Peter Hammill è uno dei personaggi più eclettici del panorama inglese degli anni settanta e ottanta, la cui proposta musicale resta una delle più particolari e fuori dagli schemi di un genere, il progressive rock, di cui i suoi Van Der Graaf Generator, a ben vedere, non hanno mai davvero fatto parte a tutti gli effetti. L’abbiamo incontrato in occasione del suo mini tour nel nostro paese…
Un mini tour in Italia non è una novità per te: il nostro paese spesso ti ha dato più successo di quello d’origine. Come ti spieghi questo e il Peter Hammill che vediamo ora e lo stesso di quello che solcava i nostri palchi trentacinque anni fa?
«Me lo sono chiesto tante volte. Il vostro paese ha sempre amato tantissimo la mia musica e per questo non posso che esservi grato. Siamo giunti in Italia nel momento migliore per la scena prog, che da voi ha creato alcune delle realtà migliori d’Europa e ne abbiamo tratto enorme beneficio. La seconda domanda è più difficile e forse la fai alla persona sbagliata. Credo di non essere cambiato molto, se non nel fatto di essere sempre più malinconico.»
Hai sempre avuto grossa facilità nel comporre nuova musica, tanto per la band quanto per la tua carriera solista. Quanto cambia il tuo approccio al processo di songwriting a seconda del progetto per cui ti metti a scrivere?
«Per molti artisti non fa alcuna differenza scrivere brani per un disco solista o per uno della propria band, mentre io mi comporto in modo diametralmente opposto: sono quasi schizofrenico in questo senso, come se avessi due personalità ben distinte. So sempre quando sto scrivendo un brano per un mio progetto solista, altrimenti che senso avrebbe averne uno? Non ho mai pensato a cosa il pubblico vuole da me, ho sempre ritenuto giusto fare solo quello che ho voglia di fare, senza assecondare nessuno. La gente che ha amato i nostri primi lavori lo ha fatto senza sapere cosa aspettarsi da noi, quindi credo che un artista debba solo seguire il proprio istinto, perché il rischio di diventare ruffiani è dietro l’angolo. Sarà per questo che non ho venduto come i Genesis (ride, ndr).»
Eppure, qualcosa nella musica dei Van Der Graaf Generator è cambiata nel ventunesimo secolo…I tuoi testi, seppur sempre culturalmente elevatissimi, si sono fatti molto meno complicati, più diretti diciamo. Qualcuno ha pensato che la scelta fosse dettata da esigenze commerciali.
«Chi conosce davvero la mia carriera, le mie scelte e la mia integrità sa che benissimo che non ho mai messo nulla davanti all’arte o all’idea di essa che ho fin dall’adolescenza. Se avessi davvero voluto effettuare una svolta commerciale l’avrei fatta all’apice della popolarità della band, spostandomi verso territori più vendibili o attaccandomi a filoni che ai tempi facevano davvero guadagnare molti soldi. Se non mi sono mai venduto ai tempi, che senso avrebbe farlo oggi che i dischi non si vendono più? La mia scrittura è meno criptica di un tempo perché la mia esigenza odierna è che i miei messaggi non vengano travisati e che possano raggiungere più persone possibili. Intere generazioni avevano sentito parlare di noi solo nei dizionari ed era giusto dar loro la possibilità di poter vedere di cosa siamo ancora capaci di fare. Di tutto il resto non mi sono mai curato e non inizierò certo a farlo ora: come un tempo scrivevo brani così come nascevano nella mia testa, così faccio ora. Forse l’età mi ha fatto diventare semplicemente meno criptico e ogni giorno di più mi convinco che le cose migliori siano quelle dette nel modo più semplice.»
In molti sperano che tu stia lavorando ad un box antologico, con decine di brani inediti, demo e quant’altro, ma tu continui a fare finta di nulla…
«Sebbene la mia musica abbia sempre guardato al passato e i miei testi siano pieni di riferimenti al tempo che passa e ricchi di nostalgia, amo pensare sempre al futuro. Mi spiace quindi deludere i miei fan, ma per il momento non ho alcuna intenzione di perdere anni alla ricerca di brani nascosti negli archivi! Non sono Neil Young che riesce a gestire una band, una carriera solista e a passare dieci anni a lavorare sui suoi archivi, io riesco solo a pensare a quello che scriverò, forse perché affrontare il passato mi ha sempre fatto un po’ paura. E poi, diciamoci la verità, queste sono cose che amano fare le case discografiche quando gli artisti non ci sono più…»