I The 69 Eyes, i vampiri più famosi di Helsinki, come amano definirsi loro, tornano sulle scene con l’undicesimo album di una carriera ormai assolutamente invidiabile. Certo, gli esordi sono davvero lontani, ma il sound del nuovo Universal Monster pesca a piene mani da quel periodo, chiaramente riattualizzandolo. Ispirato e in grande forma, il frontman Jyrki 69 ha condiviso con noi un po’ delle emozioni legate a questa nuova uscita.
X venne accolto molto bene, anche se alcuni rimasero spiazzati dalla moltitudine di stili presenti e da un allontanamento dai vostri esordi. Diciamo che quelle persone oggi saranno accontentate…
“Non ho alcun dubbio a riguardo (ride, ndr). Anche se è una cosa che non dovrei nemmeno sottolineare, non ho mai composto una canzone in vita mia pensando alle recensioni o alle richieste dei fan. Questo non perché io sia insensibile a tali richieste, ma solo perché altrimenti finirei per perdere identità e, soprattutto, l’onestà intellettuale che da sempre caratterizza la nostra storia. Non abbiamo mai cavalcato mode, anzi se vogliamo di qualcuna siamo anche stati dei precursori, anche se non sempre ci è stato riconosciuto. È vero, Universal Monster ha riportato anche me agli inizi ed è stata una ventata di freschezza pazzesca proprio perché abbiamo semplicemente ascoltato l’istinto e nient’altro. La gente si accorge se non sei sincero, anche chi ti vorrebbe sentire suonare come sul primo album: se scimmiotti te stesso sono i primi ad accorgersene.”
Parlerei di un disco retrò per certi versi, a partire dalla grafica e dalla scelta di pubblicarlo con diverse copertine, una per componente del gruppo. Che ne pensi?
“Fin dalle prime sessioni di registrazione si respirava quest’aria un po’ nostalgica, ma non di quella nostalgia che ti porta alla malinconia e alla depressione: di quella buona, quella in grado di scaldarti l’animo e rendere tutto molto famigliare, insomma. Come avrai notato dai video che abbiamo messo in rete da qualche settimana, il tutto è stato aiutato da una buona dose di alcol, che ha aiutato a cementificare quel mood e ha reso il tutto ancora più intenso e…folle (ride, ndr). Ci tengo molto a dire che sia un album suonato da esseri umani, perché troppo spesso negli anni è passata una po’ la teoria secondo cui più un album è tecnologico e al passo coi tempi e più avrà appeal. Sono un grande amante di strumenti inusuali, così come della musica elettronica, per esempio, ma quando il lato umano va a farsi fottere iniziano i problemi. Non sono un retrofilo convinto, ma credo che alcune cose siano insuperabili.”
E delle copertine che ci dici? Uno sfoggio di creatività esagerata? Un omaggio ai Kiss?
“(Ride, ndr) Per essere un omaggio ai Kiss vero e proprio avremmo dovuto pubblicare un album per uno e ti garantisco che sarebbero passati più di quattro anni tra questo album e il precedente! A parte gli scherzi, quella delle cinque copertine è proprio una delle cose più affascinanti del progetto e sono frutto dell’opera di quel genio di Ville Juurikkala, una sorta di eroe della musica scandinava, che ha pensato di catturare ognuno di noi in una posa da film horror degli anni trenta. Ogni membro della band è diventato quindi una creatura che avrebbe potuto diventare la protagonista di un film classico. Da grandi appassionati del genere e dell’horror in generale, non potevamo che adorare subito l’idea. Inizialmente si era pensato ad una copertina collettiva, poi ad una con me come unico protagonista, ma nessuna delle due ci convinceva appieno. Quindi ci siamo detti, visto che si lavora comunque a perdere, esageriamo (ride, ndr).”
Quindi anche il titolo è un omaggio a quell’estetica horror cui fai riferimento?
“Assolutamente sì! Tanti pensano a chissà quale mostro universale o cose legate a temi più grandi, di cui per altro l’album è pieno, ma in realtà il significato del titolo è da ricercare tutto lì. L’ultima volta che abbiamo suonato ad Austin, sono stato in questo posto assurdo a metà tra un castello gotico e una mostra sul cinema horror anni trenta e quaranta. Tutti questi personaggi come Dracula, Frankenstein, la Mummia o l’Uomo Invisibile hanno segnato l’immaginario di tre generazioni e hanno un fascino che pochissime pellicole successive sono riuscite ad eguagliare. Alcuni attori iniziarono a costruire intere carriere su film come questi, come Boris Karloff, Vincent Price e Bela Lugosi: personaggi che anche sulla storia del rock hanno avuto un peso enorme. Universal Pictures era la casa cinematografica delle pellicole con i mostri protagonisti, Universal Monster il nostro album.”
Sembra una scelta perfetta per il ritorno in auge del vinile. Ha influito anche questo aspetto sulla scelta?
“Non poteva che essere così, amico mio. Tutti noi siamo cresciuti con quegli oggetti stupendi che col tempo assumevano quel profumo caratteristico e che trattavi quasi come delle reliquie: così delicati ma allo stesso tempo in grado di superare decenni quasi intatti. Che supporto fantastico. Nella merda post crisi del disco è la notizia migliore che potesse capitare e la conferma che, alla fine, dopo anni di musica compressa ascoltata su aggeggi sempre più piccoli, esiste ancora qualche coglione a cui fa impazzire l’idea di un piatto non portatile, ingombrante e rumoroso. Volevamo tornare al tempo in cui tenere in mano un disco e il suo booklet poteva essere eccitante quasi quanto mettere il disco stesso sul piatto. Non so se hai potuto vivere quella cosa, ma ti garantisco che si tratta di un’esperienza quasi trascendentale. Sembro sempre più un cazzo di nostalgico retrogrado. La cosa bella delle foto di copertina è che Ville non ha utilizzato chissà quale effetto speciale o make up: siamo proprio così brutti (ride, ndr).”
Sei davvero convinto che Universal Monster possa essere considerato un seguito ideale di Blessed Me e Paris Kills?
“Assolutamente sì. Come ti dicevo prima, non sono tipo da utilizzare frasi ad effetto a cui non credo, magari per spingere l’uscita del nuovo album. Sarei un idiota, perché se non fosse così i fan se ne accorgerebbero immediatamente, una volta acquistato il disco. Quello che potrei guadagnare inizialmente, lo andrei a perdere sulla distanza. Inoltre, quelli erano mezzucci che potevano funzionare anni fa, oggi che un disco arriva ai primi posti della classifica con mille copie vendute che senso potrebbe avere? Se mi devo sputtanare, lo faccio per cinquecentomila copie (ride, ndr)! Sono passati quindici anni dalla creazione di quei dischi, guarda caso anche allora con Johnny Lee Michaels come produttore, e credo che oggi ancora nessuno suoni in quel modo o abbia portato avanti quel discorso. Quindi, chi meglio di noi avrebbe potuto farlo? In questo modo, abbiamo prima seminato e poi raccolto. Dio benedica tanto Johnny che Ville per l’apporto che ci danno: senza non saremmo la stessa band.”
Quanto ha influito, in questo senso, il lavoro di ripubblicazione del vostro vecchio catalogo? Spesso certe operazioni risvegliano qualcosa dentro…
“Talvolta credo addirittura che certe band utilizzino quell’esperienza proprio per ritrovare ispirazione o contatto con le proprie origini. È vero, sono passati un po’ di anni da X, forse troppi perfino per i membri stessi della band, ma l’uscita del nostro best e la rimasterizzazione di alcuni album ormai di difficile reperibilità hanno contribuito chiaramente al mood della nuova musica che ci siamo messi a scrivere. Parlo per me, ma credo di poterlo dire senza alcun dubbio. Rimettere mano a canzoni che, onestamente, non ascoltavo da più di dieci anni ha effettivamente toccato una parte del mio animo che credevo sopita per sempre ed è stato davvero emozionante, oltre che grande fonte d’ispirazione. Non è un processo scontato, se ci pensi: ascoltare tutta quella vecchia musica avrebbe anche potuto creare l’effetto contrario in noi, magari proprio per evitare di farci influenzare dalla nostra vecchia produzione. Fortunatamente non è andata così.”
Credo che Jet Fighter Plane non sia stato scelto a caso come primo singolo. Musicalmente è un buono specchio del disco e le liriche inquietanti, quasi catastrofiche direi.
“Credo che mai come questa volta non ci siano stati dubbi sulla scelta del primo singolo. La canzone ha un mood molto dark, tipico delle sonorità dell’inizio degli anni ottanta. Fin dal momento in cui ho sentito la versione strumentale ho in testa proprio quel periodo storico e musicale ben preciso: molto new wave/post punk, per intenderci. Proprio quel periodo in cui la musica traeva aspirazione in modo prepotente dalle visioni di David Bowie, dal clima terrificante creato dalla Guerra Fredda, dalla paura dell’olocausto nucleare e dalla paura che non ci sarebbe mai stato un futuro per l’umanità. Con in aggiunta tutte quelle cose che facevano pensare ad un’umanità sempre più diretta verso qualcosa di simile a 1984 di Orwell. È una sensazione d’angoscia perenne che chi l’ha vissuta ricorda molto bene. Insomma, quando mi sono poi trovato tra le mani il testo mi sono accorto di quanto il tema fosse estremamente attuale e la cosa mi ha inquietato un po’. Una profondità che permea tutto il disco.”
Musicalmente parlando, invece is it only goth ‘n’ roll?
“Yes man, but I like it (ride, ndr)!