Sarà che negli ultimi anni abbiamo potuto ammirarlo più volte, nelle molteplici vesti di leader della propria band e di quegli Hollywood Vampires passati forse troppo inosservati nel nostro paese, ma non ci eravamo accorti che fossero già passati sei anni dall’ultimo album di Alice Cooper. Poco male, perché, in attesa di vederlo dal vivo in autunno, all’improvviso il buon Alice ci ridà il benvenuto nei suoi nuovi incubi, che, come ci ha confessato, non sono poi così diversi da un tempo…
Innanzitutto, bentornato Alice. Non stiamo mai bene quando passano troppi anni tra un tuo disco solista e il successivo.
“Ora stai meglio, quindi (ride, ndr)? Era inevitabile che passasse un po’ di tempo tra un album e l’altro. Ormai posso permettermi di pubblicare nuova musica solo quando ne sento l’esigenza e non per obblighi contrattuali o per dover sopravSeivivere economicamente. Cose che per altro ho vissuto nel corso della mia carriera e che conosco molto bene. La storia insegna che quel tipo di album difficilmente siano i migliori della discografia di un artista, quindi qualcosa vorrà pur dire. Tuttavia, devo ammettere che, se non avesse preso vita il progetto degli Hollywood Vampires, non avrei impiegato tutti questi anni per un nuovo album a mio nome. Ad ogni modo, ora siamo qui, ho radunato forse il manipolo di musicisti più eclettico da quando registro album e sono felicissimo di quello che ne è nato. Roger Glover, Larry Mullen, Billy Gibbons, la vecchia Alice Cooper Band e Bob Ezrin: credo che poche volte
A distanza di mesi dalla registrazione, quali sono i tuoi sentimenti riguardo Paranormal?
Se ci pensi, in qualche modo, gran parte della mia carriera ha girato intorno al tema del paranormale, dell’invisibile agli occhi insomma, quindi era inevitabile che prima o poi mi sarei deciso ad utilizzare esplicitamente un termine che, in genere, viene usato a sproposito, ma che mi ha sempre affascinato tantissimo. Non posso che sentirmi molto bene nei suoi confronti, perché è il frutto di un lavoro molto intenso, ma allo stesso tempo mi ha permesso di tornare a confrontarmi con la mia musica e non con quella dei Vampires, che concettualmente era tutta un’altra cosa. Non si tratta di un concept sul paranormale, comunque. L’obiettivo non era assolutamente quello di terrorizzare i miei fan, ma piuttosto quello di creare qualcosa di differente dalla normalità. Normalità che in questo senso assume i significati più disparati. Di certo, non è il classico album di Alice Cooper, ma nemmeno qualcosa che spiazzerà il pubblico dall’inizio alla fine.”
Quel che è certo che non manca il classico senso dell’umorismo che pervade ogni tuo album. In questo senso, possiamo dire tu abbia sempre seguito l’insegnamento di Frank Zappa?
“Assolutamente sì. Frank era un grande amico e senza dubbia la cosa per cui non finirò mai di ringraziarlo è proprio quella di aver mostrato la via in un certo senso. C’è un chiarissimo filo diretto tra il mio umorismo e il suo, anche se l’oggetto di tale umorismo non è quasi mai stato il medesimo. Does humor belong in music (citazione di un album di Zappa, ndr)? Credo assolutamente di sì, come dimostra per esempio un brano come Genuine American Girl, da questo punto di vista il più zappiano in assoluto del disco e, non a caso, una delle nuove composizioni della Alice Cooper Band originale. Tutto torno, in qualche modo. Poi ho sempre amato lasciare tutto un po’ in sospeso, in modo che la gente non capisca mai bene fino a quando arriva lo scherzo e dove parta altro. Quando parlo di Paranoiac Personality e dico che si tratta di un brano autobiografico faccio proprio questo: un po’ scherzo, ma per il resto sono maledettamente serio.”
L’importante resta non prendersi troppo sul serio e, soprattutto, non cercare di convincere nessuno su questioni troppo elevate. È ancora quello che fai?
“In realtà ci sono questioni elevatissime che si possono affrontare con un brano, come la perdita di una persona cara, solo per fare un esempio, od omaggi simili a quelli registrati insieme a Joe e Johnny (Perry e Depp, ndr) per il nostro progetto Hollywood Vampires. Quello che credo sia profondamente sbagliato è pensare di poter insegnare qualcosa a chi ti ascolta, un rischio che però è sempre presente quando scrivi musica e ti trovi a confrontarti con manie di onnipotenza che rischiano di farti perdere completamente il senso di tutto. Non entrerei mai su territori come quelli della politica militante o della religione, perché mi rendo conto che siano argomenti così delicati e personali che sarebbe in primis svilente affrontarli in tre o quattro minuti, con la pretesa di poter insegnare qualcosa. Sono pieno di album di grandi artisti che hanno votato la loro esistenza a questo, penso a John Lennon o allo stesso Frank, che di certo non le mandava a dire ai politici, ma anche loro non si sono mai trasformati in predicatori o cose del genere.”
Quindi, in definitiva, i tuoi brani hanno a che fare solo ed esclusivamente con la musica…
“I miei brani, ognuno di essi, ha esclusivamente a che fare con il rock ‘n’ roll. Nient’altro. Mi hanno descritto in ogni modo, io stesso ho cambiato pelle più volte, ma di fondo non sentirai mai un brano di Alice Cooper che non abbia legami con il rock ‘n’ roll. Quello è il mio unico metro di giudizio. Per quello nel nuovo millennio sono tornato a fare quello che sapevo fare meglio, anche se tutto era iniziato con album come Brutal Planet e Dragontown che poco avevano a che fare col resto della mia carriera e che il pubblico aveva comunque mostrato di apprezzare. Sento un filo diretto ben preciso con gli anni sessanta, con gli Stones e Bob Dylan, per esempio. Ecco, sono una specie di Bob Dylan truccato e paranoico. Anche se qualche piccola deviazione credo l’abbia anche lui. Il suo concetto di Neverending Tour mi ha sempre affascinato: porta con sé qualcosa di profondamente disturbante, come se in qualche modo sfuggisse in modo forzato a qualcosa, magari a cose che, se si fermasse, sarebbe costretto ad affrontare. Non so, ma questa cosa del paragone con Dylan mi esalta molto (ride, ndr).”
Credi che Paranoiac Personality sia il brano cardine del disco o semplicemente il più radio friendly?
“Probabilmente è solo uno dei più classicamente Alice Cooper del disco, da ogni punti di vista. Non credo, tuttavia, che possa essere considerato il brano cardine del disco, anche perché non penso sia facile individuarne uno in particolare. Ho parlato molto con Bob (Ezrin, ndr) delle tracce ed entrambi eravamo d’accordo su una cosa: ogni brano di Paranormal potrebbe appartenere ad un periodo ben specifico della mia carriera. Puoi trovarci Welcome To My Nightmare, così come Billion Dollar Babies o tanti altri. E allo stesso tempo credo sia anche molto moderno: Bob è vecchio come me, ma non ha perso minimamente la voglia di mettesi in gioco e di rischiare un po’. In questo ci assomigliamo moltissimo. Non sono io a dover parlare del suo talento, ma fa parte di una generazione in via d’estinzione, quella in grado di cambiare tutto quello che tocca. Guarda che lavoro ha fatto con i Deep Purple negli ultimi anni.”
In effetti, l’inizio con la title track è assolutamente in linea con quello che chiunque poteva aspettarsi da te. Poi ci sono brani come Fireball, che stupirà molte persone…
“(Ride, ndr) Sì, Fireball è assolutamente inclassificabile. Parte fortissimo, quasi fosse un pezzo metal, per poi evolversi in qualcosa di davvero diversa da qualsiasi cosa abbia fatto in passato. È un pezzo molto catchy, con la voce filtrata e sonorità al limite tra più generi: a qualcuno non piacerà, anche se mediamente ho avuto tutte risposte molto positive. Anche Holy Water è un pezzo che non ti aspetteresti mai in quel punto dell’album, una roba quasi da Broadway, divertentissima da cantare e che vorrei aggiungere alla scaletta dal vivo perché credo possa funzionare davvero bene. Sono davvero felice del risultato finale, perché racchiude tutto quello che volevo: c’è un po’ di nostalgia, ma allo stesso tempo non è mai derivativo o smaccatamente retrò, cosa che non riuscirei comunque a fare senza sentirmi in colpa nei confronti di chi ascolta.”
Hai parlato spesso degli Hollywood Vampires. Possiamo parlare di un progetto estemporaneo o credi possa davvero avere un futuro?
“Ti posso già dire che è sicuro che il progetto avrà un futuro, perché abbiamo già fissato le date per l’incisione del nostro secondo album. Quella con Joe e Johnny è stata una delle esperienze più genuinamente rock ‘n’ roll che mi sia trovato a vivere da tempo e nessuno di noi aveva minimamente intenzione di lasciar evaporare tutto dopo il disco è il tour successivo. L’unica nota negativa, che poi fortunatamente non ha avuto conseguenze, fu il malore di Joe Perry: lì ci siamo davvero spaventati, anche perché sembrava davvero che fosse un anno maledetto per i vecchi eroi del rock. Per forza di cose, un progetto come quello è qualcosa di più nostalgico, perché ricorda una serie di amici che non sono più con noi, ma credo si sia fatto nel modo giusto, divertendosi come ai tempi. Ora mi dedicherò completamente a Paranormal, Joe ha il suo tour d’addio con gli Aerosmith e Johnny, Johnny non so mai bene dove sia e con chi. Ma non vedo l’ora di vestirmi nuovamente da vampiro (ride, ndr).”
Pensi che sarà un altro album di cover o potreste mettervi a scrivere qualcosa insieme?
“L’ultima volta che ne abbiamo parlato eravamo tutti molto combattuti. Da artisti, sentiamo l’esigenza di comporre nuove tracce. Inoltre, il tour ha creato la classica alchimia che potrebbe essere sfruttata al meglio in studio ora. D’altra parte dobbiamo anche ricordarci l’origine del progetto e della band originale, che comunque era più un concetto, un’idea, piuttosto che qualcosa di compiuto. Sono convinto che l’idea rimanga anche se componi nuove canzoni, perché alla fine è tutta una questione di attitudine, ma vedremo. Di certo non voglio che il tutto si trasformi in qualcosa che venga percepita come un nuovo album di Alice Cooper con ospiti. È proprio l’ultimo dei miei desideri e devo stare molto attento perché i media tendono sempre a ridurre tutto ai minimi termini, mandando a fare in culo tutti i tuoi propositi e tutto quello che avevi pensato di un progetto. Quando ci ritroveremo nello stesso studio, probabilmente, avremo maturato la risposta definitiva alla tua domanda.”
Passare tanto tempo con Johnny Depp ha riacceso la tua voglia di cinema? Possiamo ancora sperare di vederti recitare in qualche film prossimamente?
“La voglia di cinema non si è mai spenta. Mi piacerebbe molto, anche se in realtà non saprei davvero dove trovare il tempo in questo momento. Però anche solo una piccola parte, da registrare in pochi giorni, riuscirei tranquillamente a farla. Di sicuro non potrei essere il protagonista principale di un film (ride, ndr). Ogni settimana ricevo una quantità di sceneggiature che non ho più nemmeno lo spazio in cui tenerle. Alcune davvero pessime, altre invece molto interessanti, ma per le quali mi ci vorrebbe davvero troppo tempo. Posso solo immaginare quante stanze piene di copioni potesse avere David Bowie! Un’accoppiata che sulla carta mi intriga moltissimo è quella composta da Dario Argento e Iggy Pop, potenzialmente letale. Solo che non ho capito bene quali problemi ci siano dietro al film. Sembra non trovino i finanziamenti, che mi pare davvero un crimine, soprattutto quando vedo tutta quella spazzatura che trova fonti per essere prodotta e diffusa. Sarebbe un’occasione persa, speriamo di no.”
Hai visto i mash up in rete con la copertina di Welcome To My Nightmare e l’agente Cooper di Twin Peaks? Sei un fan di Lynch e della serie?
“Sì e mi ha fatto molto ridere: la rete è abitata da milioni di idioti, ma anche da geni assoluti. Credo che Twin Peaks sia stata la cosa più innovativa mai apparsa in tv, o qualcosa di simile. Quando uscì la prima serie, tutto quello che passavano le tv per famiglie era roba tipo Dinasty o porcate di quel genere. Poi, di colpo, arrivò quella storia terrificante, che mostrava il lato peggiore della provincia americana e lo faceva in un modo così innovativo, onirico e malsano da sconvolgere chiunque. Ancora oggi, nonostante stiamo vivendo la più grande epoca per le serie tv, in cui le cose più belle che si sono viste sullo schermo negli ultimi dieci anni arrivano proprio da lì e non dal cinema, quella storia resta altamente disturbante. La terza serie ha riacceso di colpo quella miccia e, personalmente, fino ad ora sono assolutamente ammaliato dalla nuova storia. La sensazione è che, ancora una volta, Lynch ci stia sottoponendo a qualcosa che impiegheremo diverso tempo a capire, a decifrare. Quel che è certo è che non avrò altri venticinque anni da aspettare per capire come andrà a finire.”
Oggi la tua fama è quella di un vero gentleman, disponibile e divertente. Forse una volta non erano tutti così felici di avere a che fare con te. Il vecchio Alice si ripresenta mai alla porta?
“Il vecchio Alice è sempre con me. Il più grande errore è quello di rifiutare una parte della tua anima, sia essa buona o completamente disfunzionale, perché allora sì che si ripresenterà e sarà anche ingigantita dalla rimozione. È vero, chi oggi parla così di me, forse non ha avuto a che fare con me alla fine degli anni settanta o, paradossalmente, sì e ha visto quanto ho lavorato su me stesso. Lavorato per non morire, sostanzialmente. Ho passato periodi della mia vita in cui ho fatto male alla gente che mi amava, questa è l’unica cosa di cui mi vergogno davvero. Il resto fa parte di quella strada che forse non tutti affrontano, ma che per un animo inquieto come il mio non era possibile evitare. Aggiungici che giovanissimo giravo il mondo come una delle maggiori attrazioni musicali d’America. Quello che faccio oggi finalmente viene colto per quello che dev’essere, ma ai tempi la gente non capiva nulla. Pensavano vivessi in casa con i morti (ride, ndr) o cose del genere. Poi tutto divenne fuori controllo e, come capitato a molti, il personaggio prese il sopravvento sull’uomo.”
Quindi non hai sconfitto tutti i tuoi demoni, ma hai solo imparato a gestirli in modo che non ti creino problemi?
“No, beh, alcuni li ho sconfitti del tutto, altrimenti questa intervista non sarebbe mai avvenuta. Con l’alcol ho dovuto assolutamente intervenire in modo drastico o mi avrebbe ammazzato. Ecco, probabilmente quello potrebbe farmi sprofondare di nuovo nell’abisso. È una paura che mi porterò dietro sempre e che accomuna molti artisti della mia generazione. Sostanzialmente non ce ne fregava nulla del futuro, ma soprattutto non avevamo idea di dove ci avrebbe portato quell’edonismo sfrenato fine a se stesso. Comprendimi, non rinnego niente e credo di aver vissuto una delle vite più folli ed eccitanti che si possano immaginare, ma ricordo perfettamente anche quanto sono stato male dopo e, credimi, le vette si equivalgono. E non è il classico discorso dell’anziano che dice ai ragazzi di non farlo, ognuno deve vivere la sua vita come crede, ma semplicemente una cosa dettata dal fatto che io il percorso l’ho fatto per intero, non solo la prima parte. E non è stato bello. È come se un eroinomane ti parlasse della sostanza dopo il primo buco: ti descriverebbe il paradiso.”
Tornando all’album. Credo che tre ospiti più eterogenei di quelli che hai nel disco sia difficile trovarli!
“In effetti, Paranormal è un album particolare anche in questo senso. Forse era dai tempi di Trash che non avevo tanti ospiti di rilievo su un mio album, ma quella fu tutta un’altra storia, come sai bene. Comincio col dirti che credo di avere una delle band con cui mi sono trovato meglio nel corso della mia carriera: hanno entusiasmo, energia e la cosa inevitabilmente mi costringe a superare i miei limiti. Limiti che oggi hanno a che vedere più che altro con l’età, perché per il resto possiedo ancora una mente molto aperta (ride, ndr). L’album, quindi, era già perfetto con la formazione che suona la maggior parte dei brani. Roger (Glover, ndr) è un amico di vecchia data, un musicista eccezionale e una persona splendida. Da tempo volevamo fare qualcosa insieme e siamo stati aiutati dal fatto che Bob avesse appena finito di lavorare al loro ultimo disco. Per Gibbons e Larry Mullen Jr, invece, le cose sono andate diversamente. In effetti, pensare al batterista degli U2 su un album di Alice Cooper può sembrare bizzarro. Ho sempre amato gli U2, ma non ho mai pensato a collaborazioni con loro, fino a quando Bob ha deciso che Larry sarebbe stato perfetto su alcuni passaggi del disco.”
E Gibbons, invece, l’hai scelto tu?
“Sì, quella è stata una scelta mia. Stavamo lavorando al brano che poi è diventato Fallen In Love e mi sono detto: questo pezzo lo deve suonare Billy, altrimenti tanto vale che non lo mettiamo nemmeno sul disco. Mi ero fissato, lo sentivo già suonare sulla traccia, una cosa che non mi era mai capitata. Sentivo che non avrebbe potuto suonarla nessun altro in quel modo e, infatti, avevo ragione. Dovresti sentire la versione prima del suo arrivo per capire cosa sto dicendo. Anche i brani con la vecchia formazione mi hanno commosso, perché mi confermano ogni volta che quello che abbiamo fatto ha lasciato un segno indelebile in ognuno di noi, al di là dei risultati artistici e di vendite, che mai come in questa fase della mia vita mi rendo conto che non contino davvero nulla. Tanto anche di soldi ne sarebbero bastati molti meno per stare comunque tranquilli, tutti quelli che sono arrivati dopo hanno creato solo mostri, come è inevitabile che sia. Mi ripeto, ma credo che Genuine American Girl sia uno dei pezzi più divertenti che abbiamo mai scritto e possiede tutto ciò che deve avere un brano della Alice Cooper Band.”
Pensi di guadagnare una fetta di mercato differente con Paranormal?
“Onestamente? Non credo. Se ti riferisci agli ospiti, al di là di Larry, che comunque non credo porterà in massa il pubblico degli U2 ad ascoltarmi, tutti gli altri gravitano intorno a me in qualche modo. Chi ascolta gli ZZ Top o i Deep Purple è molto probabile che abbia i miei dischi in casa. L’unica cosa che ho compreso ai tempi di Dragontown è che ho impiegato quasi cinquant’anni per crearmi una splendida fanbase ed è quella che mi devo rivolgere. Anche gli spettacoli che porto in giro hanno solo quell’obiettivo, tant’è che non vedrai mai grandi stravolgimenti tra un tour e il successivo: la gente vuole quello e gli do quello, perché è l’unica cosa che so davvero fare nella vita. Il resto non conta nulla.”