Jim Morrison said it best: “all the children are insane,” and he meant it like I mean it. We are children revolted by the banality of what people think is sane.
Marilyn Manson
Qualche anno fa, in tempi non sospetti, avevamo messo in evidenza le molteplici similitudini tra un personaggio come Marilyn Manson e Jim Morrison. Qualcuno, in pochi in realtà, storse il naso, ma semplicemente perché totalmente all’oscuro della passione, per altro mai celata, del fu Reverendo per il Re Lucertola e la sua poetica anticonformista e di rottura.
A ben vedere poi, con tutte le differenze del caso (a partire dal periodo storico), nei primi anni novanta anche la figura di Manson rappresentò qualcosa che l’America non era in grado di comprendere e che servì da capro espiatorio ad una società che riempiva di Ritalin i propri figli, trasformandoli in morti viventi che, spesso, in adolescenza finivano per mostrare drammaticamente i segni di anni passati nella solitudine e nella paranoia. In pochi, dunque, all’Ippodromo delle Capannelle di Roma sono rimasti spiazzati dall’utilizzo di The End, sfumata proprio appena dopo il verso all the children are insane, come brano d’apertura di uno show che, per altri motivi, ha invece stupito più di un affezionato dell’autore di Mechanical Animals.
La nuova Revelation #12 ha il compito di scaldare un pubblico preparato e attento, che però rimane stranito dalla scelta di un brano che fino ad ora si era potuto sentire solo dal vivo o su qualche video postato su YouTube. In realtà, quello di suonare nuovi brani prima dell’uscita di un album è una cosa che un tempo era pura consuetudine, utile a fare capire all’artista quanto un brano potesse funzionare insieme ai classici di sempre, ma la scelta di dare il via allo show con un pezzo inedito è sembrato il segnale della ritrovata voglia di stupire di Manson.
Le iniziali perplessità vengono immediatamente fugate da This Is The New Shit, che riporta di colpo tutto su binari forse meno di nicchia ma che, di fatto, danno il via ufficialmente al concerto. In realtà, Manson è quello degli ultimi anni: sempre meno truccato, ma non meno inquietante, gonfio ma non trasandato, ironico e autoreferenziale come solo le vere rockstar sanno essere. Dandy e decadente fino al midollo, il buon Marilyn mostra di aver trovato ormai la propria dimensione, dopo anni in cui aveva finito per perdersi un po’ dietro a mode e sonorità che probabilmente gli appartenevano fino ad un certo punto.
Non a caso, anche in studio, la ritrovata forma ha portato alla nascita di The Pale Emperor, forse l’album migliore dai tempi di The Golden Age Of Grotesque. In attesa di poter ascoltare nuova musica, a sorprendere è soprattutto la tenuta vocale, che per la prima volta in diversi anni non vede cedimenti di sorta, se non in qualche occasione, che comunque rende il tutto ancora più tragico.
Ha voglia di scherzare e interagire col pubblico Manson, cosa non scontata dopo i soliti problemi legati alla sua venuta in terra di Vaticano: non sono casuali i continui riferimenti agli episodi delle ultime settimane, così come non lo è la storpiatura di The Dope Show in The Pope Show, che fa sorridere e conferma la consueta voglia di prendere un po’ tutti per il culo, in primis se stesso.
Notevole anche la ripetuta citazione di Revolution dei Beatles prima di Disponsable Teens, che negli ultimi tempi vedeva invece la citazione di Five To One dei Doors. Non mancano nemmeno i siparietti pensati proprio per coloro che, invece di pensare alla miserabilità delle proprie vite, continuano a promuovere iniziative come messe cantate contro di lui o amenità di vario genere: la Bibbia bruciata, così come il nuovo Say10 (seiten) sono lì a ricordarci che basta davvero poco per provocare gli animi dei soliti minus habentes.
Insomma, a tanti anni dal debutto, Manson non stupirà più come un tempo, ma è stato in grado di mantenere una credibilità e una coerenza che lo collocano di diritto tra i grandi del rock, quelli come Morrison, appunto, ma anche come Bowie, di cui l’arte, la teatralità e la poetica di Marilyn continuano ad essere pregni.