Tarja: A Night At The Opera

Tarja Turunen non è una che ama stare con le mani in mano. In dieci anni, dall’abbandono dei Nightwish ad oggi, la bella soprano finlandese ha collezionato una serie ragguardevole di album e progetti disparati, che culminano nell’ambiziosa doppia uscita The Bridest Void/The Shadow Self. Manie di grandezza? Forse, ma al servizio di un talento purissimo. Tarja ci ha raccontato come ha vissuto la gestazione contemporanea del nuovo album e del suo prequel.

Quando si dice esagerare. In un momento come questo, pubblicare due album a distanza di due mesi pare una pazzia. Invece?

Invece lo è (ride, ndr). Mi rendo conto che nel 2016 possa sembrare davvero folle un piano commerciale di questo tipo, ma penso anche che se ti avessero detto nel 2005 che, dieci anni dopo, il vinile sarebbe stato il supporto più venduto nei negozi, ti saresti sbellicato dalle risate. Quindi perché porsi dei limiti? Il mio è forse solo un atto d’amore nei confronti del disco, concepito come qualcosa di vitale e a cui spero un giorno torneranno anche le nuove generazioni. Non credo che oggi sia venuta meno la passione per la musica, lo testimoniano le centinaia di cose che girano ancora intorno al settore, quanto piuttosto per la musica concepita in un determinato modo, quello con cui anche io sono cresciuta. Un album nasconde un lavoro così grande che è triste vederlo smembrare. Io ho voluto sottolineare che un disco poteva derivare da altra musica, così ho pubblicato anche quella.”

Anche se ancora abbastanza bilanciata, la tua musica sembra spostarsi sempre di più verso la classica più che il metal sinfonico. Sei d’accordo?

Diciamo che si tratta di un periodo della mia vita in cui la mia anima tende maggiormente verso quella parte, ma non penso sia assolutamente una cosa definitiva. Ho passato lunghi periodi della mia vita così, d’altra parte la mia estrazione è quella ed è difficile non seguire l’imprinting. La mia storia dopo i Nightwish dimostra chiaramente che la staticità non faccia parte del mio essere, quindi è impensabile intuire le mie mosse, persino per me. Credo comunque di aver trovato un mio spazio ben preciso, all’interno del quale sono libera di muovermi come preferisco, senza pressioni né qualcuno che mi dica quello che devo fare. L’unica cosa che potrebbe limitarmi è la voce, se non si mantenesse in queste condizioni per sempre, ma sono molto attenta alla mia salute: faccio di tutto per preservarla e mantengo in forma costante il mio corpo, fondamentale affinché tutto funzioni al meglio.”

Con i Nightwish sei stata tra i precursori di un genere e hai portato avanti un discorso molto difficile, quello di unire la musica considerata alta con quella popolare. Qual è la situazione odierna?

Beh, di passi avanti se ne sono fatti moltissimi nel tempo. Oggi fare questo genere è diventata una cosa assolutamente ordinaria, spesso nel senso peggiore del termine. Devo ammettere che dopo l’esplosione di qualche anno fa, però, i riflettori si sono un po’ spenti sul genere e questo può essere molto positivo in termini artistici: molto probabilmente ora continuerà solo chi davvero crede in quello che fa e non chi si era accodato semplicemente ad una moda. Il problema dei puristi esisterà sempre, anche se pure quell’aspetto oggi si è smussato molto e credo anche grazie al lavoro di quelle band che questo genere l’hanno creato e portato avanti con tenacia. Oggi una soprano che suona musica metal non sconvolge più nessuno: merito anche di tutto il crossover che dalla metà degli anni ottanta ha mischiato generi che sulla carta sembravano incompatibili. Se oggi ho questa libertà creativa, lo devo a tutto quel lavoro fatto in precedenza.”

In effetti, quando uscì un progetto pionieristico come Barcelona, il mondo inizialmente derise quella collaborazione tra Freddie Mercury e Montserrat Cabballé…

Esattamente! E lo rifiutarono solo perché non erano in grado di comprenderlo, quindi la cosa più facile era parlare di progetto folle e senza né capo né coda. Invece, ancora oggi, quello resta un esempio di coraggio assoluto e forse ineguagliato. Io ero una bambina quando uscì, ma per molto tempo nell’ambiente lirico se ne parlò in maniera quasi ironica, mentre era evidente che prima o poi sarebbe stato rivalutato: è il destino delle opere troppo avanti nel tempo. Quello fu un passaggio fondamentale, perché aprì una porta che solo due nomi così grandi avrebbero potuto aprire senza distruggere completamente le loro carriere. Intanto anche il metal stava provando a mischiare voci quasi operistiche a sonorità di un certo tipo e l’unione di tutti quegli esperimenti creò un’eco udibile perfettamente anche oggi.”