Meno male che esiste quel dio del rock ‘n’ roll, rigorosamente con la “d” minuscola, che ogni tanto viene giù a menare sane sblerle che distolgono da quella cieca ottusità che la ripetizione di azioni sempre uguali riserva a ognuno di noi. Nell’universo parallelo progettato dai The Darkness Egli è incarnato da un nerboruto Gesù/Hawkins che in barba a qualsiasi tradizione spezza la croce mentre i suoi sodali ai suoi piedi picchiano a morte i legionari romani. Il settimo album dei The Darkness Easter Is Cancelled è esattamente questo: l’ingrediente rock n roll dei tre accordi che non ti aspetti e che riesce a cambiare la giornata. D’altro canto la precedente pubblicazione Live at Hammersmith metteva in luce una band veramente in forma che dal 2015, anno d’entrata in formazione di Rufus Taylor (sarà un caso) non sbaglia un disco: basti pensare al riff granitico di Solid Gold estratta dal precedente Pinewood Smile o la ultra queeniana Japanese Prisoner of Love per capire l’orizzonte del quale si sta parlando.
La Pasqua è stata abolita e dunque non c’è spazio per alcuna crocefissione e quindi nessuna morte, basta affliggersi piangendo sotto una croce bisogna fare largo a una speranza ottimista per il mondo. Ecco in poche parole riassunto il testo de la title track Easter Is Cancelled che sfodera un riff furioso al fulmicotone e una prestazione vocale di Justin in forma sfavillante. Il tema della realtà alternativa attraversa tutto l’album ed è ripreso nella solare In Another Life. Siamo di fronte a un disco dove non viene mai voglia skippare per andare alla traccia successiva, in questo ricorda i livelli raggiunti da quel capolavoro che fu One Way Ticket To Hell. L’apertura è affidata all’epica e autoironica Rock and Roll Deserves to Die una meta-critica verso chi crede davvero che questo genere musicale stia tirando le cuoia ma che a sentire la cavalcata in chiusura del brano dovranno passare molti lustri prima che ciò accada. Segue il trittico da Oscar How Can I Lose Your Love con un ritornello indimenticabile dove potenza e melodia si intrecciano indissolubilmente, Live ‘Til I Die sulla cui apertura è impossibile non sentire una citazione Queen (vi lascio indovinare il brano) e infine la ballatona strappamutande Heart Explodes. Un breve pausa proprio a metà disco è Deck Chair che rappresenta sia a livello lirico che musicale un esperimento esplorativo fortemente autoironico verso i lidi della chanson francese d’autore. Ma la pausa di riflessione è breve: si riparte a bomba con la già citata title track poi Heavy Metal Lover che come si intuisce dal titolo gioca con il genere metal. Viene in mente un paragone non troppo azzardato con Suicidio a Sopresa degli indimenticabili Elio e Le Storie Tese e qui i Darkness come la band meneghina confezionano un brano convincente e per nulla ridicolo. Meno allegra e più diretta è Choke on It mentre il finale è affidato alla semi ballad We Are the Guitar Men testamento spirituale della band. Nella versione deluxe ci sono altri quattro brani: Laylow, Different Eyes, Confirmation Bias, Sutton Hoo dall’ascolto emerge chiaramente come non si tratti di brani scartati, nessuno di questi avrebbe sfigurato nella scaletta ufficiale e questo dimostra lo stato di grazia in cui i quattro inglesi si trovano al momento.
Con la solita carica di insana follia che li contraddistingue i The Darkness dimostrano ancora una volta di aver non solo recepito alla perfezione gli insegnamenti della old school of rock ma anche di saperli tradurre al meglio in un linguaggio proprio ironico e brillante.Meno male che esiste quel dio del rock ‘n’ roll, rigorosamente con la “d” minuscola, che ogni tanto viene giù a menare sane sblerle capaci di distorglierci da quella cieca ottusità che la ripetizione di azioni sempre uguali riserva a ognuno di noi. Nell’universo parallelo progettato dai The Darkness, Egli è incarnato da un nerboruto Gesù/Justin Hawkins che, in barba a qualsiasi tradizione, spezza la croce mentre i sodali ai suoi piedi picchiano a morte i legionari romani. Easter Is Cancelled, il loro settimo album da studio, è semplicemente questo: rock ‘n’ roll a tre accordi che riesce a cambiarti la giornata. D’altro canto, la pubblicazione del Live At Hammersmith metteva in luce una band veramente in forma che dal 2015, anno d’entrata in formazione di Rufus Taylor non sbaglia un disco. Col senno di poi, già il riff granitico di Solid Gold o la ultra queeniana Japanese Prisoner Of Love del precedente Pinewood Smile presentavano in nuce tutte le idee sviluppate poi nel nuovo lavoro. La Pasqua è stata abolita, dunque non c’è spazio per alcuna crocefissione e quindi nessuna morte: è ora di smettere di affliggersi piangendo sotto una croce, meglio fare largo a una speranza ottimista per il mondo. Questo, unito al tema della realtà alternativa si rivelerà il fil rouge di uno dei lavori più folli e ambiziosi della band inglese. Un disco dove non viene mai voglia skippare per andare alla traccia successiva e che ai vecchi fan ricorderà i tempi dei primi due capolavori del gruppo. L’apertura è affidata all’epica e autoironica Rock and Roll Deserves To Die, una meta-critica verso chi crede che questo genere musicale stia tirando le cuoia: a sentire la cavalcata in chiusura del brano, però, la sensazione è che dovranno passare molti lustri prima che ciò accada. Segue poi un trittico da pelle d’oca: How Can I Lose Your Love, con un ritornello indimenticabile dove potenza e melodia si intrecciano indissolubilmente, Live ‘Til I Die, sulla cui apertura è impossibile non sentire l’ennesima citazione queeniana e infine la ballatona strappamutande Heart Explodes. Deck Chair, breve pausa a metà disco, rappresenta sia a livello lirico che musicale un esperimento esplorativo fortemente autoironico verso i lidi della chanson francese d’autore. Ma la pausa di riflessione è breve. Si riparte a raffica col brano che dà il titolo all’opera, che sfodera un riff al fulmicotone e una strepitosa prestazione vocale di Justin, per poi giungere a Heavy Metal Lover che, come si intuisce dal titolo, gioca con il genere metal. Proprio questo brano induce a un paragone azzardato con Suicidio A Sopresa di Elio e Le Storie Tese: proprio come la band meneghina, i Darkness confezionano un brano geniale, che si prende gioco di un genere senza sfociare nella parodia. Meno allegra e più diretta è invece Choke On It, mentre il finale è affidato alla semi ballad We Are the Guitar Men, vero e proprio testamento spirituale della band. Nella versione deluxe troviamo altri quattro brani e dall’ascolto di ognuno di loro emerge chiaramente lo stato di salute del gruppo: nessuno di questi avrebbe infatti sfigurato all’interno della tracklist definitiva. Con la solita carica di insana follia che li contraddistingue, i Darkness dimostrano ancora una volta di aver non solo recepito alla perfezione gli insegnamenti della old school of rock, ma anche di saperli tradurre al meglio in un linguaggio proprio. Ironico e brillante.