Quasi venticinque anni di carriera, dati più volte per finiti o senza stimoli e sopravvissuti indenni persino all’addio di uno dei propri uomini simbolo: i Dream Theater si ripresentano così al proprio pubblico, maturi e con un album omonimo che ne riconferma l’ottimo momento mostrato nell’ultimo lustro. John Petrucci ci ha raccontato gli eventi e le emozioni che hanno contribuito alla nascita del nuovo disco.
Un album omonimo dopo venticinque anni di carriera. Un modo eloquente per far capire a tutti che si tratta di un nuovo inizio…
“Sì, è la prima volte che utilizziamo semplicemente il nostro nome per dare il titolo ad un album e credo che non ci fosse momento migliore per farlo che questo. A dire il vero ho sempre considerato ogni nuovo album un nuovo inizio, come la possibilità di creare qualcosa di nuovo e di oltre i miei limiti e te lo direi anche se la band fosse la stessa di When Dream And Day Unite, quindi ogni nuovo disco avrebbe potuto chiamarsi semplicemente Dream Theater. Non pensare però che il nuovo inizio sia solamente riferito al fatto che con questo album abbiamo definitivamente detto addio ad una parte importantissima del nostro passato, la faccenda va vista a livello più grande. Credo che avremmo intitolato così il disco anche se Mike (Portnoy, ndr) fosse ancora con noi, era da qualche tempo che l’idea ci girava per la mente e forse quella è stata la molla che ci ha fatto dire: ok, facciamolo, ripartiamo da zero e vediamo cosa succede. Questo per sottolineare che non si è trattata di semplice mancanza di fantasia (ride, ndr).”
In ogni caso, l’album suona Dream Theater al cento per cento, quindi credo per voi si tratti più di un nuovo corso dal punto di vista psicologico che musicale. Non credi?
“Be’ sai, forse ricominciare con un album blues avrebbe scioccato un po’ troppo i nostri fan in questo momento (ride, ndr). Tuttavia credo che anche solo rispetto al suo predecessore non siano poche le differenze a livello compositivo: innanzitutto le parti di batteria si differenziano non poco dal nostro passato e credo che la cosa abbia poi spinto di conseguenza il resto del songwriting. A dire il vero ho iniziato a lavorare alle prime canzoni del disco durante il tour di A Dramatic Turn Of Events proprio perché volevo andare oltre quello che avevo composto per quel disco, arrivare ad un livello superiore. Durante quelle session volevo creare qualcosa di grandioso, di musicalmente più pomposo rispetto a quello che avevamo composto in passato. Dal punto di vista mentale il mio punto di riferimento principale era la musica classica, anche se forse non si nota poi sul disco. Questa volta, invece, ho voluto creare qualcosa di più legato al terreno, di meno elevato e più aggressivo, sempre lasciando spazio a parti più melodiche, chiaramente. Insomma, un calcio nello stomaco dopo le pretese precedenti (ride, ndr).”
Il lavoro di Mike Mangini alla batteria è straordinario e ora pare davvero un membro ufficiale della band. Questo è dovuto al fatto che ha potuto partecipare al processo di songwriting o al fatto di conoscervi meglio?
“Penso che Mike abbia avuto uno dei compiti più ingrati del mondo musicale degli ultimi anni e sai bene a cosa mi riferisco. Sostituire uno dei pilastri su cui si reggeva la storia della band penso avrebbe potuto uccidere chiunque dal punto emotivo. Mike è un animale, non c’è altro termine per definirlo: è diverso da Portnoy, non ha mai voluto scimmiottarlo, ma tecnicamente è mostruoso ed ha grandi idee ed entusiasmo. Come sai, durante le session del disco precedente non ebbe la possibilità di dire la sua a livello compositivo e dovette limitarsi a suonare parti già scritte. Questa volta, invece, non solo arrivava da decine di concerti con noi, ma ha anche potuto dare sfogo alla propria creatività e sono convinto che nessuno di quelli che ci seguono dagli esordi rimarrà deluso dalle parti di batteria, che da sempre ricoprono un ruolo cruciale della nostra proposta musicale.”
Sei ormai uno degli ultimi due membri originali della band, come è cambiato negli anni il tuo ruolo all’interno del gruppo?
“Ne parlavo proprio poco tempo fa con John (Myung, l’altro membro fondatore rimasto ndr), ci siamo fatti più o meno la stessa domanda pensando ai giorni in cui mettevamo insieme la band e sai su cosa conveniamo? Sul fatto che intorno a noi sia cambiato davvero tutto, dai mezzi di trasporto, alle aspettative, ai sogni, ma che io e lui siamo sempre quei due adolescenti che sognavano di suonare davanti a un grande pubblico. Anche il mio ruolo, sostanzialmente, non è cambiato così tanto, ma soprattutto mi sono accorto di una cosa che mi ha un po’ sconvolto, perché non so se sia un bene o un male: la mia tecnica chitarristica è cambiato pochissimo da quando avevo diciassette anni, quasi per niente direi. In pratica è cambiata solo la mia sensibilità musicale, il mio modo di approcciare lo strumento e la composizione, ma le cose che facevo allora sono le stesse di oggi.”
Anche i dati di vendita vi hanno dato sostanzialmente ragione. Da Octavarium in poi è come se foste riusciti a recuperare le redini di un discorso che sembrava stesse svanendo. Per alcuni avevate detto ormai tutto.
“Il problema è che probabilmente anche noi avevamo iniziato a pensare di non aver più nulla da dire, o peggio forse avevamo iniziato a pensare di poter scrivere sempre ottimi pezzi, senza doverci preoccupare di nulla. Credo che quel periodo sia il motivo per cui siamo ancora in pista oggi, perché ci fece capire che nulla arriva solo perché ti chiami Dream Theater e sei tecnicamente ineccepibile. Puoi anche suonare pezzi che fanno schifo in modo perfetto, col risultato di annoiare chi ti viene a vedere,anche il fan più devoto o il musicista che viene a vedere come migliorare la propria tecnica. Sono convinto che ad un certo punto la band abbia perso il contatto con la realtà, con le proprie origini e con le motivazioni per cui aveva iniziato a suonare vent’anni prima. Quelle critiche furono fondamentali, perché capimmo che avevano a che fare con la nostra creatività e non erano frutto di stupide elucubrazioni di certa stampa musicale. Se consideri che A Dramatic Turn Of Events ha venduto sostanzialmente come i due dischi precedenti e più di Octavarium ti accorgi che i fan hanno capito la svolta e che non considerino la band solo come una serie di musicisti immutabili.”
A tal proposito, cosa rispondi a chi sostiene che dopo l’addio di Portnoy i Dream Theater siano un in pratica un nuovo gruppo?
“Rispondo che è puerile dire una cosa del genere: è chiaro che la band oggi non sia più quella degli esordi, così come è chiaro che non lo sarebbe più nemmeno se Mike fosse ancora con noi. Pensa a quanto cambia una persona nel corso di qualche mese e poi pensa a quanto possono cambiare più persone che passano insieme anni di vita. Sono discorsi assurdi, come quelli di chi sostiene che la band attuale non debba essere considerata al pari di quella precedente. Essendo coinvolto, non sono la persona migliore per parlare di cose del genere, ma per quanto ne so non è detto che i cambiamenti debbano portare per forza di cose a peggiorare una situazione. Pensa a LaBrie: non è tra i fondatori della band, ma chiedi a quanti là fuori non pensino immediatamente a lui quando parlano dei Dream Theater? Se invece parliamo di affetto, allora è un altro discorso e capisco perfettamente che per un fan, spesso, i membri di un gruppo diventano una sorta di famiglia, verso cui si proiettano tante cose, sentimenti, umori, quindi è chiaro che l’abbandono di un membro viene visto come un trauma.”
Recentemente lo stesso Portnoy ha dichiarato che non esclude in futuro di riunirsi alla band e che aveva semplicemente bisogno di una pausa per recuperare delle emozioni che pensava di aver perso. Cosa ne pensi?
“Siamo in ottimi rapporti con Mike, credo che tutti i membri della band lo siano e ognuno di noi lo sente con una certa regolarità. Sono contento che le cose gli siano andate bene negli ultimi anni e per me resterà sempre un fratello. In questo mondo non si può mai prevedere come vadano davvero le cose, ma non credo proprio che Mike possa tornare nella band: ha preso una decisione dolorosa, che ai tempi ci ha creato non pochi problemi, ma che alla fine ci ha fatto unire ad un altro grande musicista, dandoci probabilmente gli stimoli che lui stesso cercava andando via. So che nelle interviste continua a parlare di questa cosa, a far risultare un po’ noi come i cattivi, ma credo che dietro ci sia anche un po’di senso di colpa e di voglia di dire ai fan che in fin dei conti siamo stati noi a spingerlo in quella direzione. Sai, queste genere di cose credo che siano nate insieme alla musica e sono assolutamente comprensibili, anche se forse un po’ fuori tempo massimo. Non abbiamo più vent’anni e non credo valga la pena di dilungarsi troppo su certe cose o di iniziare a dirsi cose indirettamente. Su questo, purtroppo, siamo ancora distanti, ma in ogni caso ne parlerò con lui, come ho sempre fatto.”