Quando sei perso nel deserto sono poche le alternative che ti aspettano: o morire di stenti, o trovare un’oasi e la giusta strada per ripartire. È proprio questa l’immagine che bisogna tenere a mente per capire al meglio il decimo lavoro in studio dei Negrita.
Desert Yacht Club è sì una vera e propria oasi nel deserto californiano, ma per i Nostri è diventato anche uno spazio mentale dove rigenerarsi, elaborando vecchie e nuove ferite per trasformarle in un nuovo capitolo del loro percorso musicale. Con il passare degli anni, per noi che stiamo dall’altra parte delle casse, è stato essenziale imparare ad avere un orecchio aperto, attento alle evoluzioni e ai cambi di stili di una band in continua evoluzione e in effetti, già dalla prima traccia (la ritmata Siamo Ancora Qua), Pau avverte subito l’ascoltatore che “la musica è cambiata” e che loro, nel bene e nel male, se ne assumeranno tutti i rischi. Segue a ruota la melodica e trascinante No Problem e già a questo punto è impossibile non notare che il sound di questo album, oltre che riportare a certe sonorità reggae già utilizzate in precedenza, è venato da inserti elettronici molto ben dosati e mai fuori contesto. In questo senso, un altro ottimo esempio è costituito dalla (stupenda) traccia Milano stanotte, le cui strofe quasi cantautorali di Pau, grazie a pennellate sinuose, descrivono le tinte affascinanti e pericolose di una Milano notturna capace di risvegliare fate e demoni. Scritto Sulla Pelle, il terzo singolo estratto, invece è forse il brano più classico dell’intero lavoro e sembra evocare in qualche modo le atmosfere di Brucerò Per Te.
Dal punto di vista dei testi, con DYC siamo di fronte a una scrittura matura e pregna di significato che porta ad un parallelo con l’ultimo concept di Caparezza, un altro artista capace di trasformare l’autolettura chiara e sofferta di sé in musica. Non dobbiamo tuttavia pensare che il disco sia una celebrazione del dolore fatta di brani cupi a tinte fosche: se è vero che la malinconia per i tempi andati o per la scomparsa di persone care trova spazio in un brano come Non Torneranno Più, va detto che la maggior parte delle tracce è portatrice di valori completamente opposti. Troviamo infatti anche il grido d’amore di un padre alla propria figlia di Voglio Stare Bene, una ballata davvero riuscita, così come l’inno elettro/rock La Rivoluzione È Avere 20 Anni, culmine di questo incedere al positivo e che sicuramente farà faville dal vivo. Forse, l’unica pecca che si può trovare in questo ottimo ritorno è la mancanza di una vera e propria scossa rock, anche se, nel finale, la ritmata Adios Paranoia e Talkin To You, con tanto di rap di Ensi, riportano tutto sui lidi cui i Negrita avevano abituato i propri fan agli esordi. Probabilmente, una traccia più ritmata al centro dell’album non avrebbe sfigurato. La conclusiva Aspettando L’alba è musicalmente la summa di tutto il disco, in cui le influenze dell’album confluiscono spingendosi fino a sfociare in una sorta di samba elettronico. Il testo scritto da Drigo è chiaramente una richiesta d’aiuto a un dolore forse troppo difficile da digerire, ma che alla fine si apre alla possibilità di un’alba salvifica in arrivo. Dopo quasi venticinque anni di carriera, i Negrita continuano a scrivere musica non per riempire gli scaffali dei negozi, ma per esorcizzare i propri demoni e, ancora una volta, riescono nell’intento. Alla fine dell’ascolto, come alla chiusura di un cerchio perfetto, non possiamo che tornare alla prima traccia, questa volta con una certezza nel cuore: c’è davvero qualcosa nelle canzoni che ci salverà.