Alternando album in cui ha rimesso mano alle vecchie hit dei Genesis ed altri composti di soli inediti, Steve Hackett ha saputo accontentare ogni frangia del proprio pubblico, sia quella che lo voleva esclusivamente nelle vesti del nostalgico membro di una delle band più celebrate della storia, che coloro che da un artista del suo calibro pretendono una capacità di reinventarsi fuori dalla media. Con The Night Siren, Hackett riconferma uno stato di salute più che ottimo, che dimostra quanto l’età per alcuni resti un semplice dato statistico.
Sei protagonista di un’ultima parte di carriera che ha pochi eguali tra i tuoi coetanei: sforni nuovi album con regolarità disarmante e suoni più di quando eri un ragazzino. Il segreto?
“Diciamo che continuo a divertirmi, che poi è l’unica cosa che mi spinge a fare tutto quello che faccio. Probabilmente se la mia dimensione fosse stata più ampia, con date in posti immensi e pressioni insostenibili sulle spalle, forse l’aspetto del divertimento sarebbe lentamente venuto meno. Bisogna essere portati anche per quello, io sinceramente credo che dopo un po’ di tempo ne sarei fagocitato. Se andassi in giro a suonare con i Genesis oggi, credo le cose sarebbero terribilmente problematiche, più per tutto quello che ci girerebbe intorno che per lo sforzo reale. Ad ogni modo, con questo equilibrio penso di poter continuare su questi ritmi ancora a lungo, perché è una sorta di meccanismo che si autoalimenta: più mi diverto e più mi riesce facile continuare così.”
Sei anche tra i pochi a non aver paura di mischiare il tuo passato con i Genesis a materiale nuovo che abbia davvero poco a che fare con esso. Come hai trovato il giusto equilibrio?
“Non è semplice, perché il rischio è sempre quello di cercare di distanziarsi il più possibile dal proprio passato, per dimostrare a tutti di avere ancora qualcosa di importante da dire, oppure abbandonarsi ad esso, facendo le stesse cose tutta la vita. Semplicemente, non ho paura di dire da dove vengo, quindi non ho alcun problema a riportare in tour i vecchi brani dei Genesis e a riproporli su disco, ma allo stesso tempo non voglio diventare uno di quei vecchi dinosauri che fa sempre la stessa scaletta fino al giorno in cui morirà. Credo che se hai ancora un’urgenza creativa sia giusto assecondarla, a maggior ragione in un momento della tua carriera in cui puoi permetterti di farlo senza che nessuno ti rompa le palle. Come altri prima di me, l’unico obiettivo è che la mia musica non annoi.”
Mi pare ci sia una sorta di continuità di contenuti tra The Night Siren e Wind And Wuthering dei Genesis, che stai celebrando durante i concerti recenti.
“Assolutamente sì. Sto portando in giro quel disco perché ha appena compiuto quarant’anni, ma anche perché è stato il primo in cui ho affrontato temi sociali, oltre che strumenti poco convenzionali per l’epoca. Strumenti che oggi non è difficile trovare in album anche mainstream, ma che all’epoca eravamo davvero in pochissimi a pensare di utilizzare. Un po’ quello che è successo per The Night Siren, in cui ho toccato temi di quel tipo in modo molto esplicito, forse come mai nella mia carriera. L’intero album è un messaggio di pace e unità, in opposizione ad una situazione politico-sociale sempre più drammatica. Il ritorno prepotente dei nazionalismi, i fenomeni migratori, i politici senza morale: tutte cose molto più pericolose di quanto venga effettivamente percepito. Sono molto preoccupato, perché credo non esista più una coscienza globale in grado di contrastare tutto questo, alimentata da anni di disinteresse assoluto per tutto quello che non ci riguarda direttamente.”
Pensi sia lecito parlare di world music nel caso delle tue nuove composizioni? Un terreno in cui il tuo amico Peter Gabriel ha detto qualcosina…
“Certo che sì, credo che The Night Siren sia chiaramente un disco di word music, se ha ancora un senso parlare di generi al giorno d’oggi. Ho utilizzato musicisti e strumenti provenienti da ogni parte del mondo, compresa l’Italia, la Sardegna nello specifico. Come ti dicevo, iniziai più di quarant’anni fa ad interessarmi a sonorità differenti da quelle con cui chiunque si confrontava ai tempi. Quando mi dicono di Peter, mi dico sempre: io ho iniziato anche prima di lui quel processo! Certo è che lui l’ha sviluppato in modo sistematico, creando qualcosa di incredibile, che ha avuto un peso enorme non solo a livello musicale, ma culturale nel senso più ampio del termine. Lo stesso fine che ha sempre spinto anche la mia ricerca musicale e artistica, d’altra parte.”