L’abbattimento del record europeo di persone ad uno stesso concerto, avvenuto nel giro di poche ore, ha riportato inevitabilmente Vasco sulla bocca di tutti. A sconvolgere, ancora una volta, è la capacità di Rossi di far apparire semplice una cosa che mai nessuno era riuscito a fare prima e, state bene attenti, questa volta non parliamo di un record solo italiano.
Tuttavia, a quarant’anni dagli esordi, per molti versi, Vasco rimane ancora un oggetto misterioso del nostro panorama musicale. Amato e odiato con la stessa intensità, come si conviene a chiunque è stato in grado di cambiare la società in cui ha vissuto, Vasco ha saputo mantenere un filo diretto ben preciso con le proprie origini, musicali e biografiche. Modena Park, il mega evento in cui (auto)celebrerà il proprio mito, dimostra che, sostanzialmente, il nostro non si sia mai allontanato troppo da Zocca, nemmeno quando flirtava con megalopoli come Los Angeles o metropoli di provincia (per usare le parole del grande Freak Antoni) come la vicina Bologna. Una Bologna che quando Vasco era prossimo al grande salto stava vivendo proprio una delle rivoluzioni culturali maggiori viste nel nostro Paese e che proprio dal movimento del ’77 diede vita ad un’infinità di realtà musicali che avrebbero cambiato per sempre la musica nostrana. Vasco, tuttavia, non era solo un giovane attirato dal punk (che citava in studio God Save The Queen dei Sex Pistols), ma portava con sé una sensibilità tipicamente cantautorale, unita ad uno spirito caserecciamente selvaggio che, ai tempi solo nella sua testa, lo avvicinava agli idoli della British Invasion, in particolare a quei Rolling Stones a cui si permise di dire di no nel ’90. “In Italia il rock sono io” – disse nell’occasione – e la realtà era proprio quella già allora, visto che i promoter gli chiesero di condividere il palco con gli Stones perché questi facevano fatica a riempire lo stadio. La verità è che in Italia nessuno ha mai incarnato meglio di Vasco il ruolo di rockstar così come concepita dall’immaginario collettivo.
Abbiamo avuto decine di personaggi di rottura, un numero infinito di parolieri di qualità elevatissima e un pugno di cantautori da far invidia a molti dei paesi che si vantano di avere il parco macchine migliore al mondo. Ma non abbiamo mai avuto nessuno che riuscisse a condensare tutte quelle cose e che fosse anche il più grande performer italiano di sempre. Sì perché, se qualcuno gli contesta un relativo imborghesimento dovuto agli anni che passano e altri sostengono che non sia più in grado di scrivere canzoni in grado di rimanere nel tempo, nessuno che vada a vederlo dal vivo può minimamente permettersi di dire di aver visto qualcosa di più internazionale sul nostro suolo. E chi lo fa è chiaramente in malafede. Mi sento di dare un consiglio a chi possiede giga e giga di musica indie italiana o hip hop, spesso i più veloci nel fare ironia su Vasco Rossi: si vadano ad ascoltare, chessò, proprio Colpa D’Alfredo, da una cui strofa prende il nome il mega evento del prossimo primo di luglio. Nessuno di quegli artisti, e lo dico senza paura di essere smentito, per di più a distanza di trentasei anni e con tutto ciò che questo comporta, avrebbe il coraggio di scrivere una strofa come è andata a casa con il negro, la troia. Ma avrei potuto citare Ieri Ho Sgozzato Mio Figlio, Deviazioni e altre decine di brani che consiglio a chiunque di andare ad ascoltare immediatamente. Pensateci. Se lo dicesse oggi uno come Fedez, le pagine dei giornali sarebbero zeppe di articoli (tutti uguali) incentrati sulla scandalosità della frase. Per farlo nel 1980 bisognava avere qualcosa in più di tutti. Bisognava avere dei coglioni enormi, ma soprattutto bisognava essere completamente folli. E liberi. Però liberi da che cosa?