Un ritorno attesissimo da tutti i fan dell’hard rock classico quello di Graham Bonnet e della sua nuova band. L’ex Alcatrazz e Rainbow mancava dalle scene da moltissimo tempo, quindi il nuovo The Book va a colmare l’attesa dei suoi fan.
Nuovo disco, nuova band, ma vecchia attitudine. Chi è il Graham Bonnet che ritroviamo oggi su The Book?
“Innanzitutto spero lo stesso cantante che si ricordavano (ride, ndr). Al di là di qualche segno dell’età, diversi per la precisione, sono sempre lo stesso artista di un tempo, ma soprattutto continuo ad emozionarmi come se fosse la prima volta che pubblico un album. Ogni volta ha lo stesso sapore e l’esperienza in questo caso serve a poco: mi sento un po’ come quando entrai nei Rainbow o fondai gli Alcatrazz, quel genere di sentimento da farfalle nello stomaco, da grande occasione insomma. Non ho mai smesso di comporre, ma ci sono stati periodi della mia vita in cui credevo che qualcosa fosse andato perso irrimediabilmente, che non sarei più riuscito ad esprimermi a certi livelli. Oggi, al contrario, sono in grande forma, sia dal punto di vista vocale che come songwriter: invecchiare ha i suoi benefici.”
La forza dei nuovi brani sembra confermare pienamente questa ritrovata fiducia in te stesso. Erano anni che un tuo disco non era così convincente.
“Ti ringrazio molto. Credo che, al di là del mio timbro vocale che può piacere o meno, ma ha sicuramente contribuito a farmi arrivare dove sono arrivato, credo di essere sempre stato abile con le parole. Il mio modo di comporre non è cambiato nel tempo: parto sempre da qualche accordo con la chitarra, che poi mi porta a trovare una melodia che cerco di sviluppare anche con l’aiuto dei membri della mia band. Poi arriva il momento di scrivere le parole e lì cerco di dare il meglio di me. Non credo di essere Bob Dylan o Bruce Springsteen, ma da un certo punto di vista mi sono sempre sentito uno storyteller, un cantastorie come quelli del passato, che hanno bisogno di raccontare cose al prossimo, di tramandarle per via orale.”
Quindi stai molto attento anche al messaggio che vuoi trasmettere con le tue canzoni?
“Sì e no, nel senso che non sono uno scrittore interessato al discorso politico o al convincere i miei fan che le mie idee sulla vita siano quelle da seguire a tutti i costi. Quello non mi è mai interessato e non fa parte del mio modo di approcciarmi alla scrittura. Ho citato i due artisti di prima non tanto per quell’aspetto, ma proprio per la loro capacità di raccontare storie nei loro brani. Puoi fare e ascoltare qualsiasi genere di musica, ma quando qualcuno è una spanna sopra agli altri te ne accorgi a prescindere. Scrivere un testo che sia in grado di raccontare qualcosa in modo così incisivo è un dono che l’esperienza un po’ può affinare, ma col quale devi essere nato. Nel mio piccolo, credo di averlo sempre avuto. Non parlo nemmeno in prima persona nei miei testi, parlo sempre di qualcun altro e, molto spesso, di persone in difficoltà. Per esempio io ho una bellissima casa a Los Angeles, ma i miei testi parlano spesso di chi una casa non ce l’ha. Questa è una città bellissima ma spietata, piena di anime perse che molti fanno finta di non vedere: io cerco di dare loro voce.”
Sei considerato una delle voci più influenti del rock anni ottanta, ma la gente spesso crede che dopo tu non abbia fatto praticamente nulla. Hai rimpianti legati agli ultimi anni di carriera?
“Ma sai, ho iniziato molto presto a cantare e, sostanzialmente, me ne sono sempre fregato di molti aspetti vitali per molti dei miei colleghi. Anche quando ero più giovane il mio unico obiettivo era fare quello che amavo, non seguire mode o sonorità che andassero per la maggiore in quel momento. A volte i due aspetti combaciarono, come nel caso dei Rainbow: Ritchie voleva sfondare in America, io avevo ciò che gli serviva e scrivemmo un album davvero epico, amatissimo dai fan, ma che rimase un unicum. I rimpianti non servono a nulla, devi abbassare nuovamente la testa e andare avanti. Io preferisco pensare alle cose che ho fatto, piuttosto che a quelle che non sono riuscito a realizzare. Ho avuto tutto, dischi in classifica, successo, alti e bassi, proprio come accade nella vita. Se penso alle cadute ho pochi ricordi, ma quando ricordo le soddisfazioni parlerei per ore. Non credo tu abbia molto tempo, ma se vuoi posso iniziare da quella volta che con i Rainbow diedi vita alla prima edizione del Monster Of Rock…”