Jimi Hendrix l’immortale

“Are You Experienced? è stato uno degli album più immediati che abbiamo fatto, ma più tardi, quando ci siamo interessati ad altre cose, la gente non è riuscita a capire il cambiamento. D’ora in poi ho intenzione di usare sempre gente diversa per le mie sessions, i nomi non hanno importanza. Ciò che importa è il feeling, averlo o non averlo: il mio successo iniziale è stato un passo nella direzione giusta, ma solo un passo, ora voglio fare molte altre cose.”

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Potrebbe essere riassunta con queste parole la voglia di cambiamento di Jimi Hendrix a soli pochi mesi di distanza dal successo di Electric Ladyland, il terzo album da studio uscito nel lasso di tempo di soli due anni. Gli anni che separarono il chitarrista di Seattle dalla prematura scomparsa sono da sempre oggetto di studio da parte di critici e addetti ai lavori proprio per la ragione opposta: nell’arco di tre anni, infatti, Hendrix passò un numero incalcolabile di ore in studio di registrazione, attorniato da band che cambiavano di continuo, senza riuscire a trovare quello che stava cercando, o meglio, trovandolo solo in parte. Dopo lo straripante successo mondiale ottenuto con la Experience, infatti, Hendrix finì per trovarsi invischiato all’interno di dinamiche spesso più grandi di lui e della sua fragile psiche, che ne condizionarono tanto la vita sociale, quanto di riflesso quella artistica. Chi gli stava intorno, chi ne gestiva gli affari e ne intascava i profitti, aveva finito per imbrigliarne la forza creativa, cercando di sfruttarne la fama contrastandone la naturale voglia di sperimentare e di superare i confini della propria musica. I promoter stessi lo ingaggiavano affinché eseguisse semplicemente i classici della propria discografia, sempre nello stesso modo, quasi fosse un clown da circo. Hendrix, invece, dopo un album immediato come quello di debutto spostò il baricentro della propria creatività verso lidi completamente diversi, spinto da una sensibilità che lo portava a non accontentarsi di un effimero successo di pubblico, che comunque inizialmente aveva ricercato con tutte le forze. Proprio come Jim Morrison e il futuro concittadino Kurt Cobain, ad un certo punto, Hendrix si trovò a lottare contro forze altamente contraddittorie che avevano preso possesso della sua mente: da una parte la legittima voglia di notorietà di un artista convinto di avere molto da dire e dall’altra quella routine fatta di impresari, falsi amici, ma soprattutto da quella parte di pubblico che andava a sentirlo solo per vederlo contorcersi o bruciare una chitarra sul palco. A tutto ciò si univano le tensioni politiche legate alla figura di primo musicista nero ad ottenere un successo planetario: chi meglio del più celebre musicista al mondo avrebbe potuto tenere alta la bandiera dei diritti dei suoi fratelli? Dalla fine del ’68 in poi Jimi iniziò quindi a prendere coscienza del fatto di essere diventato una sorta di burattino nelle mani sbagliate, oltre al fatto di aver alimentato in prima persona tutte quelle dinamiche disfunzionali che ora lo tenevano in un gabbia emotiva prima ancora che economica.

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Allo stesso tempo Hendrix iniziò anche a maturare l’idea di una musica nuova, non solo meno immediata che in passato, ma in grado di farsi portatrice di messaggi universali di fratellanza. L’esperimento della Band Of Gypsys, ma soprattutto le registrazioni effettuate fino alla prematura scomparsa, continuano a mostrare un musicista dalla mente apertissima e voglioso di superare i canoni classici del rock che egli stesso aveva contribuito a generare, per creare qualcosa di completamente differente. Se infatti il perfezionamento infinito dei testi non era mai stata una delle sue prerogative, le decine di registrazioni passate per le mani di Eddi Kramer nel corso della compilazione di People, Hell & Angels, dimostrano invece quanto egli fosse perennemente insoddisfatto dei nuovi brani. Se Valley Of Neptune mostrava le sessions che Jimi aveva svolto nel periodo che andava dalla pubblicazione di Electric Ladyland all’apertura degli Electric Lady Studios, il nuovo album tratta invece un periodo un po’ più lungo, che va a sovrapporsi a quello, ma che lo supera di qualche mese, portando alla luce un’altra parte della sua anima, quella più vicina al jazz tout court. Così, proprio mentre il sogno di un proprio studio in cui sentirsi come a casa stava per divenire realtà, Jimi si divideva tra il Cry Of Love Tour, in cui pur presentando qualche nuovo brano era costretto a ripetere sempre più stancamente i vecchi cliché ed interminabili session in compagnia di vecchi amici come Stephen Stills e compagni fidati come Mitch Mitchell e Billy Cox, finalmente libero da pubblico e manager. Ecco probabilmente dove voleva arrivare Hendrix, alla libertà assoluta, al poter decidere della propria vita e della propria creatività senza pressioni esterne. “Non so se arriverò a compiere ventotto anni, ma ho vissuto così tanti momenti incredibili nel corso degli ultimi due anni da ritenermi assolutamente soddisfatto. Sento una musica nella mia testa che non sono riuscito ancora a sviluppare, ma sto completando più di quaranta tracce che andranno a comporre i miei prossimi lavori. Quando morirò continuate ad ascoltare i miei dischi.”. Mai dichiarazione fu più profetica.