Isola Azzurra, duo composto da Paolo Meola e Francesco Torre, è uno dei progetti musicali più interessanti che ci sia capitato di ascoltare nell’ultima parte del 2021. Nati a Genova, ma conosciutisi solo virtualmente quando uno risiedeva a San Francisco e l’altro a Londra, i due artisti hanno unito le forze per dare vita a un connubio votato a una synthwave dal sapore malinconico, in cui il concetto di post amore fa da padrone. Dopo i primi singoli Più in alto del sole, Non so perché e Blue Vibes, poco prima della fine dell’anno ha visto la luce Blue Vibes, un album dalle molteplici sfaccettature, che guarda sì alla cultura synthwave/retrowave, ma che allo stesso tempo è fortemente ancorato al presente, essendo uno dei primi veri esperimenti italiani di contenuti venduti tramite NFT. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con loro.
Quando e come nasce il vostro progetto musicale?
Isola Azzurra nasce un po’ per caso nel 2013, da un nostro incontro virtuale tra Londra e San Francisco. Prima ci siamo incontrati sui social, dove ognuno di noi ha iniziato a sentire le composizioni dell’altro su soundcloud. Poi è arrivato l’incontro dal vivo e qualche primo esperimento musicale. La realtà, però, è che prima di tutto in questi anni è nata e poi cresciuta una grandissima amicizia e una sintonia speciale di cui questo progetto musicale è un po’ il risultato e la trasposizione in segnali audio. Il sound che abbiamo raggiunto è la sintesi di anni di esperimenti insieme, a volte portati avanti più a intermittenza, a volte più costanti.
Quando avete iniziato a comporre i pezzi del disco?
È stato un lavoro lungo, durato quasi sette anni. Inizialmente non pensavamo a un album, ma a una serie di EP. Tuttavia, i pezzi si sono sommati e ci siamo trovati tra le mani sedici brani che parlavano una lingua comune. Aveva senso pensare di farli uscire insieme.
La vostra visione musicale è cambiata nel tempo?
Progressivamente si è resa più essenziale, si è asciugata. Abbiamo ridotto l’uso delle parole e proseguiremo in questa direzione per dare più spazio alla musica. Inoltre, in questi ultimi anni, abbiamo trovato quello che è il nostro sound, anche grazie alla scelta di abbracciare la synthwave/retrowave, quasi come fosse un esercizio di stile: devono esserci certi elementi per fare un brano retrowave e spesso nella scrittura di una base partiamo da lì. A volte i limiti del mezzo o del formato diventano l’impalcatura su cui sviluppare la creatività, come gli endecasillabi nel sonetto, la struttura razionalista dei tasti del pianoforte, o anche lo stesso formato della canzone moderna, che probabilmente nasce con i 3 minuti di registrato dei 78 giri. Per noi è lo stesso, la retrowave e le sue strutture sono diventate progressivamente le limitazioni entro cui sviluppare il processo creativo.
Pur rimanendo legati da un evidente fil rouge, i pezzi presentano una notevole varietà. A cosa è dovuto?
Il fil rouge sono le blue vibes, questo mood malinconico che attraversa tutti i pezzi. Altro tema ricorrente è quello dell’amore, ma nelle sfaccettature del post-amore: penso all’after-love di Cher o alle Streets of Love dei Rolling Stone. Al senso della mancanza dell’amore, insomma. Oppure, per uscire dall’ambito musicale, penso agli Amori Difficili di Calvino. Alcuni brani si spostano dal rapporto con l’altro al rapporto con se stessi, ma la malinconia di fondo rimane. Musicalmente il fil rouge sono i suoni: bassi, kick e snare sono molto caratteristici del genere che abbiamo scelto per rappresentarci, così come l’uso di synth e arpeggiatori, ma più in generale è la ricerca di un sound che in alcuni casi abbiamo provato a trasformare in epico, cercando di generare le sonorità e la monumentalità di Vangelis in Blade Runner o di Zimmer e Wallfisch in Blade Runner 2049. La varietà deriva essenzialmente dall’aver pensato questi brani in momenti diversi della nostra vita, ma il sentimento di fondo e la scelta stilistica di abbracciare la synthwave ci ha consentito di renderli uniformi e parte organica di un solo progetto.
Cosa pensate che abbia di innovativo il vostro progetto? Sia dal punto di vista musicale che visual?
Innovazione a volte è prendere cose che già esistono e metterle insieme. Non abbiamo inventato nulla, ma abbiamo provato a mettere insieme in modo creativo elementi esistenti: l’onda retrowave e synthwave, l’uso dei synth e degli arpeggiatori, i visual vaporwave e la pixel art, l’indie italiano, l’uso dei social per diffondere il messaggio, la distribuzione totalmente digitale, l’idea di usare avatar (come Daft Punk o Gorillaz) e l’uso di NFT per recuperare il concetto di “originale” in questo mondo digitale: una specie di prima lacca virtuale del vinile, un master unico per chiunque desideri possedere l’unica copia originale di un brano e del relativo visual, che diventa così pezzo da collezione. I nostri brani sono disponibili in NFT su OpenSea: https://opensea.io/collection/blue-vibes
In un momento storico come quello che stiamo vivendo, ha ancora senso parlare di album?
Non c’è una risposta corretta a questa domanda. Ogni forma forma d’arte si è adattata nella storia al media a disposizione. Negli ultimi 150 anni la musica si è adattata per venire incontro ai formati disponibili, della lunghezza di un vinile o delle esigenze di programmazione di una radio. La canzone dura 3 minuti perché era la durata dei 78 giri in monofonia, poi quando si è passati ai microsolchi dei 45 e dei 33 giri si è aperto spazio per gli EP e gli album, che ancora avevano senso da un punto di vista di formato con la musicassetta e quindi il CD. Oggi, invece, ci troviamo nell’era della fruizione digitale, delle piattaforme online e delle playlist: è naturale che gli artisti si siano adattati allo strumento e al nuovo modo di fruire la musica – più veloce e più da canzoni ascoltate in loop. Scegliere di produrre un album per noi è stata anche la scelta di proporre un modo di ascoltare la musica che ha qualcosa di retrò; al contempo, proporlo solo su formati digitali e piattaforme di streaming vuole dire portare il passato sui nuovi canali e lasciare all’utente l’esperienza di fruizione che oggi ha senso.
Avete già pubblicato dei singoli, ce ne volete parlare?
Quando ci siamo incrociati sette anni fa abbiamo iniziato con alcuni esperimenti che si trovano online, ma non ci convincevano. In questo reboot del progetto, un po’ facilitato dal Covid che ci ha dato tempo per concretizzare i pezzi scritti in questi anni in un album, Blue Vibes. Ne abbiamo scelti tre per iniziare: Più in alto del sole, Non so perché e Blue vibes, che sono i brani che a nostro avviso riescono ad essere rappresentativi per sound e mood di tutto il progetto. Oltre ad essere indipendenti nel trasmettere già da sole le tematiche e le emozioni che sviluppiamo nell’album. Ci sono però altri brani che forse avrebbero meritato altrettanto di essere singoli. La scelta non è stata facile e qualche titolo escluso a malincuore c’è, ma la verità è che vorremmo essere nella testa di chi ascolta e scoprire quali singoli avrebbero scelto loro. A volte frasi e soluzioni di cui non siamo soddisfatti o che non ci convincono diventano invece il motivo per cui piace un brano. E magari è quello che resta in testa all’ascoltatore.
Avete artisti di riferimento, sia passati che attuali?
I riferimenti attuali nella retrowave sono facilmente individuabili: Kavinsky, M83, Com Truise, TimeCop1983, The Midnight, Miami Nights 1984, Trevor Something, Castlebeat, Chromatics. Quelli del passato invece derivano direttamente dalla new wave e synth pop britannico, correnti che che – sia nei brani meno accessibili al grande pubblico che nelle hit da Top of the Pops – hanno sempre mantenuto una cura sia nella scrittura che nella ricerca di un’identità sonora ben riconoscibile e che hanno indubbiamente segnato un’epoca e influenzato un filone di artisti che li hanno presi a riferimento da lì in avanti. Parliamo di Depeche Mode, Tears for Fears, The Cure, Soft Cell, Duran Duran, OMD, Human League, Talk Talk, Yazoo, A flock of Seagulls e ancora Heaven 17, ABC, Alphaville e molti altri. Per quanto riguarda i testi, forse ci possiamo riconoscere nell’ampio genere dell’indie italiano, ma le influenze sono più profonde e arrivano dal periodo storico in cui siamo cresciuti: dall’ascolto di quelli che erano già classici quando eravamo bambini, come Battiato e Battisti, a quelli che erano contemporanei nella nostra prima adolescenza: da Bersani a Silvestri, da Fabi a Gazzé. Eppure, ascoltando con attenzione i testi, ci sono almeno 3 omaggi a Dargen D’Amico, se volete provare a trovarli…
Avete un obiettivo preciso in mente per il futuro?
Continuare a produrre con costanza e continuare a trasmettere le nostre emozioni e sperimentare per cercare di renderle ancora più universali. Inoltre, ci piacerebbe essere chiamati a scrivere una colonna sonora in stile retro wave, non li abbiamo messi lì per caso i due strumentali all’inizio e alla fine dell’album…