Quando, ai tempi dell’album di debutto, Andrew Stockdale si presentò ad un Rolling Stone di Milano pieno fino alle uscite di sicurezza, nessuno avrebbe potuto immaginare che, nel giro di così poco tempo, questa band sarebbe riuscita a raggiungere certi livelli. L’entusiasmo con cui il pubblico italiano ha accolto i Wolfmother rende bene l’idea di quanto tempo fosse passato da quella sera e di quanta voglia il pubblico italiano avesse di rivederli in un contesto più ampio. In mezzo, due cambi di formazione e un album, il secondo, in grado di confermare la grandezza di un gruppo che, pur non inventando nulla, ha ridato vita ad un genere che pensavamo ormai nelle mani dei soli sessantenni che l’avevano concepito. Forti dell’arrivo di un nuovo batterista, lasciati alle spalle i problemi che avevano causato la cancellazione di molti show lo scorso anno e con l’arrivo di un nuovo batterista, i Wolfmother hanno letteralmente incendiato il palco di un Live di Trezzo pieno fino a scoppiare. Rispetto alle date del 2009, la scaletta ha subito qualche variazione e ha visto l’aggiunta di un paio di pezzi che faranno parte del terzo album della band, ma sostanzialmente poco è cambiato: energia pazzesca, riff che sembrano uscire da un’altra epoca, ma soprattutto una serie incredibile di hit per un gruppo con all’attivo solo un paio di dischi. Questo è forse l’aspetto più sconvolgente della serata. Dall’attacco di “Dimension” fino al finale di “Joker and the Thief” non c’è stato un solo brano non cantato all’unisono dal pubblico, tanto a che volte era persino difficile sentire gli acuti del riccioluto musicista. Insomma, un successo incredibile che spalanca alla band le porte di venue più prestigiose anche nel nostro paese. Non sono mancate le sorprese nel corso della serata: la più grande sicuramente l’esecuzione di “Riders On The Storm”, riprodotta fedelmente all’interno di “White Unicorn”, anche se quella accolta con maggior entusiasmo è stata di certo “Baba O’Riley, in grado di far impazzire letteralmente i presenti. Piccola curiosità: l’esclusione di “Far Away”, probabilmente l’unica ballad in senso stretto del gruppo, rende bene l’idea di quanto i Wolfmother siano carichi e privi di fronzoli in questo momento della loro carriera. La più grande rock band degli anni duemila.