Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un fenomeno completamente nuovo nella storia della musica popolare: quello di una vera e propria restaurazione all’interno del genere universalmente conosciuto come rock n roll. Quello che una volta era un movimento di spinta sociale fatto da ragazzi che in genere avevano da poco superato i vent’anni, oggi è saldamente nelle mani di quegli stessi ragazzi, che oggi però anno mediamente settant’anni. Tutti quegli artisti che prima il punk e poi il grunge avevano provato a far scomparire dal mercato, oggi continuano a solcare i palchi di mezzo mondo e a ricevere offerte per fantomatiche reunion. Di contro, quasi tutti gli esponenti delle suddette rivolte di fine anni settanta e inizio novanta sono sei metri sotto terra. Le recenti scomparse di pezzi da novanta come Lemmy e David Bowie hanno prepotentemente riportato d’attualità un processo che, in realtà, è iniziato poco dopo la scomparsa di Kurt Cobain e che oggi ha assunto dimensioni abnormi. Basti pensare che, nel 1998, un gruppo come gli Stones annullava un concerto a San Siro per mancanza di pubblico e pochi anni dopo, invece, per potervi assistere avresti dovuto invocare una una coalizione tra Padre Pio, Santa Rita e Sant’Antonio da Padova. E sfido chiunque a dimostrare che gli Stones del ’98 avessero qualcosa di meno di quelli dell’anno scorso al Circo Massimo. La verità è che la gente è stupida e ragiona secondo schemi spesso difficili da comprendere. Jagger e Richards, a metà anni ottanta, erano tra i bersagli preferiti di pubblico e critica, gli stessi che oggi ne parlano come di una band più in forma che nel 1962. Folle. Il vero dramma è che se a spingere il mercato è ancora la stessa gente di allora, significa che qualcosa non ha funzionato: è troppo semplice dire che non ci sono più giovani band di livello, perché equivale a sottovalutare una cosa che in realtà è molto più complessa. E in secondo luogo perché è una stronzata colossale. La verità, purtroppo, è che a tutti va bene così, alla gente, all’industria e a tutti quelli che vi gravitano intorno. Agli stessi ascoltatori che si lamentano della chiusura dei locali dove fare musica dal vivo in realtà non frega nulla della questione, perché a loro basta che in estate magari si riuniscano i Pink Floyd. Anche a me è sempre andata bene così, solo che sono consapevole che tutto questo abbia una data di scadenza. A tutto ciò va aggiunto il fatto che, oggi come oggi, alcune delle uscite più significative sono proprio quelle di quei simpatici vecchietti che quindici anni fa sembravano relegati all’oblio più nero. Pensando agli ultimi due o tre anni mi vengono in mente mille nomi, come David Gilmour, Keith Richards e Robert Plant, per esempio, ma sono decine gli artisti il cui finale di carriera ha riservato momenti epocali. E non parlo solo di Johnny Cash. Ad ogni modo, nel giro di vent’anni anni non ci sarà più niente da vedere e la musica rock prenderà il posto della classica.
Restoration Rock
9 Febbraio 2016
Editoriali
Giornalista musicale con esperienza decennale, Luca Garrò scrive o ha scritto per alcune delle riviste musicali più note del nostro paese, da Rolling Stone a Jam, passando per Rockstar, Rocksound, Onstage e Classic Rock, oltre ad essere uno dei fondatori del magazine online Outune.net. Appassionato di classic rock fin dall'infanzia, ha scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati, tre libri per Hoepli (Freddie Mercury, David Bowie e Jimmy Page & Robert Plant) e sta curando una biografia su Brian May per Tsunami. Per cinque anni è stato tra i curatori del Dizionario del Pop Rock Zanichelli.
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