David Bowie – ★ (Blackstar)

Se un paio d’anni fa, per stupire il mondo, a Bowie bastò il lasso di tempo intercorso tra l’uscita di The Next Day e quella del precedente album d’inediti, questa volta il Duca Bianco ha dovuto attingere a tutta la propria creatività per ripetere l’effetto bomba di allora. Ebbene, come ampiamente dimostrato dalla reazione del pubblico al lancio del singolo che dà il titolo all’album, ancora una volta Bowie ha centrato il bersaglio. E pensare che per farlo sarebbero bastate una decina di canzoni ultra classiche, perché tanto nessuno si sarebbe aspettato chissà quale colpo di coda da un artista di quasi settant’anni, che nel corso della propria carriera aveva già cambiato pelle decine di volte. Pensare oggi a The Next Day, alla luce di un ascolto anche solo approssimativo di Blackstar, fa quasi sorridere: se là i pezzi erano di classe assolutamente superiore, ma sostanzialmente in linea con il Bowie degli anni duemila, qui il discorso si fa molto più complesso. Con queste tracce, l’ex Ziggy Stardust dimostra semplicemente di essere l’artista più influente ed eclettico della propria generazione: se, infatti, talvolta il suo genio è scaturito dall’influenza di amici fidati come Marc Bolan, Lou Reed o Iggy Pop, è altrettanto lapalissiano che nessuno sia stato in grado di influenzare così tanti artisti, in così tanti settotori, come Bowie. Se pensiamo che solo negli anni settanta, nel giro di un lustro, prima portò le intuizioni dei T Rex alle masse, poi salvò la carriera di Lou Reed, Mott The Hoople e Iggy Pop e, infine, insieme a Brian Eno riscrisse per sempre le regole della musica popolare, non stupisce pensare a cambiamenti così repentini. Tuttavia, è lecito rimanere sconvolti quando a farlo non è più un giovane artista all’apice della creatività, ma un uomo giunto ormai alla terza età. Questa volta, il nostro si è invaghito del jazz e, a dirla tutta, i più attenti se n’erano ampiamente accorti già all’ascolto di Sue (Or In The Season Of Crime), contenuta nella raccolta Nothing Has Changed, uscita lo scorso anno. Va subito detto che la versione di quel brano contenuta in Blackstar è molto differente dall’originale, così come Tis A Pity She Was A Whore, anch’essa trasformata in una cavalcata elettrica più coerente col mood del disco. L’album è così fuori dai canoni classici, che ti stupisci di vedere il nome di Tony Visconti alla produzione, mentre sorprende meno la presenza di Mr LCD Soundsystem James Murphy o del talentuoso sassofonista californiano Donny McCaslin, vero motore del disco insieme alla batteria impazzita e fuori dagli schemi del giovane Mark Guiliana. Piccolo cenno per Lazarus, che paga lo scotto dell’uscita post title track, ma che con gli ascolti si trasforma in una gemma preziosa: una tipica ballata alla Bowie, tragica e drammatica, ricca di riferimenti personali e impreziosita da una chitarra che pare uscita dal Neil Young della colonna sonora di Dead Man. Un capolavoro. Insomma, Blackstar probabilmente è una buona fotografia di quello che è oggi David Bowie: difficilmente un suggerimento per intuirne il futuro.