Dave Grohl oggi compie quarantasette anni. Il 2015 è stato uno degli anni più incredibili della sua carriera e fa impressione pensare a quante cose il buon Dave abbia compiuto dall’approdo nei Nirvana ad oggi. In occasione del suo compleanno, mi sono permesso di scrivergli una lettera ideale, una di quelle cose che non si fanno a trentasei anni, ma a quindici. Io, però, me ne frego altamente.
Caro Dave,
Dopo tanti anni mi sono deciso a scriverti questa lettera, rimandata regolarmente dai tempi del liceo e la cui prima bozza risale esattamente ad un anno fa, in occasione del tuo quarantaseiesimo compleanno. Quella ricorrenza, tuttavia, mi era parsa troppo banale e dibattuta per aggiungervi qualcosa di così personale e sentito, dunque eccomi qui per l’ennesima volta, forse quella definitiva. Mi permetto di rivolgermi a te con parole di vero affetto, quasi come fossi un amico d’infanzia, forse un fratello maggiore, di sicuro una persona con cui ho passato più tempo rispetto a molti dei miei parenti. Non sono un mitomane, non ti preoccupare, e neppure qualcuno che si veste come te, cita le tue frasi o cose di questo genere, sono solo tra quelli convinti che tu sia una delle figure cardine di un’intera generazione, forse nemmeno di quella Generazione X di cui Kurdt Cobain diventò suo malgrado un feticcio, ma di quella appena successiva, della mia sostanzialmente, che forse aveva bisogno di vedere che qualcosa di quella fiamma fosse riuscita a sopravvivere, che ci fosse insomma ancora qualcuno da andare a vedere dal vivo che non avesse settant’anni e non fosse stato un idolo prima dei tuoi genitori che tuo, di un mito tutto nostro che, per giunta, non vivesse di rendita dopo aver militato in una delle band più influenti della storia del rock, benché in troppi continuino a relegarla soltatanto a “quel” decennio. Cazzo, non credo esista un altro musicista che, nei vent’anni successivi alla fine di un’avventura come quella, non abbia pensato nemmeno una sera di suonare un pezzo di una band come i Nirvana: d’altra parte nessuno avrebbe potuto dirti niente se l’avessi fatto e, diciamoci la verità, la gente avrebbe anche goduto e cantato con te Smell Like Teen Spirit, fottendosene bellamente dell’integrità e dell’animo tormentato di Cobain. Forse persino io. Invece tu quel rischio nemmeno hai voluto farcelo correre, ripartendo il giorno dopo con un progetto che avevi già in mente, ma che forse senza quel tragico evento sarebbe venuto fuori chissà quando. A tal proposito, passando un po’ di palo in frasca, ti confesso che ho sempre pensato al primo album dei Foo Fighters un po’ come a quel All Things Must Pass di George Harrison, seppur con tutte le distanze del caso: sebbene dal punto di vista musicale non siano possibili confronti tra i due album, psicologicamente mi sono sempre sembrati molto simili, forse per via di quella difficoltà nel proporre la propria musica in un contesto così collaudato e forse castrante come doveva essere avere a che fare col duo compositivo Lennon/McCartney e lo stesso Cobain. Ti dirò di più: mi piace pensare che quando recentemente hai ammesso di esserti sentito spesso inadeguato nei suoi confronti, tu abbia in qualche modo confermato un po’ la mia teoria a riguardo. Insomma, arriverò al dunque perché corro il rischio di annoiarti: in parole povere, Dave, questo compleanno numero quarantasei è una semplice scusa che utilizzo per dirti grazie per aver dato ai Nirvana il sound che cercavano da anni, per aver dimostrato che la coerenza è ancora un valore che vive in mezzo a noi e che si poteva andare in vetta alle classifiche mondiali con un album contenente un pezzo hardcore come White Limo (quello sì che Kurt l’avrebbe apprezzato). Grazie perché mi hai fatto conoscere gli Hüsker Dü e per aver candidamente ammesso che la discografia dei Foo Fighters non esisterebbe senza quella della band di Grant Hart e Bob Mould. In questo hai continuato a portare avanti quel discorso iniziato proprio con i tuoi ex compagni di viaggio, quando vi portavate in giro gente come i Mudhoney o indossavate le magliette di Daniel Johnston. Questo credo che sia davvero il tuo più grande omaggio a quella parte della tua vita, che non hai mai voluto scimmiottare nemmeno per un secondo e per cui tutti ti rispettano così tanto. Detto ciò, il fatto che tu abbia suonato negli album più importanti degli ultimi vent’anni (chi ha detto Songs For The Deaf?) passa quasi in secondo piano…
Un abbraccio
Luca
PS:
Ah, dimenticavo: auguri Dave!