Sono lontani i tempi di Dust In The Wind, così come quelli dell’ultima volta in cui il gruppo americano diede vita ad un album d’inediti. Ben diciotto anni dividono infatti il nuovo The Prelude Implicit dal suo predecessore, anche se le nuove composizioni non sfociano mai nella nostalgia del passato. Come ci ha confermato lo storico batterista Phil Ehart.
Non pubblicavate un nuovo album dal 200. Quanto hanno influito in cambi di line up degli ultimi anni sul vostro ritorno in studio?
“In genere, le band con una storia lunga come la nostra, quando iniziano a perdere pezzi si limitano a riproporre all’infinito dal vivo una serie di greatest hits. Per un po’ di tempo ci siamo ritrovati inseriti in quel tipo di situazione, ma con i cambi più recenti di formazione siamo definitivamente usciti da quella specie di tunnel. L’addio di Steve (Walsh, ndr) è stato un colpo durissimo, che avrebbe potuto decretare la fine dei Kansas. Invece, sorprendendo anche noi, la nuova formazione ha recuperato una linfa vitale che credevamo ormai persa per sempre. Abbiamo quindi capito immediatamente che fosse giunto il momento di tornare in studio per dare vita ad un nuovo capitolo della nostra storia: il più convincente in cui mi trovo a suonare da decenni”.
Si può essere ancora influenti dopo più di quarant’anni dalla fondazione?
“Onestamente, non abbiamo la pretesa di essere influenti o di cambiare il corso della storia della musica con questo disco: ci siamo limitati a divertirci e direi che si tratta di un ottimo punto di partenza. Certo, non ti dirò nemmeno che abbiamo composto un nuovo album perché non avevamo di meglio da fare: The Prelude Implicit possiede tutte le caratteristiche che chiunque si aspetta da un album dei Kansas, dalle sonorità più dure alle classiche ballad che hanno contribuito a renderci famosi nel mondo. Chi non ci amava prima, continuerà a non farlo: questo siamo e questo rimarremo per sempre. Francamente, a quest’età, i giudizi non mi toccano più, mi interessa solo che chi ama la nostra musica possa dire: be’, tutto sommato sono sempre gli stessi di un tempo. La produzione è chiaramente moderna, ma parliamo di un album dannatamente old school.”
Anche le armonie di un tempo sembrano riaffiorare da un passato che non volete assolutamente dimenticare.
“E perché mai dovremmo discostarci dal nostro passato? L’unica cosa che ci siamo imposti in fase di songwriting era quella di non essere nostalgici, perché il rischio era quello di diventare patetici e la nostra storia non lo meritava. Evitato quella deriva, che comunque costituiva un pericolo reale, tutto è venuto fuori in maniera naturale, come se ci fossimo ritrovati in studio a un paio d’anni dall’ultimo disco. Considera poi che da un paio d’anni la formazione è sostanzialmente la stessa, il che comunque in studio ci ha aiutato moltissimo. Sebbene fosse la prima volta che ci ritrovava a registrare nuovi brani, suonare insieme in questo lasso di tempo ha permesso di oliare dei meccanismi che, altrimenti, sarebbero stati senza dubbio da collaudare. Un tempo, quando era impensabile andare in giro a suonare senza un album da promuovere, questo non sarebbe potuto accadere”.
Tu hai visto cambiare completamente il mercato discografico nel corso degli ultimi quarant’anni. Hai mai nostalgia di quel music business?
“Non è facile provare nostalgia per un sistema che, in ogni caso, guadagnava in proporzione di più di coloro che componevano musica. Nessuno di noi è mai stato contento del music business, anzi molti artisti ne hanno anche apertamente parlato malissimo nel tempo, persino in molte delle proprie canzoni. Per questo non amo molto legarmi al passato, perché tutto appare in modo deformato rispetto a quando ti trovavi a viverlo. Certo è che un tempo i dischi si vendevano con una facilità che ormai va dimenticata del tutto, pena il perdere completamente fiducia nelle tue capacità artistiche. Di buono, però, c’è che paradossalmente si è tornati a concentrarsi maggiormente sulla qualità dei prodotti: visto che è più difficile vendere, è quasi impossibile riuscire a piazzare dei prodotti spazzatura. Questo è un bene, perché ha portato più cura nei prodotti”.
Siete pronti a tornare in giro per il mondo?
“Assolutamente sì, è l’unica vita che conosciamo. Quando sento la gente parlare dei grandi gruppi che sono ancora in giro a suonare, spesso mi sembra che non si riesca a cogliere il nocciolo della questione: se siamo ancora in giro a suonare a quest’età, non può essere un fatto meramente economico. Quello che dovevamo ottenere a livello di fama e successo l’abbiamo ottenuto, non dobbiamo più chiedere nulla alla vita. Semplicemente, non riusciamo a smettere di farlo.”