Rammstein

Il Ritorno dei Rammstein

Un fiammifero in copertina pronto per essere acceso. Così si presenta il nuovo disco dei berlinesi Rammstein. Ci sono voluti dieci anni per dare un seguito a Liebe Ist Für Alle Da ma forse ne è valsa la pena. Già a marzo avevamo potuto ammirare il controverso video di Deutschland che con i suoi 9.23 minuti di follia e autocitazionismo stava preparando il terreno per un ritorno coi fiocchi. E bisogna dire che le promesse sono state rispettate. I Rammstein sono ancora i paladini incontrastati di quel sound che fonde perfettamente un muro granitico di potenza, elettronica e melodia. Basti pensare al fatto che oltre tutte le aspettative sono davvero riusciti a portare un certo tipo di metal (cantato in tedesco) alle masse. In realtà la truppa di Berlino in questi anni non si è mai veramente fermata, ha continuato a macinare spettacoli dal vivo da sempre di forte impatto visivo. I primi tre episodi del disco sono di quelli che non fanno prigionieri: dopo la già citata Deutschland segue il singolone Radio il cui ascolto conferma ancora una volta la capacità dei berlinesi di creare melodie orecchiabili e quanto mai potenti. Ma il primo vero punto in rete è Zeig Dich che dopo un coro medievale è l’inizio di una brano devastante e senza sbavature. Divertente invece l’episodio di Ausländer zeppa di suoni elettronici che regala un gramlot di lingue nel ritornello (si, ci siamo anche noi). Cala un po’ la tensione con Sex brano un po’ anonimo e non particolarmente memorabile. Till Lindemann è in forma straordinaria, e lo dimostra in maniera impeccabile nella malata Puppe, forse il punto più alto del disco. Davvero azzeccata è anche la ballad Diamant che non fa che confermare l’estrema versatilità della voce di Lindermanm mentre Was ich liebe strizza l’occhio a un sound più indie. Verso la fine c’è ancora posto per la violenta Tattoo e l’oscura Hallomann è il degno ultimo capitolo di un disco denso e corposo.
Si potrebbe dire a ragione che in dieci anni non c’è stato nessun tipo di evoluzione nel sound dei Rammstein ed effettivamente è così per tutta la loro discografia dal loro esordio nel 1994. Viene in mente un parallelo spontaneo con altre band come per esempio gli AC/DC ai quali spesso si è mossa l’accusa di fare sempre lo stesso giro di accordi e comporre compulsivamente lo stesso pezzo. Forse la domanda andrebbe girata al pubblico: vogliamo davvero ascoltare dai Rammstein qualcosa di diverso? Qualcuno accenda quel fiammifero.