Tempo di celebrazioni per la band capitanata da Jeff Keith: per onorare al meglio i trent’anni dal debutto Mechanical Resonance, la band ha deciso di pubblicare disco dal vivo che ne celebri l’importanza, insieme ad un nuovo brano prodotto da Phil Collen dei Def Leppard. Ne è nato Mechanical Resonance Live, di cui abbiamo parlato proprio con il leader indiscusso del gruppo.
Jeff, questa celebrazione del vostro album di debutto arriva in uno dei momenti recenti più fortunati della storia della band. Forse non siete così celebri dal vostro periodo d’oro. Come te lo spieghi?
“Non si può spiegare in modo razionale, anche se devo dire che dai tempi della reunion è stato davvero come ricominciare da capo per noi0. In realtà, non posso dire che il nuovo millennio sia stato avaro di soddisfazioni e ha visto un grande percorso di crescita di pubblico intorno al gruppo, come forse non accadeva proprio dalla seconda metà degli anni ottanta. Sorrido perché, se penso a come venivamo considerati nella seconda metà degli anni novanta, è completamente assurdo essere considerati così degni di ascolto oggi, perché già allora avevamo fatto tutto quello per cui siamo celebri. Eppure è un meccanismo che scatta nella gente a un certo punto: iniziano a parlare di te come di qualcosa da vedere almeno una volta nella vita, tutti iniziano a fingere di conoscerti per moda e la cosa in qualche modo si riflette su vendite e concerti. Succede a tutte le band vecchie, a un certo punto la gente ha paura di non poterti più venire a vedere.”
Diciamo che dalla seconda metà degli anni duemila qualcosa è cambiato in meglio per voi, come se foste davvero ripartiti in quel momento…
“Quello è innegabile. Eravamo giunti a un punto in cui il nostro pubblico era numeroso, ma sostanzialmente ormai lo stesso: la stampa ormai ci considerava bolliti e ripetitivi, la gente veniva a vederci ma comprava sempre meno i nostri dischi. Poi ci siamo messi a lavorare ad Into The Now per vedere se potevamo tornare a grandi livelli anche in studio e ci siamo resi immediatamente conto di che cosa stesse nascendo e di quanto fosse maledettamente buono. Rivedere tutta la stampa mondiale parlare così bene di un nostro album fu incredibile e ci rilanciò completamente sul mercato. Da quel momento è come se avessimo raggiunto lo status di classici del rock, nel senso che negli ultimi dieci anni parlano bene di qualsiasi cosa facciamo: certi meccanismi sono davvero strani, ma meno male che esistono (ride, ndr).”””
Strano che questa celebrazione non sia già avvenuta ai tempi del ventesimo anniversario, in un momento in cui stavate proprio risalendo la china a livello mondiale…
“In realtà anche noi avevamo intenzione di pubblicare un omaggio di questo tipo qualche anno fa, o in quell’occasione o per il venticinquesimo anniversario, ma abbiamo preferito continuare a consolidare la nostra reputazione di autori e di live band. Inoltre, per una band in attività come la nostra non è affatto facile curare riedizioni o versioni ampliate di album storici. Se noti è una cosa che riesce molto meglio nel caso di gruppi non più in vita, perché è l’occasione per etichette e membri del gruppo di fare qualche soldo extra senza troppi sbattimenti. Per Mechanical Resonance volevamo fare qualcosa di diverso: non mi andava di rimettere in commercio la solita versione deluxe con qualche bonus track che, diciamoci la verità, spesso è un mero sinonimo di scarto…”
La questione però è annosa: per alcuni incidere di nuovo brani storici con una formazione diversa è un rischio enorme. Non temi critiche?
“La questione va ribaltata: le critiche sono sicuro che arriveranno, è inevitabile, ma non le temo. Vivo da abbastanza anni in questo mondo e se non avessi imparato a gestire bene le mie emozioni sarei durato pochissimo tempo in un settore pieno di pescecani come il nostro. Fortunatamente i Foreigner hanno acquisito così tanta stima e rispetto da non dover temere grossi scossoni: il tempo delle delusioni, per altro, è già passato da diversi anni. Detto ciò, comprendo perfettamente cosa intendi dire. La gente si lega indissolubilmente a certe cose ed è normale che possa prendere un lavoro come questo con un po’ di diffidenza, per questo dico loro le canzoni di questo album non vogliono assolutamente rivaleggiare con le versioni originali, ma rappresentarne un piccolo omaggio.”
Finito il tempo delle celebrazioni hai già annunciato che arriverà quello del nuovo album da studio. Quanto dovremo aspettare?
“Assolutamente sì, non vediamo l’ora di portare a termine il nuovo lavoro. Le nuove idee ci sono e altre ne stanno nascendo con grande velocità: questo è solo un progetto che rimandavamo da tempo e che volevamo comunque portare a termine nel migliore dei modi. In origine avremmo voluto risuonare tutto l’album in studio, ma sarebe stata un’operazione forse troppo rischiosa e credo che se uno vuole sentirsi l’album in studio, continua a prendere quello originale. Non hanno certo bisogno delle stesse canzoni risuonate in studio. L’ispirazione non è mai venuta meno, inoltre il fatto di avere meno pressione mediatica, nel nuovo millennio abbiamo potuto portare avanti progetti che ai tempi forse non ci avrebbero permesso di fare. È bello essere sul tetto del mondo, ma allo stesso tempo può diventare la classica prigione dorata.”
Parli di un album come Twisted Wires And The Acoustic Sessions?
“Esattamente! Abbiamo variato spesso formula dal duemila in poi, ma mi riferivo proprio a quell’album, perché credo sia quello migliore per capire la libertà creativa cui faccio riferimento. Quello rimane un album sui generis per quanto ci riguarda, visto che conteneva solo brani acustici registrati qualche tempo prima, insieme ad un paio di nuove composizioni. È stata sorprendente la reazione dei fan e spesso in quel periodo ci dicevamo che una cosa così non sarebbe potuta succedere tempo prima. In quel caso abbiamo potuto fare completamente quello che volevamo, senza interessarci di alcun fattore se non quello della nostra soddisfazione. Ancora oggi credo sia uno dei dischi migliori che abbiamo pubblicato, di certo quello del nuovo millennio cui sono più affezionato.”
Poi voi siete stati dei precursori della moda degli unplugged degli anni novanta. Five Man Acustical Jam resta nella storia come il primo album di quel genere…
“Quello è un primato che in termini economici non è che ci abbia portato molto, nel senso che nessuno ci darà mai un premio come prima band a pubblicare un disco live acustico (ride, ndr). Tuttavia, per noi resta una cosa davvero speciale, perché nessuno si sarebbe mai aspettato che un album del genere, in quel momento preciso della nostra carriera, avrebbe potuto funzionare in quella maniera. Anche diversi addetti ai lavori ai tempi pensavano fosse un rischio troppo grosso quello di rilasciare un disco dal vivo che non rispecchiasse appieno le sfaccettature della nostra musica. Poi, quando capirono che quella veste era esattamente una delle due anime che possedeva la band, decisero di rischiare e vinsero alla grande. Non credo si possa dire che quel disco abbia dato il via alla moda degli MTV Unplugged, però mi piace pensare di aver acceso una scintilla in quel senso.”
Oggi tutto ciò suona un po’ come una beffa, considerando che l’ondata grunge che più beneficiò di quel format, fu anche quella che in qualche modo diede il colpo di grazia a band come la vostra.
“Sì, in effetti abbiamo pensato spesso alla crudeltà del destino in quel frangente. Come puoi immaginare, quando una band si scioglie, le motivazioni non sono mai singole, ma frutto di processi che iniziano inevitabilmente molto prima. Detto ciò per onestà intellettuale, ti dico anche che è chiaro che quel periodo storico non aiutò una band come la nostra. Fa impressione vedere il numero di gruppi scioltisi alla metà degli anni novanta e riformatisi poi nel nuovo millennio. Questo dato ogettivo ti fa capire quanto le case discografiche si fossero completamente disinteressate del lato artistico per seguire esclusivamente quello economico della faccenda. Credo che parte della crisi del disco degli anni duemila sia stata proprio il frutto di una gestione scellerata di questo tipo, che non era certo iniziata nel periodo del grunge. Trovo stupidi anche coloro i quali danno la colpa a quei gruppi per il fatto che la loro musica non interessasse più alle major: follia pura!”
La prigione dorata di cui parlavi credo sia stata la stessa di molte super icone degli anni ottanta come Whitesnake, Def Leppard et similia. Sei d’accordo?
“Assolutamente sì. Anche se rispetto a loro noi eravamo americane. Ma se pensi al tipo di mercato che quelle band avevano ai tempi, non ci metti molto a capire che è stato proprio il mercato statunitense a decidere la sorte di molti di noi. Negli ultimi cinque o sei anni si è assistito al recupero di grandi band degli anni settanta che, se ci pensi, ai tempi di Mechanical Resonance venivano considerate delle scarpe da buttare o delle vecchie scoregge. Probabilmente si tratta semplicemente di una specie di percorso cui sono stati sottoposti tutti quelli che sono diventati icone del loro tempo, senza per altro volermi paragonare a gruppi come quelli che hai citato, che per noi erano già idoli al momento del debutto. Certo è che in questo settore le cose non funzionano con la logica, ma seguono vie davvero particolari che, magari, quando hai iniziato nemmeno esistevano. Pensa ai nostri brani utilizzati per videogiochi famosissimi, per esempio.”
A volte poi magari tenti di fare qualcosa di un po’ diverso e finisci per spiazzare un po’ il tuo pubblico, cosa forse successa a voi nei primi novanta…
“Ma sai, quando sei un autore di canzoni non riesci ad auto imbrigliarti. Il fatto che la gente capisca la tua musica, ti fa anche pensare che sia in grado di capire che si tratta di un percorso, non di una cosa statica. Alla fine, credo che i due album precedenti allo scioglimento fossero davvero buoni e le vendite, tutto sommato, ci diedero anche ragione. Come dicevamo, però, l’aria stava cambiando ormai. Quindi, per alcuni mercati, siamo finiti in questa specie di limbo in cui siamo considerati tra le cose più importanti di un decennio, ma quasi come se non fossimo mai andati avanti. I problemi sono molteplici ed impossibili da individuare davvero per intero. Col senno di poi sono persino arrivato a pensare che senza quello stop, oggi probabilmente non esisteremmo nemmeno più, perché avevamo raggiunto tutti il punto di saturazione e la delusione infinita che ci aveva colpito non aiutava di certo il clima tra noi.”
Dalla reunion ad oggi, i vostri album dal vivo hanno superato quelli in studio. Vi costa più fatica scrivere pezzi nuovi rispetto al passato?
“Ma sai, tutti pensano che uno si mette ad una scrivania e inizia a scrivere una canzone solo perché sono passati un paio d’anni dall’ultimo disco. Tutto è cambiato col tempo, tanto la situazione socio economica, quanto quella interiore di ognuno di noi. Quindi è impensabile che tutto rimanga invariato. Dopo la reunion ci sembrava più funzionale pubblicare un album dal vivo, anche per capire la risposta del mercato in uno dei momenti più folli della storia della discografia. Vista la risposta abbiamo anche ricominciato a pubblicare nuovi album, ma solo quando abbiamo davvero qualcosa da dire. Ora abbiamo deciso di celebrare Mechanical Resonance e risuonare tutto quell’album ha acceso qualcosa dentro di noi. Ci siamo così ritrovati quindi a lavorare con Phil Collen, che è un grandissimo amico e abbiamo tirato fuori un pezzo come Save The Goodness, che è l’antipasto perfetto per quello che verrà in futuro.”
Quindi l’ultimo brano di questo album rappresenta quello che dobbiamo aspettarci dai nuovi Tesla?
“Credo proprio di sì, anzi senza dubbio. Quel brano ha già dentro tutte le caratteristiche che vogliamo dal nuovo album, sia in termini di produzione che di songwriting. Lavorare con Phil è fantastico: lui è un amico di vecchissima data, così come tutti i Def Leppard, cui la nostra storia sarà legata per sempre. Siamo stati immensi nello stesso periodo, abbiamo girato il mondo in tour e credo che ci siano pochissime altre band al mondo con cui sia impossibile non avere mai un contrasto come avviene con loro. Sono una della band più importanti della storia della musica e per noi è un onore continuare ad andare in giro insieme a loro e sapere che continuano a credere in noi e a stimare il nostro lavoro presente, non solo quello che siamo stati. Sembra una sottigliezza, ma fidati che non lo è. Siamo molto eccitati per i prossimi mesi, anche perché siamo in un ottimo momento a livello di pubblico, come dicevamo prima.”
Alcune band ultimamente invece tendono a recuperare materiale inedito dagli archivi: mai pensato a un’operazione di questo tipo?
“Onestamente, come accennavo prima, credo che molto spesso operazioni di quel genere siano un modo molto semplice di recuperare qualche vecchio brano, modernizzarlo e andare a caccia di qualche soldino facile contando sull’amore smisurato della gente. Posto che se lo facessi io non potrei avvicinarmi ai risultati di vendita delle super band che ultimamente lo hanno fatto, non lo farei se non nel caso di qualcosa di davvero eclatante e con una forma ben precisa, come mi pare di aver capito nel caso dei Pink Floyd nel recente passato. In ogni caso, non ne faccio un discorso per partito preso, non sono tra quelli che pensano che un brano sia bello o brutto solo leggendo quando è stato composto, perché un pezzo può fare schifo anche se lo hai scritto nel tuo momento di maggior successo. O viceversa, ovviamente: da musicista so che così tante cose nascono e muoiono in una settimana che è facile aver dimenticato per strada qualcosa.”
Ad ogni modo, già Simplicity aveva dimostrato quanto fossero ancora alte le quotazioni della band.
“Verissimo, anche se credo che non siamo ancora giunti all’album perfetto. Forse ci saremmo arrivati prima se non ci fosse stato in mezzo lo scioglimento di metà anni novanta, o forse no, ma quello stacco ha fatto ricominciare le cose quasi da zero in seno al gruppo e credo che in questo momento ci siano tutte le variabili giuste per fare molto bene. La band ha trovato un equilibrio davvero stabile, come non ricordavo da tempo immemore, quindi sono sicuro che il risultato sarà all’altezza delle nostra storia. Siamo sempre stati una buona live band, ma la prima parte della nostra carriera ci ha dato più soddisfazioni per via dei dischi da studio. Oggi è diverso, il mercato è completamente cambiato e il rischio è quello di non dare più alla gente nuova musica, che invece è importantissimo che ci sia. Non ti parlo dal punto di vista personale, ormai noi abbiamo ricevuto tutto quello che dovevamo ricevere, penso ad un mondo senza nuova musica e la cosa mi mette davvero i brividi.”
Credi che lavorare senza grandi pressioni aiuti quindi la qualità della musica?
“Credo di sì, ma solamente in parte. Di sicuro l’assenza di vincoli e pressioni esterne è una delle cose che aiuta maggiormente in fase di songwriting, ma qui il discorso è più ampio. Anche alla fine degli anni ottanta nessuno si permetteva di dirci come lavorare in studio, perché eravamo tra le grandi galline dalle uova d’oro dell’epoca: le pressioni, però, ce le creavamo da soli, perché quando arrivi così in alto sai che la caduta potrebbe essere devastante. Ora, invece, non abbiamo più nulla da dimostrare e anche in quanto a cadute siamo più che vaccinati: ora sì che non abbiamo davvero più inibizioni. Il motivo principale della varietà di stili, quindi, credo stia più che altro nel fatto che molte canzoni sono nate da ognuno di noi individualmente e altre come gruppo: questo fa sì che ogni canzone rispecchi i gusti musicali di ognuno di noi. Non credo che scrivere come gruppo sia un valore aggiunto rispetto ad avere un preponderanza di brani scritti da singoli membri: la storia del rock insegna proprio il contrario.
È una sensazione che vi siete trovati a vivere anche ai tempi del vostro debutto?
“Assolutamente sì ed è per quello che, per certi versi, questo momento della nostra storia e quello della realizzazione di Mechanical Resonance si assomigliano così tanto. Certo, in temrini di consapevolezza non c’è assolutamente paragone, però credo che quell’aspetto vada un po’ a compensare un entusiasmo che non può certo essere lo stesso di quando hai vent’anni e ti stai giocando quella che potrebbe essere la tua unica possibilità nel mondo del rock ‘n’ roll. Non ti sto dicendo che non siamo più entusiasti del nostro lavoro, tutt’altro, ma semplicemente si tratta di un tipo di entusiasmo diverso: non meno intenso, ma profondamente differente. E permettimi di dire che è anche salutare che lo sia: sarei una specie di idiota se continuassi ad avere la mente di quando avevo vent’anni. Non sarebbe cool, ma davvero triste. È un po’ come quando mi trovo a spiegare ad alcuni fan che se facessi album come quelli di trent’anni fa, sarei assolutamente ridicolo. Alcuni artisti restano come fermi nel tempo e quello diventa il loro valore aggiunto. Altri, invece, se lo facessero diventerebbero delle barzellette.”
Vedi qualche gruppo che ha fatto propria la vostra lezione?
“Non ho mai avuto paura di dichiarare le mie fonti di ispirazione. Ho un’età per cui sono esploso musicalmente con la NWOBHM, dopo la rivoluzione punk e con una grande passione per il rock classico: un mix di cui quelli nati dieci anni prima di me non avevano potuto godere. Detto ciò, credo che la nostra bravura sia stata quella di non essere mai stati derivativi: nessuno dei nostri dischi sembra qualcosa di già sentito e anche per questo talvolta la gente si stupisce nel leggere i nomi dei nostri idoli. Credo che molti gruppi dediti ad un certo rock revival abbiano attinto un po’ dalla nostra storia ed è bello sentire qualche giovane band citarti tra le sue fonti di ispirazione, perché, avendolo vissuto in prima persona, non hai difficoltà ad immedesimarti con quello che sta dicendo.”