Arrivato ormai alla soglia dei sessant’anni, Bryan Adams torna sul mercato discografico con un nuovo album d’inediti intitolato Shine A Light. È dal 2008, con l’ottimo 11, che il rocker canadese non regala al suo pubblico qualcosa di veramente succoso o che, quantomeno, si avvicini ai fasti del grandioso Reckless. Le ultime produzioni di Adams, infatti, non hanno certo brillato per originalità, anche se l’ultimo Get It Up riusciva conservare, pur nella semplicità dei brani, una certa dose di freschezza e di brio.
Ad aprire le danze ci pensa la title track, un brano scritto a quattro mani con il principe del pop rock Ed Sheeran e bisogna dire che la collaborazione non giova granché al nostro rocker: i due sfornano un singolone zuccheroso, con un ritornello centrale che più telefonato non si può. Anche il pezzo successivo That’s How Strong Our Love Is, che vede complice al microfono la splendida Jennifer Lopez, non riesce a salvare le sorti di una ballad scialba, che non lascia particolari emozioni all’ascoltatore. Le successive Party Friday Night, Party Sunday Morning e Driving Under The Influence Of Love, quest’ultima scritta con l’amico sodale di sempre Jim Vallance, smuovono finalmente un po’ dal torpore generale, ma la festa dura poco: infatti, le nuove speranze di svolta si infrangono immediatamente con il plagio (omaggio?) di All For Nothing. Voglio credere che la mega citazione del riff principale di Highway To Hell degli AC/DC sia stata voluta, altrimenti Adams si starebbe davvero coprendo di ridicolo. Da qui in poi è tutto un susseguirsi di inutili riempitivi: ci sono gli urlettini e gli “yeah yeah” di I Could Get Used To This, che riempiono letteralmente il minuto e mezzo della canzone (ma c’era bisogno di un brano simile?) e Talk To Me, un altro lento assolutamente anonimo. Ogni tanto, ci ricordiamo che stiamo ascoltando un disco di Bryan Adams solo per l’inconfondibile voce roca dell’autore, ma la sensazione è quella di trovarsi tra le mani un album di rock innocuo, un collage di brani spenti e privi di ispirazione. Verso il fondo (del barile), l’ultima accelerazione: The Last Night On Earth, musicalmente parlando, pesca a piene mani da qualsiasi cosa prodotta nell’ultimo decennio e, per finire, in coda troviamo una cover per chitarra acustica e armonica del classico irlandese Whiskey In The Jar, che risulta forse la prova più riuscita di questo Shine A Light.
In definitiva, spiace constatare che la luce di Bryan Adams che, per chi non se lo ricordasse, resta autore di alcuni dei singoli più venduti del pianeta, sia totalmente assente su questo lavoro. Così come dispiace ammettere che, probabilmente, quella luce fosse già affievolita da molto tempo. A ben vedere, l’unico effetto che riesce a questo lavoro è quello di far ripiangere i singoloni strappa-mutande e le hit da sparare a tutto volume in macchina di un tempo. Qui di luci non se ne vedono proprio, solo tanta nebbia.