E’ cosa nota che, in questi ultimi cinque anni, il mondo del rap si sia saturato di artisti. E non solo. Mentre l’esercito delle rime alimentava le sue fila in maniera dirompente, con cadenza più o meno mensile abbiamo dovuto fare i conti con nuovi pseudo fenomeni, nuovi “talenti”, nuovi messia del genere. Vere e proprie galline dalle uova d’oro pronte a riempire le tasche della major di turno e a stordirci con i propri versi innovativi. Ma non commettiamo l’errore di fare di tutta l’erba (termine più che mai adatto) una fascinazione: in mezzo a tanto ciarpame, infatti, si nasconde del bello. Tra la moltitudine di personaggi effettivamente poco rilevanti emersi nel tempo, alcuni hanno saputo farsi un nome, emergere e proporre effettivamente rap italiano di qualità. Penso ad artisti come Rancore, D’argen D’amico, Ensi, Ghemon, Willie Peyote e ultimo, ma non per importanza, Murubutu.
La prima persona a parlarmi di Murubutu è stato mio fratello durante una gita in macchina. Stavamo discutendo proprio del rap italiano: della sua rapida ascesa, dei pro e dei contro di una scena troppo ripiegata su stessa, dei suoi attori e di chi è stato davvero in grado di cambiarne le regole del gioco. Non seguendo questo genere a tal punto da considerarmi un esperto, cresciuto coi miti di Frankie Hi Nrg, il primo Neffa e il più recente Caparezza, non ero capace di trovare un aggancio al presente che mi permettesse di portare avanti la discussione. Poi, di punto in bianco, mio fratello tira fuori dal cilindro del suo Iphone la traccia Grecale. Comincia così a diffondersi il suono di un pianoforte leggero, sulla cui melodia parte a rappare una voce che sembra appartenere a quella di un cantante death metal core. L’accostamento, che sulle prime spiazza decisamente, col tempo diventa invece sempre più insinuante e melodico. Il brano racconta la storia di una ballerina cieca e del suo sogno di rivalsa e la voce bassa e profonda dell’artista descrive il tutto con una proprietà di linguaggio ed un intreccio di parole tali che, allo stesso tempo, non solo riusciamo a visualizzare la vicenda narrata, ma sembra quasi di sentire il vento di cui parla la canzone. Insomma, una bomba. Quando ancora nell’abitacolo si stanno spegnendo le ultime note del pianoforte, guardo mio fratello con le lacrime agli occhi: “Ma questo chi è?!”, chiedo a metà tra l’incredulo e l’invasato. “Si chiama Murubutu, vero nome all’anagrafe Alessio Mariani, classe 1975, ed è nella scena rap dal 1991, quando fondò insieme ad altri amici La Kattiveria Posse”, la pronta risposta di mio fratello. Ma le sorprese non sono finite: infatti, mentre di notte (pare abbia problemi con il sonno) il Nostro crea racconti in rima che sono meglio di un audiolibro, di giorno è un tranquillo professore di filosofia al liceo. E non è nemmeno un caso che abbia citato l’oggetto libro, tanto che tutte le copertine dei suoi album, a partire da Il Giovane Mariani E Altri Racconti del 2009 fino all’ultimo superbo Tenebra È La Notte Ed Altri Racconti Di Buio E Crepuscoli, non solo rimandando a quelle di un’opera letteraria, ma seguono tutte un unico filo narrativo. Tra le perle della sua ultima fatica non si può non citare la romantica La Vita Dopo La Notte e la verbosa Wordsworth, inno alla luna che vede tra l’altro duettare Murubutu con Caparezza.
Se non siete alla ricerca del solito rap fatto di ritornelli accattivanti e tormentoni da spiaggia, ma volete emozionarvi con vicende tra il magico e il reale, sospinti da venti antichi verso stelle sconosciute, allora Murubutu vi farà scoprire non solo le suggestioni che può creare la nostra lingua, ma soprattutto l’emozione che provano i bambini nel farsi raccontare una bella storia.