Vasco Rossi – Sono Innocente

Vasco Rossi invecchia, ma resiste come solo i più grandi sanno fare. Sono Innocente è un album incazzato, sarcastico e spesso caustico, che grazie alla consueta ironia si scaglia contro perbenismi vari e qualunquismo, raccontando la realtà, la sua realtà, in modo ora amorale, ora divertito, spesso malinconico ma mai rassegnato. E con quella sincerità che ne ha segnato carriera e vita personale. Le impalcature emozionali degli album di Vasco si reggono da sempre principalmente su due sentimenti, malinconia e rabbia: quasi sempre questi convivono felicemente, ma spesso uno o l’altro prendono il sopravvento, spostando leggermente gli equilibri e decidendo inevitabilmente l’andamento del disco stesso. In questo senso, il rapporto tra il precedente Vivere O Niente e questo lavoro ricorda da vicino quello tra Liberi Liberi e Gli Spari Sopra, entrambi pieni di nostalgia e grinta, ma allo stesso tempo caratterizzati fortemente da uno o dall’altro stato d’animo: ecco allora che là dove il disco precedente appariva spesso rassegnato e malinconico, Sono Innocente si muove su coordinate diverse, partendo e sostanzialmente proseguendo all’insegna di un approccio più rabbioso e non solo per la tanto sbandierata svolta metal. Come di consueto, descrivere le canzoni di Vasco nel dettaglio appare più complicato che cogliere il mood generale di un suo album, anche se alcuni nuovi brani sembrano avere tutto ciò che serve per poter entrare immediatamente nel novero delle sue migliori composizioni, per lo meno tra quelle del nuovo millennio. Se la title track suona come una vera e propria dichiarazione d’intenti e serve al cantautore per togliersi qualche sassolino (“Ho lavorato ad un album fatto di nuove consapevolezze e vecchi rancori. Ho voluto rispondere a tante critiche”), è con la successiva Duro Incontro che la poetica di Vasco torna a toccare certe corde tanto care al suo pubblico, soprattutto quello più vicino ai quaranta: qui dentro c’è tutta l’ironia sconsolata di brani come Sono Ancora In Coma o Fegato Fegato Spappolato, mediata da quel pizzico di consapevolezza in più che solo l’età riesce a portare. La disillusa Dannate Nuvole, inserita in un contesto preciso come questo appare oggi più che mai come uno dei brani centrali del disco, così come Guai e Quante Volte, entrambi arrangiati magistralmente da Celso Valli. Il secondo, in particolare, si inserisce immediatamente nella lista dei testi più belli di sempre del rocker, capitolo conclusivo di un’ideale discorso iniziato con Siamo Solo Noi e proseguito con Vita Spericolata, Un Gran Bel Film, Il Mondo Che Vorrei e I Soliti: insomma, malinconia autobiografica pura per una riflessione che immediatamente diventa universale. Piccolo cenno finale sulle godibilissime bonus track. Azzeccatissima innanzitutto la scelta di recuperare e riarrangiare L’Uomo Più Semplice che, seppur travestita da motivetto adatto alla stagione estiva, possiede tutti gli elementi che caratterizzano la scrittura del Blasco da sempre: la primavera come portatrice sana di impulsi vitali (e sessuali) che rimanda immediatamente a Ieri Ho Sgozzato Mio Figlio, la caducità del tempo (Domani Sì, Adesso No) e la solitudine, tenuti insieme da quell’autoironia presente in metà del suo canzoniere. Infine L’Ape Regina e Marta Piange Ancora, la prima una favola onirica e agrodolce che suona un po’ come un incontro tra l’amico De Andrè e Branduardi, mentre la seconda scritta a quindi anni e che non avrebbe sfigurato in qualsiasi album tra …Ma Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone e Colpa d’Alfredo. Bentornato provoca(u)tore.