The Dead Daisies: John Corabi Parla Di Live And Louder

 

Un progetto nato in sordina, quasi nell’anonimato, trasformatosi in una manciata di anni in uno degli act più divertenti e genuinamente old school di quel rock, o hard rock, cui in genere viene affibbiato l’appellativo di classico. Questi, in poche parole, sono oggi i Dead Daisies, che dopo tre album da studio giungono alla pubblicazione Live And Louder. Un disco che, secondo John Corabi, li consacrerà definitivamente.

Per chiudere questo mini ciclo iniziato pochi anni fa e culminato con i primi tour da headliner serviva un disco dal vivo come Live And Louder. È questa la vera essenza dei Dead Daisies?

Essendo tutti musicisti con una certa esperienza, facciamo parte di quella scuola secondo cui puoi fare quello che vuoi in studio, ma se poi dal vivo non riesci ad esprimerti ad alti livelli non ha nemmeno senso andare avanti. Il pubblico ha amato subito l’idea di David (Lowy) di un hard rock senza fronzoli, già di per sé impostato principalmente sulla dimensione live, che potesse riportare un po’ di old school in un panorama sempre più in mano ad altre sonorità. La cosa è nata quasi per gioco, con continui cambi di line up e un programma non definito, poi nel tempo ogni pedina si è posizionata al posto giusto ed eccoci qui a raccontare qualcosa di davvero incredibile, passato per piccoli locali, arene sempre più capienti e persino da Cuba, un’esperienza che ancora ci emoziona.”

Diciamo che quello è stato uno dei punti di svolta per voi. Da Revolucion in poi le cose hanno iniziato a farsi maledettamente serie…

In realtà, che le cose si fossero fatte davvero serie ho avuto la sensazione solo quando siamo entrati in studio per il disco successivo. Essere stati la prima bana americana a suonare a Cuba è stato qualcosa di pazzesco, un’esperienza che non riesco ancora bene a descrivere perché forse non sono ancora riuscito ad interiorizzarla del tutto. Tuttavia, io ero entrato da poco, la band continuava a cambiare formazione e tutto sembrava più uno splendido side project piuttosto che qualcosa di così grande. Mexico un po’ ha cambiato le carte in tavola e ha fatto girare il nome del gruppo in ogni angolo del mondo, quindi da quel momento abbiamo capito che non si scherzava più. Oggi un disco dal vivo non ha più l’importanza che poteva avere negli anni settanta, dove spesso rappresentava il primo successo di un gruppo, ma rappresenta più che altro un punto. Da cui ripartire immediatamente.”

Il dictat di David Lowy è sempre stato uno: divertirsi. Altrimenti nulla avrebbe avuto senso. Da questo punto di vista è cambiato qualcosa?

David è un professionista incredibile, quindi è il primo a parlare di divertirsi ma con un rispetto per il proprio mestiere e per il pubblico che lo porta ad essere meticoloso e perfezionista. Quando sono entrato nella band, i componenti erano quasi tutti diversi da oggi, ma io sapevo perfettamente che quello sarebbe potuto accadere, proprio perché David era stato chiaro fin dall’inizio. Sapeva di avere a che fare con musicisti molto impegnati, che quindi da un momento all’altro avrebbero potuto lasciare il gruppo, ma il suo scopo era quello di suonare insieme solo per il gusto di farlo. Non importava chi suonasse, l’importante era che possedesse quello spirito. Ecco, credo che quell’aspetto non sia mai cambiato, nemmeno oggi che la line up è sostanzialmente stabile. Il prossimo album potrebbe essere qualcosa di completamente nuovo, ma non perderebbe continuità. Io stesso non avrei pensato di arrivare a questo punto, l’avevo presa come una pausa dal lavoro con la mia band.”

Onestamente, ora come ora sembrerebbe impensabile vederti lontano da questa band. Sembra davvero che tu abbia trovato la dimensione che ha sempre cercato. Mi sbaglio?

Con la mia band mi trovo a meraviglia e sicuramente fino al mio ingresso nei Dead Daisies era stata la cosa che si era avvicinata maggiormente alla mia idea di gruppo, per lo meno in questa parte della mia vita. Devo dire che se parliamo di esperienze mainstream, questa è quella in cui tutto va come dovrebbe andare: nessun divismo, stessa visione della vita e della musica, complicità totale. Credo sia per questo che la gente abbia la sensazione che non mi sia mai trovato così bene in un gruppo. Stanno persino diminuendo le domande sui Mötley, che un tempo erano l’argomento principale delle mie interviste (ride, ndr). Sinceramente, so che l’età è un fattore fondamentale in queste cose, tanto che oggi come oggi le cose probabilmente funzionerebbero anche nei progetti che non sono proseguiti. Un conto è fare certe cose a venticinque anni, un altro a cinquanta. Se le dinamiche fossero le stesse ci sarebbe da preoccuparsi seriamente.”

Anche se il mercato è completamente cambiato, vedi questo album come la consacrazione definitiva del gruppo e dell’intero progetto?

L’idea di David era quella di mettere in piedi una sorta di collettivo che potesse avvalersi dell’apporto di alcuni grandi nomi della scena australiana e di Los Angeles per fondere due filosofie musicali che avevano dato vita a pagine fondamentali della storia del rock. Se la vedi così, il suo progetto si è pienamente realizzato. Per il resto, una band non ha bisogno di leggere sui giornali che il disco che sta per pubblicare potrebbe cambiare in meglio le sorti della sua carriera: è una cosa che ogni musicista avverte dentro di sé al momento opportuno. Tutti conosciamo il mercato discografico odierno e nessuno di noi è uno sprovveduto. Le nostre età ci permettono di capire in anticipo certe cose, ma allo stesso tempo di affrontarle con la giusta dose di buon senso. Non sto dicendo che le vivi in modo distaccato, ma semplicemente che sono meccanismi che ti sei già trovato a vivere e che quindi sai come prendere.”

In Live And Louder si percepisce una libertà più simile a quella di Revolucion che a quella del successivo Make Some Noise, ma forse è una mia sensazione.

Capisco a cosa ti riferisci e in parte posso anche essere d’accordo con te. Non perché consideri Make Some Noise meno diretto del precedente, ma perché Revolucion l’abbiamo iniziato e completato in un mese, quindi con moltissime parti diventate definitive dopo il primo take. Quella velocità ha dato al disco una dimensione molto più dal vivo rispetto a Make Some Noise, che ha richiesto qualche settimana in più per essere completato. Credo che i due dischi in cui ho cantato differiscano solo da questo punto di vista, oltre che per i musicisti che vi hanno preso parte: il primo era puro istinto, il secondo invece mediato un po’ di più dalla ragione.”

Diciamo che poi, dal vivo, le tracce dei due album sembrano far parte delle stesse session di registrazione…

Questa è la cosa fantastica della band: certo, puoi riconoscere lo stile di Doug, che è assolutamente personale e incide pesantemente sul risultato complessivo, ma di fondo il discorso è sempre lo stesso. E il motivo sta proprio in quello che ti dicevo prima. Questo è un collettivo aperto, una band che non è cambiata nel tempo per screzi o divismi da rockstar, ma che è nata sapendo di essere un vero e proprio sistema dinamico. Ti faccio l’esempio dei Mötley Crüe per farti capire quanto le cose siano diametralmente opposte: là entrai in qualcosa di immutabile, che era cambiato per motivi personali ma che, inconsciamente, ognuno di noi sapeva sarebbe tornato come alle origini. Qui è l’esatto contrario: tutto può cambiare restando esattamente uguale a se stesso.”