“Freak Out! era contemporaneamente davvero grezzo e brutto, nonché incredibilmente sofisticato. I Beatles erano divertenti, ma non avevano niente a che fare con il tipo di sarcasmo che potevi sentire nella musica di Frank Zappa.” (Matt Groening)
Ogni qualvolta ci troviamo a parlare di Frank Zappa, il termine più abusato è senza ombra di dubbio “genio”. Abusato non perché il musicista di Baltimora non lo fosse davvero, ma perché in genere chi ne parla lo fa per sentito dire e senza nemmeno averne mai sentito un solo pezzo (evento che potrebbe finire anche per cambiare la sua opinione sull’argomento). “Uno dei nostri principali obiettivi a breve termine è spazzar via la logica della programmazione radiofonica dei Top-40, perché è fondamentalmente sbagliata, immorale e antimusicale” – disse il chitarrista ai tempi di Freak Out!, quando con i Mother Of Invention si apprestava a cambiare per sempre l’idea di musicista impegnato. Ancora oggi è difficile che l’ascoltatore medio possa entusiasmarsi con storie che parlano di groupies affette dalle più svariate malattie sessuali, di intrighi politici o di teorie della cospirazione e anche per questo Zappa non diventò mai un autore per le masse: Frank disturbava già a livello musicale, ma la vera rivoluzione la fecero i suoi testi carichi di riferimenti sessuali pesantissimi e le caustiche invettive contro chiunque, fossero essi politici, telepredicatori o colleghi musicisti. L’unico aiuto in questo senso glielo diede la lingua d’origine: alcuni suoi pezzi diventarono veri tormentoni in paesi in cui a sapere l’inglese erano solo i capi di stato, con risultati esilaranti quali intere discoteche che cantavano le gesta sadomaso di “Bobby Brown” senza capire nemmeno una parola. Nessuno uscì indenne dalla sua feroce ironia politicamente scorrettissima: da Peter Frampton a Michael Jackson, passando per i presidenti degli Stati Uniti di cui poté ammirare le gesta, arrivando persino alle minoranze etniche, alle donne e alla comunità omosessuale. Zappa pensava (a ragione) che tutto potesse essere messo sotto tiro, anche a costo di scadere talvolta nel cattivo gusto; mentre però la critica (ma soprattutto gli oggetti delle sue derisioni) finirono per condannarne le gesta, il suo pubblico non lo abbandonò mai, nemmeno quando gli attacchi si intensificarono. Il finale di carriera si fece sempre più politico, anche se forse meno interessante dal punto di vista musicale ed è un peccato che solo ora, a più di vent’anni dalla morte, se ne riconosca il valore assoluto. Difficile penetrare in una delle menti americane più brillanti del ventesimo secolo, anche se diversi testi hanno provato a farlo in modo più o meno convenzionale. Tra i testi italiani, “Frank Zappa For President” di Michele Pizzi, edito da Arcana, ha cercato di spingersi laddove pochi in precedenza avevano osato: nella follia dell’analisi dei testi. L’autore lo ha fatto con acume e dovizia di particolari, ma soprattutto cercando di prendere a prestito da Frank l’arguta ironia che ne contraddistinse la carriera. Ai posteri l’ardua sentenza.
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