘n’ roll del panorama musicale britannico. Dotata di un senso dell’umorismo che li ha sempre portati a prendersi poco sul serio, la band dei fratelli Hawkins è stata in grado nel tempo di convincere anche i più scettici, convinti che si trattasse di un fenomeno passeggero. Easter Is Cancelled dimostra che la loro vena non sia ancora esaurita. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Frankie Poullain, bassista e perno fondamentale del sound della band.
Ciao Frankie, partiamo dall’aspetto più “controverso” del vostro nuovo album. Appena ho letto il titolo dell’opera, ho pensato: questa volta non verranno criticati solo da chi non ama la loro musica…
«Sai com’è, quando tiri in ballo Gesù sai già quello a cui vai incontro. Il fatto poi di annunciare mesi prima il titolo del disco, senza però spiegarne la genesi, il concept o anche solo qualche piccola informazione, non può che creare ancora più curiosità e indignazione. Detto questo, come avrai capito ascoltando l’album, Easter Is Cancelled è tutto fuorché l’opera di una band black metal, sia dal punto di vista musicale che da quello dei testi (ride, ndr). Anzi, se vogliamo è proprio l’opposto, visto che l’intera opera è invece basata sulla folle idea che Cristo su quella croce non ci sia proprio finito e da qui l’inevitabile cancellazione della Pasqua. Insomma, quello che avete tra le mani è un prodotto Darkness al cento per cento».
Infatti, da un certo punto di vista, sono rimasto deluso, sperando in qualcosa tipo: non avete bisogno che risorga il Signore, perché avete i Darkness. Mi aspettavo già i vostri dischi bruciati in piazza. Peccato.
«(Ride, ndr) Pensandoci, sarebbe stato altrettanto plausibile. Quando però prima di te è già passato uno come John Lennon capisci di avere poche chance per giocartela sullo stesso piano. A parte gli scherzi, credo che in tempi come questi nemmeno un messaggio di quel tipo avrebbe creato chissà quali scossoni mediatici. Anche perché bisogna essere realistici: chi potrebbe mai prendersela oggi per un commento su Cristo in un album rock? Ma poi su un nostro album. Se devo individuare una delle cose che più manca nella musica di oggi, credo sia davvero l’ironia. Ho sempre amato quelle band, per la verità non moltissime, che hanno saputo prendersi gioco di sé. E non intendo prendere poco sul serio la propria musica, ma darle meno serietà di chi crede di essere davvero una divinità. In questo senso, le parole di uno come Zappa sono ancora completamente incomprese».
Pubblicare un concept album in un momento storico come questo sembra davvero una follia. Tuttavia, da anni mi chiedevo quanto tempo sarebbe passato prima di ascoltarne uno a firma Darkness.
«Non sei la prima persona che me lo dice e questo mi fa molto piacere, perché significa che ci vedete innanzitutto come una band da album e non da singolo creato a tavolino per Spotify. In effetti, col passare degli anni, il nostro mondo di intendere la composizione musicale è mutato. Paradossalmente il primo album poteva sembrare una raccolta di brani fortissimi, ma sostanzialmente a se stanti. Dalla reunion in poi, forse complice un’età e una maturità differenti, abbiamo iniziato a lavorare maggiormente in termini di coesione tra brani. Chiaro che i singoli siano sempre stati una cosa molto importante, ma nel momento in cui la fruizione musicale ha iniziato a ragionare per singole canzoni, noi siamo andati fieramente all’opposto e un concept album non poteva che essere la naturale evoluzione di questo processo».
A tal proposito: sebbene sia noto che estrapolare un brano da un concept sia una pratica aberrante, qual è il brano che più di altri rappresenta Easter Is Cancelled?
«Invece no, credo che nel caso di questo disco sia tutt’altro che stupido parlare del pezzo cardine dell’opera. Non a caso, il pezzo in questione è proprio quello che abbiamo scelto come primo singolo, Rock And Roll Deserves To Die. Il tema della morte del rock ‘n’ roll rappresenta uno dei cardini di Easter Is Cancelled e quel brano, una vera mini opera all’interno dell’opera, è davvero perfetto per spiegarne il concetto. La cosa che da un concept non si possano togliere singoli, poi, l’ho sempre trovata un po’ pretenziosa e nemmeno sempre attinente al vero. È una cosa che dicono tutti, ma alla fine se pensi ai tanti album di questo tipo usciti nei decenni, molto spesso ti ricordi proprio i singoli. Se un pezzo è bello o comunque significativo ha il potere di funzionare a prescindere».
Qualche anno fa, durante un’intervista a Pistoia Blues, mi chiedesti quale fosse il mio disco preferito dei Darkness e io ti risposi, non senza un po’ di imbarazzo, che si trattava di One Way Ticket To Hell…(And Back). Ora voglio farti io la stessa domanda.
«Sì, ricordo quel momento. Eravamo sotto un gazebo nel backstage del festival. Gli altri ne approfittarono per prendermi pesantemente per il culo, ma solo perché sono dei coglioni. In realtà sanno tutti che quel disco è anche uno dei miei preferiti in assoluto, tanto che mi piacerebbe suonare più brani tratti da esso. La verità è che eravamo arrivati tutti a un punto di non ritorno dal punto di vista umano, ma quel disco venne nominato come il migliore dell’anno da Classic Rock UK, quindi non si trattava proprio di quella merda che nel tempo hanno voluto far credere. Certo, io non ci suonavo, ma ho l’onestà intellettuale per dirti che lo amo. Quindi, come vedi, la pensiamo esattamente nello stesso modo, anche se tu cercasti di mettermi in difficoltà (ride, ndr)».
Tra l’altro forse il disco dei Darkness maggiormente influenzato dai Queen. Anche se devo dire che brani come We Are The Guitar Men e soprattutto Deck Chair sono fortemente legati alla band di Freddie Mercury. Un retaggio di cui continuate ad andare fieri.
«Non abbiamo mai nascosto la nostra passione per i Queen e loro stessi hanno sempre parlato di noi come di una band di loro gradimento. Ci hanno sempre trattato come figliocci e il fatto che, a un certo punto del nostro cammino, Rufus sia finito per diventare il nostro batterista ha chiuso in qualche modo un cerchio iniziato diciannove anni fa. Sai, ai tempi di One Way Ticket il produttore era Roy Thomas Beker, quindi non poteva che uscirne un album del genere. Anche se concordo con te sul fatto che Deck Chair in particolare sia un brano assolutamente debitore dei Queen. Anzi, forse il maggiormente debitore della nostra discografia. Siamo tutti fan dei primi cinque o sei dischi del gruppo e quel pezzo è il nostro personale omaggio alla genialità di A Night At The Opera e A Day At The Races».
Mi sono sempre chiesto perché, prima dello scioglimento, la critica vi trattasse molto male, mentre dalla reunion in poi abbia cominciato a parlare di voi in termini entusiastici. Sai darmi una spiegazione?
«(Ride, ndr). È vero ed è una cosa di cui anche noi abbiamo più volte discusso nel tempo. Benché sia convinto che i nostri album post reunion possiedano una maturità impossibile da avere agli esordi, è indubbio che un disco come Permission To Land fosse uno dei pochissimi album fottutamente old school uscito a cavallo tra la fine degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio. Invece, molti critici ci presero quasi come dei buffoni. Non so bene perché poi, invece, hanno cominciato ad essere dalla nostra parte. Forse per quella sindrome da reunion che porta spesso ad acclamare le band che tornano in pista con la formazione originale o, meno probabile, perché si resero conto che forse non eravamo solo quattro cazzoni che volevano fare il verso agli idoli del rock classico».
Possiamo definire Easter Is Cancelled il vostro album più ambizioso di sempre?
«Puoi dirlo forte! È il disco più esagerato e folle che abbiamo mai composto. Ci siamo presi dei rischi, è vero, perché qualcuno potrebbe pensare che abbiamo perso in qualche modo il contatto con la realtà, ma volevamo fare il classico disco da ‘o diventiamo più grandi o ce ne torniamo a casa con la coda tra le gambe’. Come ti dicevo, l’idea di un concept o persino di un musical è qualcosa che gira nei nostri studi da diverso tempo e Easter Is Cancelled possiede elementi tipici di entrambi. È ambizioso, sì, ma allo stesso tempo abbiamo pensato fosse il momento della nostra carriera in cui poter osare qualcosa di più. Alla peggio ci scioglieremo ancora, tanto dopo la prima volta è tutto più facile (ride, ndr)».
In definitiva, come vedi il futuro del rock?
«Onestamente mi viene davvero difficile pensare a un futuro del rock. Non perché non creda nel potere di autorigenerarsi della musica, ma perché se davvero questo album non funzionasse e fossimo costretti a scioglierci, il mondo del rock subirebbe uno scossone così grande da rischiare il collasso. D’altra parte, tuttavia, crediamo così tanto nella Teoria del Multiverso che sicuramente, in qualche universo coesistente, i Darkness continuerebbero ad esistere e a perpetuare il loro messaggio universale».