Non sempre chi scrive un album, un libro o qualsiasi altra opera d’ingegno, si rende pienamente conto di tutti quei processi che la mente mette in atto al momento della creazione. Talvolta, è difficile persino accorgersene a posteriori, tanto è il trasporto nei confronti dell’opera. Ci sono cose di un disco che ti vengono dette direttamente dagli autori e altre che ti vengono suggerite dagli uffici stampa. Poi ci sono quelle che ti raggiungono di colpo, talvolta così legate all’inconscio (personale e collettivo) che nemmeno ti chiedi come siano giunte alla ragione e che non ti resta altro da fare che accettare e sviluppare. Quando venni a conoscenza del titolo del nuovo album dei Litfiba, Eutòpia, prima ancora che inserirlo idealmente tra quelli della loro discografia, il primo collegamento a nascermi nella mente fu quello con un disco che la storia la fece, eccome, nel lontano 1973: Mind Games di John Lennon.
Nel corso della presentazione di quel disco, Lennon e Yoko Ono se ne vennero fuori con una delle loro celebri uscite ad effetto: insieme a Mind Games, quel giorno presentarono al mondo lo statuto di un luogo immaginario, Nutopia (new+utopia), che non presentava confini, capi e religioni e di cui chiunque poteva essere ambasciatore nel mondo. Insomma, un po’ la summa di tutto il Lennon pensiero, con quell’insieme di ideali e convinzioni che ancora oggi ne mettono in luce l’animo tanto genuino quanto ingenuo, ma di certo puro.
Ecco, per quanto dal punto di vista musicale quel disco e Eutòpia siano quanto di più diverso al mondo, da quello prettamente concettuale il link è evidente. «La tua riflessione mi lascia completamente basito» ha esordito Pelù quando gli ho proposto il mio azzardo. «Mi sconvolge soprattutto il fatto che Mind Games sia uno dei miei album preferiti in assoluto e di certo quello che amo di più di Lennon. E mi chiedo come non mi sia potuto venire in mente il collegamento tra la sua Nutopia e la nostra Eutòpia».
Forse la differenza maggiore tra i due luoghi immaginari sta nel fatto che quello di Lennon nasceva già come qualcosa di difficile persino da immaginare, mentre quello cantato dai Litfiba sembra più la descrizione di quei paesi del mondo in cui una vita migliore sembra già oggi una realtà. Paesi e persone a cui ispirarsi per continuare a lottare. Dunque non un’isola che non c’è, simile a quella di Tommaso Moro, ma qualcosa di profondamente tangibile.
Così come la musica di Lennon, poi, quella dei Litfiba è da sempre molto politicizzata, anche se col tempo i testi di Pelù e Ghigo sembrano più legati alla realtà e meno alle frasi ad effetto: i riferimenti alla terra dei fuochi, agli inceneritori, o al recupero di spazi dimenticati sono infatti quanto di più vicino alla vita di ogni giorno si sia occupato il rock mainstream degli ultimi anni. Se, infine, pensiamo a quante volte le parole “dio” e “guerra” vengono pronunciate nell’atto conclusivo di questa triologia iniziata ai tempi della reunion del 2009, termini che nella poetica dell’ex Beatle ricoprirono un ruolo fondamentale, allora l’azzardo di cui sopra sembra sempre meno folle. E poi sì, a noi i Litfiba piacciono così, puri, forse un po’ ingenui, ma sempre dalla parte di chi lotta. Qualche certezza ci dovrà pure restare, no?