Giunto al terzo album, il riminese Riccardo Amadei sembra aver raggiunto la definitiva maturità artistica. Estate Infinita è infatti un album completo, che racchiude un po’ tutte le sue anime e che, nonostante un evidente passo in avanti rispetto agli album precedenti, riesce a mantenere un chiaro filo diretto col suo passato. Abbiamo parlato con lui dei suoi desideri e della sua voglia di rimettersi in gioco dopo un anno così drammatico (di vita sospesa, per citare le sue parole). Sperando che la prossima intervista possa avvenire finalmente alla vecchia maniera. Come piace a noi.
Da dove vorresti ripartire nel tuo percorso musicale dopo questo momento di distanza che abbiamo vissuto forzatamente?
Dalle persone. Da una sala prove, uno spazio raccolto, dal poter tornare a condividere in serenità con i miei musicisti una canzone. Dal piccolo, dal quotidiano, dal silenzio pronto ad essere popolato.
Incubo Padano dal titolo poteva far pensare a qualcosa di legato al momento che ci siamo trovati ad affrontare nell’ultimo anno, mentre trae ispirazione da un evento autobiografico. Anche se hai detto di aver scritto i brani prima del covid, pensi che questa esperienza condizionerà i tuoi prossimi brani?
Questo periodo di “vita sospesa” sta lasciando macerie enormi, con cui ognuno di noi è chiamato a fare i conti. In questo senso è bello pensare all’artista come ad una sorta di rabdomante, che sente dove andare a scavare, per trovare l’acqua. Delle mie canzoni ho sempre scelto il punto di partenza ma mai il punto d’approdo: succede sempre che ad un certo punto vanno dove vogliono loro. Scrivo solo di ciò che mi attraversa e mi rimane addosso, avendo come unico riferimento l’autenticità.
Il legame con la tua terra, i paesaggi -come un incubo- padani, Rimini e il contesto: quanto è determinante e d’ispirazione? E’ amore per le proprie radici?
In Riviera il tempo è scandito dagli intervalli dispari della mazurka, è un andamento claudicante che ti entra sottopelle e ti accompagna poi anche nella vita, pare una marcetta, ha la leggerezza del sogno, a volte però può diventare stereotipo, quindi prigione, incubo appunto. Rimini ha quest’anima in bilico tra divertimentificio, trasgressione di tondelliana memoria e velleità da capitale della cultura. Mi piace pensarla come una sorta di “hub” che appartiene ormai all’immaginario nazionalpopolare. Un luogo dove tutto passa, ma niente si ferma.
Dal disco emerge un forte senso di “esprimere” e di usare la parola nell’accezione più vera. Quanto conta per te la composizione dei testi? Quest’ultimi nascono prima della musica, o viceversa?
Non seguo una regola precisa. Nell’ingranaggio canzone trovo per esempio che il suono delle parole sia importante almeno quanto il loro significato. Curo molto la sintesi: la canzone deve lasciare spazio alla capacità dell’ascoltatore di farla sua, anche di stravolgerla, nei modi che ritiene più opportuni. Mi piace scrivere per immagini, per lasciare aperte delle possibilità.
C’è una forte varietà musicale nella tua produzione: ci sono riferimenti o artisti imprescindibili per te?
Tutti quelli che ti puoi immaginare e anche di più: da Lucio Dalla a Nick Cave, dai Grant Lee Buffalo a Neil Young, passando per i Broken Social Scene, Arcade Fire, Strokes, Interpool ecc, ma anche Pazienza, Salinger e De Lillo, Linch e Garrone: le suggestioni per comporre mi arrivano sempre da tante forme d’arte, mischio tutto.