Poche band del nuovo millennio sono riuscite a scalare le classifiche e a convincere pubblico e critica come successo ai Volbeat. La band danese capitanata da Michael Poulsen, album dopo album, è infatti stata in grado di insinuarsi lentamente nel gotha della musica mondiale, portando a sé appassionati di svariati generi. I testi di livello superiore e le sonorità accattivanti del nuovo Seal the Deal & Let’s Boogie, inoltre, confermano che talvolta la qualità possa ancora fare la differenza.
Diciamo le cose come stanno: del vostro successo ormai non si stupisce più nessuno…
“Tu dici? Io non ne sarei così convinto, ma mi fido. Onestamente, poi, bisogna anche capire cosa sia il successo e come venga percepito dentro e fuori dalla band. Spesso dall’esterno le cose vengono deformate, tanto nel bene che nel male, quindi bisognerebbe capire quante visioni distorte ci sono della faccenda in giro. Ti dirò che comunque non è una cosa di cui mi voglio occupare nelle prossime settimane (ride, ndr). Credo che dal disco precedente, piuttosto, stiamo finalmente iniziando a raccogliere i frutti di un lavoro mostruoso, che ha puntato da sempre sulla coerenza e su di un’etica del lavoro che non è mai venuta meno nel tempo. Sono cambiate tante cose, anche in questo caso sia all’interno della band che nel mondo in cui ci troviamo a muoverci, ma il fatto che il percorso sia stato lineare significa che, in qualche modo, l’idea di partenza non era poi così male.”
Beh, forse solo insieme ad una band come gli Alterbridge, siete tra i pochissimi che abbiamo visto nascere e arrivare al successo vero nel corso del nuovo millennio. Quindi non può essere un caso.
“Di ottime band ne sono nate diverse negli ultimi quindici anni. Credo che forse alcune tra le migliori non siano riuscite ad arrivare al grande pubblico e nemmeno per colpa loro. Purtroppo, già in passato, per emergere in questo settore dovevi possedere caratteristiche ben precise, a cui si sommavano una serie di variabili incalcolabili che potevano comprendere davvero le cose più disparate. Inoltre, spesso si sottovaluta il fattore culo. Chiunque, anche la band più dotata al mondo, non sarebbe arrivata al successo senza fortuna, è inutile che ci giriamo intorno. Pensa a quanti super gruppi sono rimasti sconosciuti solo perché giunti nel circo del rock quando le loro sonorità non interessavano più alle major mondiali. Roba da perdere la testa. Negli anni zero a tutto si è sommato anche il deliro che tutti conosciamo e che ha portato allo sfascio del vecchio modo di gestire e usufruire della musica. Quindi un caso non può essere, come dici tu, ma al nostro posto avrebbe comunque esserci qualcun altro di altrettanto valido. Di questo sono certo.”
Nel tempo sono anche cambiati molti elementi all’interno della band, cosa che ti ha fatto subire anche qualche attacco da chi ti ritiene il padre padrone del caso. Alla fine, tuttavia, hai avuto ragione tu…
“Io vedrei tutta la questione in un altro modo, se posso permettermi. Quello che la gente può pensare di me è qualcosa che non intacca più i miei comportamenti e i miei stati d’animo da moltissimo tempo. Fortunatamente, ho superato la paura del giudizio quando avrei dovuto, quindi da questo punto di vista sono una persona assolutamente risolta. Semplicemente, a volte le cose funzionano ed altre no. La vita funziona così, non credo sia una cosa che mi accusa di certe cose non si sia mai trovato a vivere nella propria vita. Semplicemente, magari, era meno esposto di me e non ha trovato persone pronte a fargli la morale. Io piuttosto riporterei tutto su un piano di realtà: cercavo delle persone che credessero nel progetto come ci credo io e, ora, posso dire di averle trovate. Nessuno può predire il futuro, ma a volte le cose non puoi aspettare che succedano da sole, devi fare di tutto affinché succedano.”
Da fan, non credi che il pubblico resti sempre legato alle line up originali, considerando a lungo i nuovi ingressi come corpi estranei?
“Il pubblico tende ad affezionarsi e credo sia una cosa inevitabile. Tuttavia, è anche in grado di capire che se le cose tra alcuni membri del gruppo non funzionano, allora il rischio concreto e che non funzioni nulla. Capisco la tua domanda e anche io, parlando di band che ho amato o amo, spesso mi trovo a pensare la stessa cosa. Pero, la storia stessa del rock insegna che i cambi di line up possono anche essere un valore aggiunto alla band. Diverso è il discorso di gruppi a fine carriera che vanno in giro con un solo membro originale e il resto della band completamente nuovo: lì sì che capisco il disappunto dei fan. Diverso ancora il caso odierno degli Ac/Dc. I problemi, ad ogni modo, sono spesso più complessi di quello che sembra. Ci sono spesso fattori economici troppo grandi, che la gente non conosce minimamente. Inoltre, dobbiamo sempre pensare che, chi ha suonato una vita, difficilmente rinuncia di colpo ad un certo stile di vita. Tornando a noi, Outlaw Gentlemen & Shady Ladies era il primo album con Rob Caggiano alla chitarra ed è stato anche il nostro maggior successo, a conferma di quello che ti dicevo prima.”
L’intesa tra te e Rob oggi sembra davvero completa, cosa che inevitabilmente all’inizio non poteva essere. Da leader e songwriter del gruppo, come è cambiato l’equilibrio dal suo arrivo?
“Il suo arrivo mi ha costretto fortunatamente a rivedere alcune cose del processo di registrazione degli album. Oltre ad essere un ottimo produttore, Rob è un professionista incredibile, quindi il suo ingresso da un certo punto di vista fu più indolore di quello che avrebbe potuto essere. Imparò in pochissimo tempo i brani, sia quelli vecchi che i più recenti e la cosa facilitò non poco la questione. Diverso per esempio fu invece entrare nel mood che quei riff dovevano possedere. Parlo di feeling, qualcosa di diverso dall’imparare degli accordi e riproporli in modo didascalico. Ecco, se devo trovare la cosa che col tempo è davvero cambiata, creando quell’intesa totale cui fai riferimento, credo proprio sia questo. Oggi Rob non suona più come un grande chitarrista che si cimenta con canzoni altrui, ma è riuscito in quello che gli chiedevo: farle in qualche modo sue. Aver registrato il secondo album con la band e, soprattutto, avendo suonato molto insieme dopo il suo debutto, ha fatto avvenire la cosa in modo naturale.”
Prima hai citato il caso degli Ac/Dc. Da cantante, se avessi un problema fisico per cui dover smettere nel pieno di un tour, avvaleresti una scelta del genere?
“Tutta la questione è molto difficile da capire dall’esterno, ne abbiamo inevitabilmente parlato anche tra di noi più di una volta. Quando ho letto mesi fa che Axl era uno dei possibili sostituti, ho pensato fosse uno scherzo. Non potevo credere ad una cosa così assurda. Ho pensato a Brian Johnson e mi sono sentito male. Però, come dicevo, non possiamo sapere tutto ciò che vi è dietro. Sono sicuro che l’unico membro che non possa mai mancare sia logicamente Angus: in quel caso la gente non andrebbe davvero più a vedere i loro concerti. Tuttavia, pur non avendo mai amato Axl e i Guns N’ Roses, devo dire che funziona maledettamente. Quindi mi chiedo: chi è davvero insostituibile? Colui che detiene i diritti del nome e cose di questo tipo? In tutto ciò, l’etica può avere uno spazio? È uno scenario davvero inedito, come se Steven Tyler concludesse un tour dei Led Zeppelin. Sembrava fantascienza, oggi forse non lo è più, si è creato un precedente molto grosso.”
Venendo al nuovo album, credi sia il più accessibile che abbiate mai pubblicato?
“Forse dal punto di vista delle sonorità posso arrivare a dare una risposta affermativa alla tua domanda. Credo di essere arrivato a trovare un po’ la quadratura del cerchio da questo punto di vista: non ti dico che esista ormai una formula per una canzone dei Volbeat, però è chiaro che quando ascolti alcune tracce forse oggi ti rendi conto immediatamente di cosa stai ascoltando. Fin da quando ero piccolo ho sempre amato quelle band in grado di creare un sound riconoscibile al primo ascolto e quando ho iniziato a fare musica quello era uno dei miei obiettivi principali. Bada bene, non intendo dire che lo scopo sia quello di suonare identici agli album precedenti, ma solo che è bello quando senti partire un brano e, immediatamente, capisci da dove arriva. È un po’ come sentirsi a casa. O almeno è quello che vale per me. A livello testuale, invece non credo sia poi così accessibile (ride, ndr).”
I testi sono sempre stati uno dei punti di forza dei vostri album, tanto da diventare spesso argomento di dibattito tra i fan. Sei sempre estremamente maniacale a riguardo?
“Diciamo che una canzone, per essere tale, deve possedere armonia e per far sì che questa armonia riesca a crearsi, musica e testi devono essere strettamente legati. Pensa ancora ad un gruppo come gli Ac/Dc, di cui sono un fan accanito: con quei ritmi non potrebbero parlare di altri argomenti rispetto a quelli che trattano da sempre. Provate ad immaginare il classico loro brano con testi impegnati o viceversa, brani con metà dell’adrenalina che parlino di serate insieme a una tipa che ti ha trasmesso lo scolo o la gonorrea…Non credo che un testo per essere degno di nota debba per forza di cose parlare di massimi sistemi: in questo senso, i testi di Bon Scott credo siano tra i testi più intelligenti ed ironici della fine degli anni settanta. Sono sempre attentissimo ai testi, anche perché poi sono canzoni che porterò in giro per il mondo e non posso permettere di proporre a qualcuno cose che non ritengo ottime. Col tempo ho imparato a pretendere un po’ meno da me stesso, questo sì, ma la maniacalità è immutata.”
Credo che la tua bravura stia anche nel giocare con alcuni temi ormai diventati cliché e renderli incredibilmente freschi. Dopo sessant’anni di rock, credo sia una dote non banale.
“Hai colto nel segno. Come ti dicevo prima, si può parlare anche di una scopata, ma poi è chi scrive che rende la cosa banale, triste o innovativa. Ogni tema può diventare qualsiasi cosa, anche quelli di cui si parla da millenni. Altrimenti non avrebbero nemmeno senso le centinaia di romanzi che escono ogni settimana, per dire. Come nella vita, anche per la scrittura di brani ci sono momenti per tutto. L’errore, spesso, è quello di non capire che molte volte i piani di lettura siano molteplici, quindi sotto la cosa più ovvia che leggi si nasconde un mondo che, per essere capito, ha bisogno di essere approfondito e non abbandonato dopo pochi minuti. I miei testi spesso sono una sfida contro questo sistema che ti costringe in qualche modo ad abbuffarti di musica senza essere mai sazio, senza che qualcosa diventi una specie di ossessione. Inoltre, la gente spesso fa fatica a capire l’ironia che sta dietro certi brani, che ricalcano volutamente dei cliché ma con uno spirito che, se compreso, diventa completamente nuovo.”
Come in alcuni brani del nuovo disco…
“Ma certo, è ovvio. Ci sono tematiche come quelle dei patti o delle sfide col diavolo che sono chiaramente dei cliché, ma tutto sta nel come le affronti. Si può giocare con se stessi e anche con i temi del genere in cui ti muovi, anzi spesso è un dovere. Non c’è niente di peggio che confrontarsi con persone che non sanno mettersi in discussione o scherzare di ogni argomento. Come tutti, ho delle passioni e credo che tutti i riferimenti ai rituali vudù, ai riti e a personaggi realmente esistiti siano lì a mostrarlo molto bene. Sono sempre stata una persona estremamente curiosa, quindi con mediamente il triplo degli interessi rispetto alle persone che ho frequentato fino alla maggiore età o poco più in là. Questo mi permette di avere davvero moltissime cose cui attingere per i miei testi, ma anche di non fermare mai i pensieri e il cervello. Qualche volta vorrei riuscirci ma è davvero complicato: è come se anche quando tutto il resto di me riposa, esso continui ad elaborare informazioni e programmare senza sosta. Non so se riesco a spiegarmi bene a parole, non è un concetto semplice da esprimere fino in fondo.
Ti capita quindi di pensare alle persone che leggeranno i tuoi testi, quando ti trovi a comporli?
“Sì e no e mi spiego. Quando compongo, quindi nel momento in cui fisicamente scrivo un testo, è difficile che pensi a qualcosa, tanto meno alle persone che potrebbero leggere quello che sto scrivendo. Probabilmente puoi capire quello che dico, visto che anche tu ti sarai trovato a scrivere qualcosa che non fosse un’intervista e quindi saprai lo stato di semi incoscienza in cui ti trovi quando produci un testo, breve o lungo che sia. Esiste però un altro momento, quello in cui più razionalmente ti trovi a confrontarti con quello che hai scritto e a pensare al messaggio che stai dando con esso. È quello forse l’unico momento in cui mi metto davvero dalla parte dell’ascoltatore, ma solo per provare ad immaginarne le reazioni. Quindi, senza che questo processo influisca sulla stesura finale del mio testo. Se cambio qualcosa è solo perché non mi convince appieno e non perché penso non sia adatto a qualcuno: credo sia una cosa molto importante da sottolineare.”
Credi che le tue canzoni possano cambiare in qualche modo l’esistenza di chi si trova ad ascoltarle?
“Non sono così egocentrico e presuntuoso da credere che una canzone possa cambiare la vita di qualcuno, tuttavia, sarei falso se ti dicessi che non spero che anche solo una persona al mondo possa trarre qualche tipo di beneficio da una canzone dei Volbeat. Quantomeno mi piacerebbe che la musica che scrivo possa servire a qualcuno come succedeva a me quando ero un adolescente. Come ti dicevo, pensare a quanto io abbia tratto giovamento da persone che nemmeno ho mai conosciuto e immaginare che ancora oggi possa avvenire questa magia, mi dà una spinta incredibile. Onestamente, non mi va di rassegnarmi all’idea che ormai tutti i ragazzi siano una specie di lobotomizzati che subiscono giga e giga di musica senza capire cosa stiano ascoltando. Forse questa generazione si è spostata più che in passato sull’hip hop, ma perché in un certo modo quegli artisti sono stati in grado di toccare le corde giuste. Che poi la discografia tenda sempre ad incentivare dei generi è palese, ma quei generi prima devono aver fatto breccia. Non so se mi spiego.”
Più passa il tempo e più sembri amare la semplicità. Credi che in musica sia un valore aggiunto?
“Credo che sia un valore aggiunto in generale e nel campo dell’arte in particolare. Purtroppo, troppo spesso si è portati a pensare che una cosa semplice abbia anche meno valore, confondendo il concetto con quello di banalità. Credo non ci sia nulla di più sbagliato, anzi più passa il tempo e più convinco che togliere sia sempre più funzionale che aggiungere. La letteratura, per esempio, è piena di autori che hanno fatto della semplicità di scrittura la loro arma: penso ad Hemingway, per esempio, ma potrei fartene tanti altri. Scrivere testi astrusi o melodie solo per dare sfoggio delle proprie capacità mi sembra un esercizio inutile di stile. Quando la musica si fa esercizio di stile, credo inizi ad esserci qualcosa che non va. Il fatto che la gente comprenda ciò che voglio dire fa parte del piacere di fare questo mestiere: non faccio cose che solo io posso capire, non sono fatto così.”
Quando suonavi death metal probabilmente la tua idea sulla semplicità era un po’ diversa! Stai invecchiando?
“(Risata, ndr) Probabilmente sì! Sono passati così tanti anni che probabilmente mi sono rincoglionito completamente. Sai una cosa, sembra folle, ma il concetto di semplicità credo si possa estendere a tutto, anche a generi dove paradossalmente sembrerebbe assurdo farlo. Ogni tipo di musica, anche il più intricato, non deve mai essere fine a se stesso o uno sfoggio di bravura inutile, altrimenti si perde di vista il fatto che, alla fine dei conti, deve comunque essere una canzone in grado di colpire l’ascoltatore per lungo tempo, non solo per il tempo di un singolo ascolto. Avrai degli album che hai ascoltato una sola volta, dopo di che hai evitato di rifarlo ancora. A me è successo e mi sono chiesto perché. La risposta è sempre la stessa: puoi essere tecnicamente mostruoso, suonare più veloce di chiunque altro, ma se non ti metti al servizio della canzone è tutto inutile. Da giovane metallaro, anche io ho pensato per un certo periodo che quello fosse tutto: devi far vedere chi sei e sembrare il più figo a chi ti sta intorno. Poi capisci che è una cosa ridicola. Se non lo capisci, il rischio di diventare grottesco è dietro l’angolo (ride, ndr).”
Immagino che il nuovo album e il tour che ne seguirà sposteranno ancora più in là il tuo progetto insieme a Jon Schaffer…
“Credo sia inevitabile, vista la mole di lavoro che segue la pubblicazione di un album. Rispetto al passato, inoltre, dopo ogni disco gli impegni sono sempre maggiori, quindi puoi immaginare quanto poco tempo mi rimanga per un progetto come quello, che necessita comunque di una certa dose di impegno. Se dovessi pubblicare un lavoro al di fuori dei Volbeat vorrei fosse qualcosa di molto diverso da quello che faccio di solito, proprio perché non avrebbe alcun senso il contrario. A tutto ciò, aggiungici gli impegni di Jon e troverai la chiusura del cerchio. So che i fan attendono notizie a riguardo, anche perché negli scorsi anni ci siamo esposti molto a riguardo, ma credo anche che fino a quando ci saranno nuove pubblicazioni di entrambi, il pubblico sarà già felice anche solo per quello. Fidati, siamo noi i primi a volerlo, anche perché credo sia davvero qualcosa di divertente, ma prima poi vedrà la luce, su questo non ho il minimo dubbio!”
Come ti vedi fra trent’anni?
“Se la salute me lo consentirà, sicuramente ancora a fare quello che faccio oggi, magari come protagonista di una specie di Desert Trip del futuro (ride, ndr). Però a quel punto vorrà dire che saremo diventati delle leggende della musica popolare, magari con la metà degli stimoli che abbiamo oggi. Quindi opto per la via di mezzo: continuare a vivere dignitosamente di musica con l’entusiasmo di un ragazzino. Voi, piuttosto, continuate a comprare i nostri album (ride, ndr)!”