Un ritorno davvero gradito quello dell’ex Europe Kee Marcello: Scaling Up ci restituisce un musicista ispirato e al passo coi tempi, seppur rivolto inevitabilmente al suo glorioso passato. Disponibile ed entusiasta, Kee ha parlato con noi di un’uscita che accontenterà sia gli amanti del rock chitarristico che dell’hard anni ottanta.
Innanzitutto, ben tornato Kee! Un ritorno in pompa magna che ci riporta a metà degli anni ottanta…
“Grazie di cuore, è bello tornare con un album come questo e sentire reazioni entusiaste a riguardo. Il titolo del disco mi riguarda personalmente ed è la mia risposta a tanti miei colleghi con cui ho parlato negli ultimi anni. Sento tutti questi musicisti parlare di rallentare un po’ i ritmi, suonare meno e meglio, fare solo eventi di un certo tipo e così via e mi dico: ma cosa sta succedendo? Ecco, Scaling Up era la mia risposta a questa sensazione generale di semi ritiro, di pensione anticipata di cui sento parlare. Paradossalmente, quei discorsi mi fanno venire voglia di fare ancora di più, di scalare l’Everest, appunto (ride, ndr).”
Ci sono molte similitudini tra Scaling Up e i tuoi lavori precedenti, anche se questa volta sembri aver voluto inserire un po’ tutti i suoni della tua carriera. È il tuo album più accessibile in assoluto?
“A conti fatti, credo tu abbia ragione. Anche se quella patina di accessibilità è qualcosa a cui non mi sono mai messo a pensare durante la creazione dei brani. O per lo meno non a livello conscio. Molto spesso, durante il processo di songwriting, mi sono reso conto che non ero io a scrivere le canzoni, ma loro a scrivere me (ride, ndr)! Progetti come questo vivono una vita propria, indipendente da chi li genera e la cosa migliore è farsi trasportare da quell’onda e andare dove questi vogliono portarti. Non è un caso che sono sempre i lavori di cui sono più contento alla fine delle registrazioni.”
La copertina dell’album è molto intrigante e sembra avere più chiavi di lettura. Vuoi dirci qualcosa di più a riguardo?
“L’uomo rappresentato sulla copertina del disco è Papa Legba, una divinità vudù che ha il compito di aprire la strada ad altri regni, quelli degli spiriti. Si dice che parli tutte le lingue umane e che renda più semplice la comunicazione tra gli uomini. La mia passione nei confronti del vudù è nata negli anni novanta, quando vivevo nell’arcipelago Turks e Caicos nei Caraibi. Essendo Haiti molto vicina a quelle isole, sono entrato inevitabilmente in contatto con il mondo della magia vudù. L’immagine di lui che scala quei grattacieli per superare questo mondo apocalittico e distopico mi ha colpito subito e mi ci sono immedesimato immediatamente.”
In effetti, anche le liriche toccano spesso tematiche per niente frivole o abusate, dimostrando che la tua abilità compositiva è in continua evoluzione.
“Diciamo che anche da questo punto di vista l’album è perfettamente bilanciato, proprio come le cose che ci succedono nella vita. D’altra parte, se nella vita succedessero solo cose belle non avrebbero più lo stesso significato, ma finirebbero per diventare routine e quindi perderebbero ogni tipo di valenza. Affianco a titoli più leggeri, dove magari è l’aspetto musicale il perno del brano, ci sono canzoni come Finger On The Trigger, che non è basato su un fatto realmente accaduto, ma potrebbe esserlo tranquillamente. La storia di questo autore di stragi che rimpiange la sua vita è qualcosa in cui tutti possono trovare elementi molto verosimili. Poi, con Soldier Down ho voluto omaggiare tutti quegli uomini e quelle donne che dedicano la loro vita a combattere per la pace nel mondo. Ad ogni modo, resto uno storyteller, non ho alcuna velleità di scrittore o, ancor meno, di politico.”
Gli Europe negli ultimi album hanno recuperato delle demo registrate ai tempi di Prisoners In Paradise e se nessuno l’avesse saputo non avrebbe sospettato nulla. Ora anche tu hai attinto da quelle session. Hai rimpianti per quel disco?
“Per quel disco in particolare no, anche se credo fosse molto buono. A differenza del periodo in cui lo pubblicammo. Più rimpianti per il fatto che i brani migliori vennero rifiutati dalla casa discografica, che evidentemente non capiva molto di musica e non sapeva da che background arrivasse la band. Penso sia giusto che quelle tracce vengano recuperate, felice che anche loro lo stiano facendo e soprattutto che siano tornati ad avere quel successo che pareva svanito per sempre e che hanno sempre meritato!”