Nell’affrontare una delle scommesse più ardite degli ultimi anni, lo staff di Rockin’ 1000 capitanato da Fabio Zaffagnini si trovava fronte a un doppio ostacolo: da una parte far impallidire il ricordo di un evento in grado di superare le trenta milioni di visualizzazioni su YouTube, con un’eco mondiale in grado di far giungere il nome di Cesena persino sul Sunset Strip di Los Angeles e dall’altra, logicamente, la nuova idea doveva essere ancora più folle ed ambiziosa della precedente, senza più poter contare sull’effetto sorpresa. Ebbene, se non eravate presenti allo show, è davvero difficile che riusciate a capire fino in fondo cosa sia successo allo stadio Dino Manuzzi ieri sera. Innanzitutto, perché è pressoché impossibile descrivere con parole di uso comune una cosa mai avvenuta al mondo in precedenza e poi perché, non avendo mai potuto assistere a qualcosa di simile, ogni emozione provata aveva un sapore completamente diverso da quelle che qualsiasi altro concerto, anche gli eventi più grandi, era stato in grado di scatenare. Il primo impatto all’ingresso dello stadio è già da brividi, con tutti gli strumenti posizionati sul prato e l’invasione dei musicisti che, scaglionati, entrano nello stadio accompagnati dal boato del pubblico. Si respira un’aria stranissima, quella di quando chiunque, dagli organizzatori ad ogni singolo spettatore, sono consapevoli che, da lì a poco, la storia non sarà più la stessa. L’avevano definita la più grande rock band sul pianeta e questo è stata: quando decine di violini danno il via all’intro di Bitter Sweet Symphony dei Verve, ma poteva essere una qualsiasi di quelle in programma, l’impatto è devastante: sugli spalti veniamo raggiunti da un’onda sonora (anomala) che mai avevamo potuto sperimentare in passato, una sensazione completamente inedita e semplicemente commovente, tanto che più di una persona sui gradini dello stadio farà fatica a trattenere le lacrime. Un progetto visionario, curato fino alla maniacalità e costruito nell’arco di mesi grazie alla dedizione di ogni partecipante. La scaletta è di quelle che più classic rock non si potrebbero: nel corso delle due ore di show, gli oltre mille artisti presenti sul prato, tra cui i cosiddetti guru di ogni strumento, aiutati da star come Cesareo degli Elio E Le Storie Tese, Mac dei Negrita, Federico Poggipollini e Saturnino, perfettamente sincronizzati hanno ripercorso idealmente tutta la storia del rock, partendo dai padri fondatori e giungendo fino ad eroi del nuovo millennio come White Stripes e Black Keys. In mezzo, decine di omaggi ad artisti scomparsi (in primis David Bowie, ricordato con due esecuzioni di Rebel Rebel), riattualizzazioni di brani dalla forte carica socio/politica come People Have The Power e Rockin’ In A Free World e veri e propri inni generazionali come Smells Like Teen Spirit, per chi scrive uno dei momenti più elevati di tutto l’esperimento. Alla fine della maratona, dopo quindici brani precedentemente annunciati, la chicca finale: il Maestro Marco Sabiu, altra pedina fondamentale della serata, dopo essere uscito di scena fa il suo trionfale ritorno sul terreno di gioco per i classici encore che, oltre a ripetere il brano di Bowie già suonato, vedranno celebrare prima Jimi Hendrix e poi i Led Zeppelin, con un medley davvero da brividi ed infine, nemmeno a dirlo, i Foo Fighters di Learn To Fly, quello da cui tutto ebbe inzio. In mezzo, come ideale punto d’arrivo di un percorso iniziato l’anno scorso, un commosso e commovente Fabio Zaffagnini prende la parola per un discorso che è forse la summa della filosofia del progetto Rockin’ 1000: un’esortazione a tornare alle origini della musica popolare, in grado di eliminare barriere culturali, religiose e sociali, una sorta di genuino appello hippie all’unione contro ogni tipo di violenza e follia globale. In quel preciso momento, forse anche con un pizzico di ingenuità, ognuno di noi ha pensato davvero che una canzone avrebbe potuto cambiare il mondo.
Rockin’ 1000: La Più Grande Live Band Della Storia
25 Luglio 2016
Concerti
Giornalista musicale con esperienza decennale, Luca Garrò scrive o ha scritto per alcune delle riviste musicali più note del nostro paese, da Rolling Stone a Jam, passando per Rockstar, Rocksound, Onstage e Classic Rock, oltre ad essere uno dei fondatori del magazine online Outune.net. Appassionato di classic rock fin dall'infanzia, ha scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati, tre libri per Hoepli (Freddie Mercury, David Bowie e Jimmy Page & Robert Plant) e sta curando una biografia su Brian May per Tsunami. Per cinque anni è stato tra i curatori del Dizionario del Pop Rock Zanichelli.
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