One More Time With Feeling: La Catarsi Di Nick Cave

È davvero difficile confrontarsi con qualcosa di così immenso come la morte di un figlio, soprattutto senza avere vissuto in prima persona una tragedia così immane. Il rischio è quello di banalizzare tutto, di trasformarlo in una carrellata di frasi fatte, di immagini trite e ritrite. Insomma , di rendere razionale qualcosa di completamente opposto alla ragione. One More Time With Feeling, il documentario appena passato nelle sale italiane, è riuscito a commuovere senza essere patetico od ostentato.

Si può raccontare l’irraccontabile? Si può elaborare il peggiore dei lutti possibili, la scomparsa di un figlio, filtrandolo attraverso l’artificio cinematografico e uno degli album più intensi pubblicati negli ultimi dieci anni? Nick Cave ci ha provato e il risultato, spiazzante, annichilente, ma mai pornografico è One More Time With Feeling, film in bianco e nero di Andrew Dominik in cui Cave, suonando i brani dell’album Skeleton Tree, prova a raccontare il dolore e lo sconvolgimento emotivo seguiti ad una tragedia dopo la quale tutto ha perso di senso. In primis la sua stessa arte. Lungi dall’essere un film incentrato sulla morte, la pellicola mette in luce in maniera spesso spietata quanto tutto possa perdere completamente di senso di fronte ad uno degli eventi più innaturali, e dunque non elaborabili, che la vita possa presentare ad un essere umano. Con una lucidità e una dignità fuori dal comune, un Cave spesso perso in pensieri talmente oscuri da non riuscire ad esprimerli, si obbliga a fare i conti con tutta la sua esistenza, con quella della moglie e con l’inevitabile forza vitale che, sul finale, gli fa dire che ora è tempo di andare avanti per chi è rimasto. Quando, nel luglio del 2015, Arthur Cave, gemello di Earl, a soli quindici anni perse la vita gettandosi da una scarpata di Brighton dopo aver utilizzato per la prima volta dell’Lsd, le sessioni di registrazione di Skeleton Tree erano iniziate da quasi un anno: è dunque sbagliato ritenere il suo ultimo album una semplice ode funebre in onore del figlio scomparso. Allo stesso tempo, però, i brani nati dopo quell’evento hanno finito inevitabilmente per girare intorno a qualcosa che la mente, razionalmente, si rifiutava anche solo di immaginare. Dalle interviste del film esce una riflessione completa sul senso dell’arte come catarsi ed è incredibile apprendere come per i due coniugi il rapporto con essa non sia solo inevitabilmente mutato, ma abbia cominciato a rivestire un ruolo completamente diverso all’interno delle loro vite. Se la moglie Susy Bick ammette di essersi buttata a testa bassa sul suo lavoro di stilista, perché unica cosa in grado di anestetizzare la sua mente, Cave è lapidario: “Mi dicono che cose del genere possano aumentare l’ispirazione. La fantasia, l’immaginazione, hanno bisogno di spazio per espandersi. Come possono nascere se lo spazio ormai non esiste più?”. Il film finisce per trasformarsi in una lunga riflessione sulla creazione, sul blocco completo susseguito alla disgrazia e sulla consapevolezza che la gente avrà altri dischi, non deve preoccuparsi, ma non avrà mai più Nick Cave. Tra i momenti più toccanti, la presa di coscienza del proprio improvviso decadimento fisico (“Mi hanno detto che sembro un monumento malinconico”), con la pietà della gente (“Sono tutti gentili ora. In che momento ho cominciato a fare pena alla gente?”) e con l’impossibilità di ridurre tutto a una frase da cartolina, di quelle che si trovano sui libri con le frasi adatte ad ogni circostanza (“Tutti mi dicono: ora vive nel tuo cuore. Cazzate. È nel mio cuore chiaramente, ma è morto”). Apprendiamo anche della forte superstizione della moglie, che ha sempre temuto i testi del marito per via di un alone di veggenza di cui, secondo lei, sono da sempre ammantati: difficile darle torto ascoltando anche quelle canzoni nate prima della morte di Arthur. Così come è difficile restare impassibili di fronte alla visione di un dipinto del figlio in cui viene ritratto il luogo in cui sarebbe morto. Esoterismo allo stato puro. Il climax di emozioni, tanto inevitabile quanto crudele, giunge al suo apice proprio sul finale del film, quando, dopo aver dichiarato che l’unica vendetta possibile contro la vita sarebbe quella di essere felici, i titoli di coda vengono accompagnati da una straziante versione di Deep Water di Marianne Faithfull, cantata dai due figli mentre sullo schermo appaiono le immagini della scogliera da cui il giovane Arthur precipitò quel maledetto quattordici luglio.