Vedere quarantanove volte un artista dal vivo, va da sé, nasconde della malattia mentale pressoché inguaribile. Da anni la gente mi chiede perché mi ostini ad andare a vedere Vasco negli stadi di mezza Italia: molto semplice, perché nel nostro paese non esiste ancora qualcosa di questo tipo. E non me ne voglia nessuno.
Come di consueto, la primavera ha bussato alle porte, è entrata dalla finestre e si è infilata sotto le gonne (delle donne). Con altrettanta puntualità, la stagione concertistica appena iniziata ha riportato con sé il protagonista assoluto delle estati del nostro paese da almeno venticinque anni a questa parte: Vasco Rossi. Tra le tante cose straordinarie che il Blasco è riuscito a rendere scontate, possiamo di certo inserire anche le quattordici date nei maggiori stadi italiani che il nostro sta affrontando con quel mix di sfacciataggine e semplicità che da sempre ne caratterizza il personaggio. La seconda data all’Artemio Franchi di Firenze non ha fatto altro che ribadire quanto visto e sentito dal debutto pugliese in avanti: Vasco è in grandissima forma, forse anche più dell’anno scorso e la band si muove ormai lungo sonorità che forse non saranno metal tout court, ma che di certo risultano molto pesanti per tutto il corso della serata. Inoltre, la sensazione è che ora Vince Pastano e Will Hunt siano davvero entrati a far parte della combriccola, dopo il rodaggio dello scorso tour: in particolare il primo sembra essersi tolto dalle spalle l’ingombrante fantasma di Maurizio Solieri, che inevitabilmente lo affiancava durante le date del 2014. La scaletta, come di consueto per i tour del Blasco, non cambia rispetto alle date precedenti e presenta il classico tentativo di bilanciare al meglio le decine di brani che chiunque venga a vederlo non può rinunciare a sentire. Dopo un buonissimo inizio dedicato all’ultimo lavoro, con la Sono Innocente Ma… ad aprire le danze seguita da Duro Incontro, arriva la prima chicca per il vecchio pubblico: una Deviazioni tiratissima che inizia a scavare nell’animo di chi sa che assistere ad un concerto di Vasco significhi prima di tutto mettere in dubbio se stessi. La serata è chiaramente studiata come un climax ascendente che parte dai brani da classifica delle ultime uscite per arrivare piano piano alle hit che tutti aspettano e che Vasco fatica a lasciare fuori dalla setlist. Tra le sorprese maggiori il ritorno di Credi Davvero, qui in veste quasi hard rock, ma soprattutto la riscoperta di Nessun Pericolo…Per Te, assente da così tanto tempo che gran parte del pubblico nemmeno capisce di che cosa si tratti. Uno degli apici assoluti della serata, che forse toglie clamorosamente il posto a Gli Spari Sopra, ma che la vecchia guardia dei fan apprezzerà moltissimo anche nel corso delle prossime date. Il brano potrebbe anche rappresentare l’occasione di andare a riscoprire un album che non vive solo di Sally e gli Angeli, ma le cui tematiche legate all’integrazione tra popoli risultano tremendamente attuali in un periodo storico come quello che ci troviamo a vivere (anche se siamo morti dentro). Sulle canzoni tratte da Sono Innocente c’è poco da dire: dal vivo funzionano benissimo, in particolare Quante Volte e la già citata Duro Incontro, che dal vivo sa ancora di più di primi anni ottanta e smentiscono ancora chi si ostina a dire che il nostro non scriva più buoni pezzi da quasi vent’anni. Per la parte conclusiva della serata si naviga sul sicuro, con le consuete esecuzioni dei classici e un medley davvero riuscito, in cui Delusa viene intervallata da brani come T’Immagini e Mi Piaci Perché. Personalmente, tuttavia, il concerto avrebbe potuto concludersi con La Noia, una di quelle canzoni dopo cui riesce davvero difficile poter aggiungere altro.