Nella storia del rock non sono poi tanti i fotografi in grado di competere con le star immortalate nei propri scatti, quelli che gli appassionati riconoscono come sinonimo di garanzia e che sono entrati di diritto nella leggenda. I primi nomi a venire alla mente sono sicuramente quelli di Mick Rock (il fotografo rock per eccellenza) e di colui che ne ha intrapreso un po’ le orme a partire dagli anni ottanta, Ross Halfin. Noto per la scontrosità ma soprattutto per il fatto di essere l’unico uomo al mondo in grado di comunicare con Jimmy Page, Halfin passa la sua vita tra i pit dei concerti più esclusivi e i negozi di dischi di Soho in compagnia dell’ex Zeppelin. Nonostante la ritrosia alle interviste, mostrata bene in alcune risposte stizzite (Perché chiedi a me di un nuovo disco di Jimmy?!), il fotografo si è mostrato meno rude di quanto potessi temere.
Quando hai preso coscienza del fatto che la tua passione avrebbe potuto trasformarsi in un lavoro vero e proprio?
Negli anni settanta ero solito andare a vedere band come gli Who e pensavo: “Potrei tranquillamente fare loro delle foto molto superiori a quelle che circolano sui giornali”. Lo so, era un pensiero molto arrogante il mio ai tempi, ma penso che un po’ tutti da giovani facciano pensieri di quel tipo. Dopo aver lasciato l’Istituto d’Arte, cominciai a fare il free lance per Sound, una rivista musicale di quegli anni e lì ebbe inizio la mia carriera.
Tempo fa con Sojourner hai iniziato a pubblicare raccolte in cui le band non erano le protagoniste del libro…
Sì quella volta i miei soggetti non erano artisti o band, ma tutto quello che avevo visto durante i miei ultimi viaggi e che ho pensato potesse essere interessante dal punto di vista artistico. Tutto può esserlo: un aeroporto, una nuvola fotografata durante un volo, una persona ignara. Anche le cose più semplici, quelle a cui non facciamo più caso possono nascondere emozioni. Ho provato a mettere insieme una serie di scatti che potessero piacere alla gente, non era un mero esercizio stilistico quello che avevo in mente. Con la presunzione che, se sei stato in quei luoghi, li hai visti come io li ho fotografati.
C’è stata una band con cui hai avuto più difficoltà a lavorare rispetto ad altre?
La peggiore persona con cui mi sia capitato di lavorare è stata di sicuro Norah Jones. Controllava ogni mio movimento ossessivamente, era scortese e oppressiva. Anche con i Pearl Jam ho avuto difficoltà, ma per via della gente che girava intorno alla band, non per i ragazzi. È terribile che chi sta intorno agli artisti pensi di esserlo a sua volta, sembrava di trovarsi di fronte all’esercito. Con Eddie Vedder negli anni è nato un ottimo rapporto: possiamo passare ore a parlare degli Who!
Dalle tue parole mi sembra di capire che gli Who siano il tuo gruppo preferito. Hai mai lavorato con loro?
Sì, se dovessi parlare da fan ti direi subito gli Who. Ho lavorato con loro infinite volte, ma Pete Townshend è ancora in grado di intimidirmi.
So che non è semplice, ma se dovessi scegliere una sola delle tue foto, quale sarebbe?
Sono troppo vecchio e faccio questo lavoro da troppo tempo per poterlo fare, è una domanda impossibile la tua. Però ora che ci penso, uno scatto che amo particolarmente è quello in cui John Frusciante è travestito da Gesù. Purtroppo offese molte persone.
In pratica sei l’unica persona a sapere cosa faccia ogni giorno Jimmy Page. La sua riservatezza è ormai leggendaria. Quando l’hai incontrato la prima volta?
Lo incontrai a Knebworth, l’11 agosto del 1979. Mi ricordo così bene la data semplicemente perché è quella il mio compleanno. Dopo quella volta passarono diversi anni senza che ci vedessimo più. Il progetto Coverdale-Page fu il primo a cui lavorammo insieme e da lì nacque anche la nostra amicizia.
Sei anche tu un appassionato di occultismo come lui?
Certamente. Inizio ad adorare il demonio dalle prime ore della mattina.
A parte gli scherzi…
Non stavo assolutamente scherzando.