Non sono tra quelli che considerano Dave Grohl un paraculo, cosa che ultimamente va molto di moda, ma credo che negli ultimi dieci anni ci abbia abituato così bene e abbia alzato così tanto l’asticella, da rendersi la vita sempre più difficile.
Prendiamone atto: nonostante resti molto difficile immaginare cosa passi per la testa di Grohl ogni qualvolta decida di registrare nuovo materiale, anno dopo anno diventa più evidente che i risultati finali siano sempre meno sorprendenti e, in qualche modo, più vicini a qualcosa che potremmo definire, senza paura di grosse smentite, frutto di una formula ormai consolidata. Non me ne vogliano i fan, come me per altro, ma nonostante sia sempre stato evidente il fil rouge in grado di unire tutta la loro discografia, la sensazione è che oggi Dave e soci continuino a produrre ottima musica, ma senza quella capacità di sorprendere che, fino a qualche anno fa, rappresentava uno dei grandi punti di forza della band. Certo, va detto che da In Your Honor ad oggi, i Foo Fighters le abbiano davvero provate tutte, il che per forza di cose ha finito per ridurre in qualche modo il raggio di azione e le possibilità di sorprendere un pubblico che, col tempo, è diventato sempre più esigente. Tuttavia, sembra quasi che dalla pubblicazione di Wasting Light in avanti sia diventato tutto un po’ troppo prevedibile. Forse il successo di quel disco, unito al naturale processo evolutivo del gruppo, ha finito per trasformare i Foos nella band più richiesta al mondo, ma ne ha anche accelerato il processo di invecchiamento, ponendola di colpo tra i grandi classici della storia del rock e, di conseguenza, togliendole qualcosa in termini di spontaneità. Insomma, siamo sempre stati abituati a pensare a Grohl come ad un perenne cazzone di venticinque anni e, in un attimo, ci accorgiamo che i cinquanta siano dietro l’angolo. Premesso ciò, ce ne fossero di uscite come Concrete And Gold. Se ci mettiamo a considerare le ultime due uscite, per esempio, l’album si inserisce in una posizione di tutto rispetto, sicuramente un gradino sopra a Sonic Highways che, per chi scrive, resta troppo legato a tutto il progetto che vi stava dietro. Se ancora oggi Wasting Light viene considerato all’unanimità (o quasi) l’album definitivo della band dell’ex batterista dei Nirvana, Concrete And Gold ne riprende chiaramente qualche intuizione e ne amplifica altre che, ai tempi, erano state solo accennate. Sembra sempre più evidente che la band in qualche modo stecchi nel momento in cui si ostina ad osare di più o di sorprendere a tutti costi, tanto da finire paradossalmente per autolimitarsi. Se, un tempo, le dichiarazioni iperboliche di Dave erano lette con ironia, sentirlo parlare oggi di “Motörhead’s version of Sgt Pepper” and “Slayer making Pet Sounds” pare nascondere proprio quel dover a tutti costi creare una mitologia che, qualche volta, puzza di forzato. Ed è un peccato, perché il disco è zeppo di episodi molto validi, ma che rischiano di finire ingabbiati in pensieri tipo: ah, ok, questo è il classico pezzo di Foo Fighters. Dei brani già resi pubblici, Sky Is A Neighbourhood resta forse l’episodio più convincente, mentre tra gli altri spiccano senza dubbio Sunday Rain, Happy Ever After (Zero Hour) e la monumentale title track, quello sì il classico pezzo che da solo vale il prezzo del biglietto. Nella prima, la band pesca uno dei suoi jolly più efficaci di sempre, ponendo Sir Paul McCartney alla batteria e producendo, di fatto, forse l’episodio più beatlesiano della propria carriera proprio insieme ad Happy Ever After (Zero Hour). Per altro, non dimentichiamo mai quanto piacesse a John Lennon dichiarare che il miglior batterista dei Beatles fosse proprio Paul e non Ringo. In generale, si avverte un’attenzione molto più spiccata verso le liriche, anche questo senza dubbio un processo che va di pari passo con la maturità acquisita dal gruppo e, nello specifico, da Grohl. La scelta di chiudere con il brano che dà il titolo all’opera, oltre a ricordarci l’amore di Dave per il concetto di album, risulta la migliore possibile: brano cupo, dall’incedere lento e minaccioso che riporta alla mente i migliori Black Sabbath, accompagnato da un ottimo testo e da un cantato che, nel ritornello, apre a metà discografia dei Pink Floyd. Facendolo con gusto e, dobbiamo ammetterlo, riuscendo in qualche modo a fregarci anche questa volta. Proprio come ha voluto fare il grande Grant Hart, insieme a John Bonham il più grande punto di riferimento musicale del leader dei Foos, che ha deciso di lasciarci proprio alla vigilia dell’uscita di Concrete And Gold.