La carriera solista di Jimmy Page resta una delle più grandi occasioni perse della storia del rock. Non tanto perché il chitarrista dei Led Zeppelin non abbia provato a ripartire dopo la fine di quell’avventura, ma perché ogni sua pubblicazione sembra sempre, o quasi, mancare di quel genio che ne aveva contraddistinto la carriera fin dagli esordi. Ecco una carrellata dei suoi album post Dirigibile, ricordandoci che anche nei prodotti meno riusciti, qualche gemma nascosta è possibile scovarla…
‘DEATH WISH II’
(Swan Song Records/Atlantic)
Dopo il Dirigibile
Lo scioglimento dello Zeppelin lascia tracce indelebili su Page e sulla sua salute: incaricato della colonna sonora del film con Charles Bronson, Pagey ripesca materiale scartato dalla band per gli ultimi lavori e il disco finisce per risentirne. Le perle però non mancano, come la splendida ‘Jam Sandwich’ o l’opener ‘Who’s To Blame”, in cui la voce di Chris Farlowe svetta per potenza e classe. L’andamento disturbante ed ossessivo dell’album si abbina perfettamente alle immagini del film.
‘WHATEVER HAPPENED TO JUGULA’
(Beggars Banquet)
Ritorno al folk
Dopo l’esordio atipico di qualche anno prima, Page dimostra ancora il proprio eclettismo collaborando nuovamente con Roy Harper, ma questa volta per un intero album. ‘…Jugula’ si fa amare proprio per l’unione delle chitarre dei due artisti, che creano un strato musicale affascinante, a metà tra il sogno e l’incubo. Echi del passato si mischiano a nuove sonorità, che spesso richiamano i Pink Floyd: non è un caso che ‘Hope’ porti la firma Harper/Gilmour. Una vera gemma da recuperare.
‘THE FIRM’
(Atlantic)
L’esperimento del supergruppo
A Page manca terribilmente la sensazione di sentirsi parte di una band, di comporre brani insieme ad altri musicisti e decide di rimettersi in gioco con un progetto ambizioso: reclutati Paul Rodgers, Chris Slade e Tony Franklin, il musicista registra un pugno di brani scritti nell’anno precedente e arricchiti dai testi di Rodgers. Ne risulta un album tonico, a tratti molto convincente, ma penalizzato da una produzione inadeguata. I suoni troppo anni ’80 fanno il resto.
‘MEAN BUSINESS’
(Atlantic)
Gli affari vanno male
Album che ricalca fedelmente la via tracciata dall’esordio, ‘Mean Business’ possiede meno pezzi validi rispetto predecessore, ma la stessa pessima produzione. Prova evidente che la magia non si crea a tavolino, il disco non decolla mai, decretando di fatto la fine del supergruppo. I virtuosismi di Page sembrano svaniti nel nulla e il songwriting si dimostra di una pochezza disarmante, tanto che si fa fatica ad arrivare alla fine dell’album senza sbadigli.
‘OUTRIDER’
(Geffen)
Nuovamente solo
Conclusa mestamente l’avventura con i Firm, Jimmy Page torna alla carriera solista: l’impressione è che il chitarrista sia alla continua ricerca di qualcosa di perso nel tempo, molto probabilmente delle gioie del decennio passato. I pezzi del nuovo esordio tradiscono la nostalgia dei tempi che furono, senza riuscire a ricalcarne le vette: non serve nemmeno l’aiuto di amici fidati come Chris Farlowe e Robert Plant (anche se The Only One fa godere non poco) a far volare un disco dalle ali spezzate.
‘COVERDALE PAGE’
(Emi)
La luce torna a splendere
Solo il clone per eccellenza di Robert Plant poteva far tornare il sorriso sulle labbra di Jimmy Page, che si riscopre autore di classe ed ispirato. L’album presenta pochissimi cali di tono, colmando un vuoto nel cuore dei fan del Dirigibile. La prestazione vocale di Coverdale è strepitosa, tanto che brani come ‘Shake My Tree’ e ‘Take Me For A Little While’ diventano immediatamente dei classici. Unico neo i suoni, spesso troppo spostati verso il metal di grana grossa.
JIMMY PAGE AND HIS HEAVY FRIENDS
‘HIP YOUNG GUITAR SLINGER’
(Castle Music/Sanctuary Records)
Le origini del mito
Tra le varie raccolte circolate negli anni sul Jimmy Page pre Led Zeppelin, probabilmente questa rappresenta la più completa e seria. Oltre ad essere molto complicato recuperare singoli usciti più di quarant’anni fa, il futuro leader del Dirigibile partecipò a talmente tante session da risultare impossibile sapere con certezza quante e quali siano davvero a lui attribuibili. Questo doppio CD forse non riporta tutte le sue collaborazioni, ma ci permette di capire l’importanza di un musicista in grado di accompagnare tanto Nico, quanto i Kinks (molti sostengono ci sia lui dietro il riff di ‘You Really Got Me’), passando per John Mayall & The Bluesbreakers e le scorribande in compagnia degli amici Clapton e Jeff Beck. È vero, mancano i brani con Joe Cocker per esempio, ma invece di riempire il doppio album di canzoni ultranote degli Yardbirds è ottima l’idea di ripescare oscure collaborazioni con gruppi quali Les Fleur De Lys, Carter Lewis & The Southerners o Lancastrians, dei quali in pratica Page fu membro a tutti gli effetti.