Per alcuni, gli album postumi di Jimi Hendrix rimarranno sempre speculazioni, per altri come John McDermott, storico archivista, co-produttore, ma soprattutto fan e massimo esperto mondiale del chitarrista americano, si tratta invece di semplice amore. Ecco perché, secondo lui, ogni brano di una nuova raccolta ha la stessa dignità degli album usciti quando Hendrix era ancora in vita.
Non passa anno senza la pubblicazione di nuove registrazioni di Hendrix, siano esse session inedite da studio o live ripescati dagli archivi. Non temete che il mercato possa in qualche modo saturarsi?
“Prima di tutto io sono un fan di Jimi, quindi non posso che essere felice del fatto che esistano ancora così tante registrazioni di quel periodo della sua vita. La sua eredità musicale è infinita e credo che soprattutto le registrazioni in studio mettano in mostra quanto la sua musica resti ancora oggi insuperata. Io e Eddie Kramer non produrremmo mai nulla che non fosse di qualità assoluta, abbiamo troppo rispetto per la sua musica. Non bisogna confondere un contratto discografico con la qualità dei pezzi, altrimenti il giudizio partirà subito viziato. Ascoltare senza pregiudizi album postumi come People, Hell & Angels, ultima uscita in ordine di tempo, significa ascoltare Hendrix nella sua pienezza e dare giustizia a brani già sentiti dai fan in registrazioni orrende e ritoccate.”
Ai tempi di Valleys Of Neptune dichiaraste che quelle registrazioni potevano far capire l’evoluzione della musica di Hendrix da Electric Ladyland a quello che poi sarebbe divenuto First Rays Of The New Rising Sun. Come collochi allora i brani ripescati negli ultimi anni?
“È davvero difficile rispondere a questa domanda, tanto che il titolo di quel disco era proprio uno di quelli che Jimi stesso aveva pensato per il fantomatico quarto album. Nessuno può sapere quante delle più di trenta canzoni cui Jimi stava lavorando sarebbe finita sull’album, di sicuro era cambiato il suo approccio alla musica in studio. Se infatti dal vivo era ancora convinto che il trio fosse la formazione più adatta alla sua musica, in studio ormai ragionava in termini diversi, voleva suonare con più musicisti, anche di estrazione differente. Il suo sogno era quello di creare qualcosa a metà tra Sgt.Pepper dei Beatles e un album di Dylan: un album in cui la complessità della musica si unisse ad messaggio al mondo.”
Il fatto che tu collabori con Billy Cox da anni rende la cosa più complicata, ma da esperto archivista quale tu sei, pensi di aver capito quale fosse la band più congeniale alla sua musica?
“Credo che la band migliore con cui abbia suonato resti quella composta da Billy Cox al basso e Mitch Mitchell alla batteria e, anche se si fa molti scrupoli a prendere una posizione, anche Billy è d’accordo su questo. Mi spiego. Inizialmente l’obiettivo di Jimi era quello di farsi conoscere, quindi è normale che cercasse di ipnotizzare il pubblico attraverso le movenze, i trucchi ad effetto e tutte quelle diavolerie. Dopo pochissimo tempo, però, si era già stancato e intuì presto di essere diventato una sorta di fenomeno da baraccone. Redding era un ottimo bassista, ma nasceva chitarrista e non possedeva quel groove che Jimi andava cercando, così come a Buddy Miles mancava la furia di cui comunque anche la sua nuova musica aveva bisogno. Mitch era unico perché pur essendo di estrazione jazz, riusciva anche a suonare rock come pochi altri.”
Sei anche tu convinto che le tracce degli album postumi di Jimi possano indicarci quello che Hendrix avrebbe fatto in futuro?
“No, io credo che indichino solo quel presente di Jimi. Cambiava con così tanta velocità idea sulle cose, che è impensabile dire cosa avrebbe fatto. Amava il blues, questo è certo, ma dalle decine di pezzi ancora negli archivi puoi renderti conto di come anche lo stesso pezzo cambiasse radicalmente da una settimana all’altra. Prendi Hear My Train Coming: la versione sul nuovo disco credo sia la più eccitante di sempre, eppure è la quinta o sesta volta che compare su un album postumo. È questa la cosa che mi affascina di più degli ultimi anni: prendeva un pezzo, suo o di chiunque altro, e lo suonava a seconda del mood in cui si trovava. Per questo resto convinto che il quarto album sarebbe uscito almeno dopo altri due anni e magari con altri venti pezzi diversi.”
Sappiamo che il contratto con Sony Music prevede ancora moltissimo materiale da studio per i prossimi anni. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
“L’unica cosa che posso dirti è che gli archivi sono ancora pieni di canzoni, alcune delle quali francamente non pubblicabili, ma anche molte sorprese nascoste, come le ultime registrazioni assolute in studio. Tuttavia credo che il prossimo album sarà un live con la Experience. Quello che più mi preme, però, resta sempre il fatto di sottolineare quale compositore fosse Hendrix: tutti pensano al suo stile chitarristico, ma la sua grandezza sta nell’averlo reso funzionale a delle canzoni stupefacenti. Credo sia l’aspetto più sottovalutato di tutta la faccenda, ma non bisogna smettere di ricordarlo. È chiaro che tutti pensino a lui come al più grande chitarrista di sempre, ma per Jimi la tecnica non contava nulla, non gli interessava che chi suonasse con lui fosse un mostro. Era il feeling la cosa più importante, unito, soprattutto dopo il ’68, al messaggio che voleva lasciare all’umanità.”