Il rock è costellato di storie al limite tra realtà e finzione, leggende che finiscono per autoalimentarsi nel tempo, spesso aiutate da dichiarazioni ad hoc degli stessi protagonisti di quelle storie. Alcune, più di altre, valgono davvero la pena di essere raccontate, come quella che vide protagonisti Freddie Mercury, la soprano Montserrat Caballé e il grande Luciano Pavarotti…
“Pronto, Montserrat? Sono Luciano. Mi è giunta voce che stai per accettare la proposta del cantante dei Queen circa un album in grado di unire rock e musica lirica. Sei forse impazzita? La nostra è musica di serie A, non puoi mischiarla alla musica popolare, sarebbe svilente e irrispettoso. Sei una delle soprano più celebri al mondo, rischi di renderti ridicola di fronte a tutti. Ti immagini cosa sarebbe portare in giro uno spettacolo del genere? Fidati di me.”. La telefonata di Big Luciano fu forse il più eclatante degli avvertimenti ricevuti da Monserrat Caballé nei mesi che precedettero le registrazioni di Barcelona, uno degli album più sconcertanti di tutti gli anni ottanta, ma di certo non l’unico. La notizia di una sua collaborazione con Freddie Mercury aveva rapidamente fatto il giro del mondo, giungendo anche alle orecchie del celebre tenore italiano, che si era premurato di far sapere alla soprano la propria opinione a riguardo. Unire rock e opera, uno dei desideri assoluti di Mercury, veniva visto come qualcosa di inaccettabile dagli amanti e, soprattutto, dai protagonisti mondiali della lirica. Un po’ come i musicisti classici, i cantanti d’opera erano infatti sempre stati convinti di avere qualcosa in più rispetto agli idoli del pop rock e la sola idea di essere messi nello stesso calderone faceva andare in bestia anche il più imberbe dei mezzi tenori. Inoltre, la cosa apparve quantomeno bizzarra anche in ambito rock, all’apparenza meno conformista ma in fin dei conti conservatore come ogni circolo. Se era vero che le collaborazioni, anche tra generi diversi, erano ormai un fatto consolidato e il crossover, dapprima considerato un trend destinato ad esaurirsi in fretta, aveva riportato in auge rock band finite nel dimenticatoio come gli Aerosmith, l’idea del leader dei Queen apparve quasi come il capriccio di una superstar annoiata in cerca di un po’ di clamore mediatico. Le parole di Pavarotti, quindi, insinuarono qualche dubbio nella mente di Monserrat che, da una parte era convinta che quel progetto avrebbe fatto la storia, ma dall’altra temeva di rovinare la propria carriera. Fortunatamente, optò per la scelta più rischiosa. La risposta affermativa della diva portò quindi Freddie a volare in Spagna con il suo primo tentativo di cimentarsi con qualcosa che si avvicinasse alla lirica: Exercises In Free Love, scritta insieme a Mike Moran come lato B del singolo The Great Pretender. Rotti i primi indugi, tra i due scattò l’amore. All’Hotel Ritz di Barcellona, quel 27 marzo del 1987, prese forma la scommessa più difficile che entrambi si fossero mai trovati ad affrontare, la classica situazione in cui il rischio è molto superiore alla posta in palio. Monserrat, sorprendendo tutti, dichiarò che non solo era rimasta senza parole ascoltando il brano, ma che l’avrebbe eseguito pochi giorni dopo in prima mondiale a Covent Garden e che voleva che lo stesso Moran fosse sul palco a suonare. L’impeccabile esecuzione del 29 marzo successivo a Londra suscitò una standing ovation da parte del pubblico e ancora una volta Freddie rimase estasiato dalla presenza e dalla vocalità della Caballé. Se l’idea iniziale era quella di dare vita ad un solo brano, Freddie quasi svenne quando Monserrat, con estrema naturalezza, aggiunse che sarebbe stata inoltre felice di comporre abbastanza brani per pubblicare un intero disco, che prese vita nei mesi successivi. Sebbene fosse impensabile portare in tour un progetto di quel tipo, non solo per le condizioni di salute ormai non più ottimali di Mercury, l’8 ottobre 1987 Freddie e Montserrat apparvero insieme durante La Nit, un evento di massa, sulla scalinata del Castello di Montjuic a Barcellona, che si tenne in occasione dell’arrivo della bandiera olimpica dalla Corea. Alla presenza dei sovrani di Spagna, Freddie e Montserrat eseguirono in mondovisione tre brani, “Barcellona”, “The Golden Boy” e “How Can I Go On”, tratti dal loro album. Il primo esperimento di fusione tra due generi apparentemente così antitetici si trasformò in un trionfo. Leggenda vuole che, nei dintorni di Modena, più di una persona sentì risuonare un grido di dolore. Un grido in Do di petto. Erano le pacate imprecazioni di Pavarotti, che in pochi minuti aveva visto svanire il sogno di essere il primo cantante lirico a mischiare la propria voce a quella di un idolo del pop rock. Non è un caso che, pochi mesi dopo la morte di Freddie, tra gli ospiti principali della prima edizione del Pavarotti & Friends ci fosse proprio Brian May, così come non stupisce che, dieci anni dopo, lo stesso Pavarotti decise di impreziosire l’ultima edizione assoluta della kermesse con il ritorno del marchio Queen in Italia a quasi vent’anni da Sanremo ’84. Tutti tentativi di colmare il vuoto lasciato dall’impossibilità di unire la propria voce a quella di Mercury, come invece aveva potuto fare la Caballé.