C’è vita dopo Modena Park? La domanda è di quelle da un milione di dollari e di certo sarà difficile rispondere sull’onda emotiva di un concerto che non ha avuto eguali in Italia e, per certi versi, nemmeno nel mondo. Ci siamo stati, abbiamo pianto e riso un secondo dopo, come è giusto che sia. Ecco la cronaca di una celebrazione annunciata.
Basterebbero i migliaia di post riguardanti Modena Park degli ultimi sei mesi per comprendere l’entità di un evento che, va detto, avrebbe riscosso il medesimo successo anche senza l’incredibile macchina pubblicitaria (una cosa senza precedenti da ogni punto di vista) messa in piedi per l’occasione. Mai, e dico mai, prima della celebrazione di una delle figure più influenti degli ultimi quarant’anni, era stato messo in piedi qualcosa del genere: un tempo, per esempio, il merchandise ufficiale veniva venduto al concerto; questa volta bastava entrare in qualsiasi negozio, dal salumiere all’edicola, per trovare qualcosa di legato all’evento o a Vasco in senso lato. La cosa, inevitabilmente, ha infastidito qualcuno, soprattutto tra chi ancora non ha è ancora riuscito a comprendere (e a questo punto non accadrà mai) l’influenza di Vasco e della sua poetica non solo tra gli artisti che hanno tratto ispirazione da lui, ma anche da tutti quei radical chic che credono di essere innovativi imbracciando una chitarra acustica, cantando di cose che potreste ritrovare (fatte meglio) sui primi quattro o cinque dischi del Blasco. Premesso ciò, Modena Park è stato quello che doveva essere: il più grande show mai messo in piedi da un artista italiano nella storia della musica. E l’articolo potrebbe concludersi qui. Tuttavia, è stato molto di più. In tre ore e quaranta di show è andato in scena il compendio perfetto di tutto ciò che Vasco è stato per ognuno dei presenti, perché come capita solo per pochissimi artisti al mondo, c’è un Vasco per ognuno di noi. Ieri sera hanno goduto tutti: i reduci, i soliti, quelli arrivati prima di Fronte Del Palco e quelli del dopo Imola. Quelli che conoscevano solo gli ultimi singoli e chi ha legato alla sua musica ogni momento della propria vita. E nessuno aveva più ragione degli altri. L’inizio, inevitabile, con Colpa d’Alfredo è stato però in grado di unire tutti in un climax ascendente culminato in quel mi vuoi portare a casa questa sera? Abito fuori Modena…Modena Park urlato all’unisono, come una liberazione. Vasco è felice, si vede subito. Entra insieme alla band (impeccabile come sempre), evitando ogni tipo di divismo, quasi in sordina e illuminato ancora dal sole. L’attacco di Alibi, uno dei brani più desiderati da sempre dal vivo, seguita da Blasco Rossi e Bollicine (da tempo immemore fuori dalle scalette) ci conferma che, possiamo aver visto decine di suoi concerti, ma niente si avvicinerà a questo, nemmeno Imola ’98. Alcune delle emozioni più grandi arrivano però dagli ospiti della serata: rivedere sullo stesso palco Gaetano Curreri, una delle figure fondamentali per la carriera del nostro, Andrea Braido (inspiegabile che sia uscito dal circuito che conta) e, soprattutto, Maurizio Solieri è stato in grado di commuovere anche i meno sensibili, aumentando il valore storico di qualcosa che già con una setlist del genere sarebbe entrato senza problemi di diritto nella storia. Nel corso della serata, infatti, tutte le epoche della discografia vaschiana vengono toccate, riuscendo a bilanciare perfettamente brani che, talvolta, non sembrano nemmeno appartenere allo stesso autore. A unire idealmente tutte le anime di Vasco ci ha pensato I Soliti, posta strategicamente come primo encore della serata: la migliore dimostrazione del fatto che chi dice che Vasco dopo il ’98 non abbia più scritto un brano significativo, non abbia capito nulla dell’evoluzione di un uomo che non ha mai avuto paura di mostrarsi per quello che è realmente. Nel bene e nel male. Non manca nessuno degli archetipi della sua filosofia, dalla libertà, alle favole, passando per le nuvole e mille altri temi ricorrenti nel suo canzoniere, così come tutte quelle piccole contraddizioni che fanno di un uomo un artista e viceversa. Vasco non ha mai avuto paura di sbagliare o di apparire contraddittorio, perché non c’è nessuna cosa sbagliata nell’esserlo. Così come era iniziata, la serata si conclude nell’unico modo possibile: Canzone cantata da ognuno dei duecentoventi mila presenti, dedica a Massimo Riva e Albachiara attaccata insieme a Curreri e Solieri. Arrivare anche a questo punto del concerto avrebbe significato vedere tutto il Vasco possibile.
Inevitabile, dopo una serata del genere, chiedersi cosa possa venire dopo, ma francamente sono cose che preferisco lasciare alle guerre da social. Perché Vasco è e sarà sempre libero. Libero di sbagliare, libero di non ritornare.