Speciale Ray Manzarek

Mi chiedo spesso se la morte di Jim non sia stata una raffinata messa in scena. Era un’anima inquieta, sempre in cerca di qualcosa di diverso nella vita e anche sei anni di successo e di eccessi con i Doors non erano stati abbastanza per lui. Un anno prima della morte mi mostrò una brochure delle Seychelles dicendomi che sarebbe stato un posto fantastico per inscenare la propria morte. Ho sempre creduto che la morte di Jim non fosse altro che l’ennesima chiacchiera da Rock n Roll.

 

Se l’ultima delle boutade di Ray Manzarek, ripetuta con strategica regolarità nel corso degli anni, avesse avuto un legame con la realtà, la sua recente scomparsa rappresenterebbe per assurdo la prima di un membro ufficiale dei Doors. Pur avendoci giocato per tutto l’arco della carriera, tuttavia, frasi come quelle avevano un duplice compito: da una parte portavano avanti la leggenda del poeta fuggito perché stanco di essere visto come un semplice sex simbol, che aiutava a mantenerne intatto il mito romantico, e dall’altra servivano per vedere le reazioni basite dei giornalisti di turno, che si affrettavano a scrivere titoli sensazionalistici, senza coglierne la presa in giro di fondo. Probabilmente, però, Manzarek ne aveva bisogno per superare un lutto mai completamente elaborato e, forse, anche per esorcizzare in qualche modo quello della fine della band, portata avanti con tenacia e commovente dedizione fino ai giorni nostri, ma di fatto terminata con quel biglietto di sola a andata per Parigi. Vista in quest’ottica, tutta la carriera del musicista potrebbe apparire come una grande celebrazione di quei sei anni che cambiarono per sempre la storia della musica popolare, ma sarebbe davvero troppo riduttivo limitarsi a questo. La curiosità aveva sempre spinto Manzarek a superare i propri limiti musicali, ad andare oltre le lezioni che a Chicago avrebbero potuto trasformarlo in un classico blues man e a cercare sempre nuove vie di espressione. Non amava annoiarsi, ma soprattutto non voleva che i fan si annoiassero con la sua musica: proprio per questo, dietro ai cambiamenti musicali più o meno riusciti del gruppo c’era spesso la sua impronta. Più dei compagni Krieger e Densmore, era il motore musicale della band, la spina dorsale di un sound che ai tempi (e tutto sommato ancora oggi) rimane irreplicabile e impossibile da scimmiottare. Nessun gruppo musicale fino a quel momento aveva posto così tanta importanza sull’organo, che si trasformava così da accompagnamento o contorno ad elemento attorno a cui girava ogni trama musicale; allo stesso tempo nessuna rock band aveva mai pensato di fare a meno di un bassista, da cui la bizzarra idea di affidare le sonorità di questo strumento alla tastiera dello stesso Manzarek, aggiungendo un Fender Rhodes Piano Bass al suo organo Vox Continental. Pur non essendo mai stato l’autore principale della band, due caratteristiche distintive del suo stile tastieristico facevano di Manzarek un punto di riferimento insostituibile per i suoi compagni: una era rappresentata dalle terze parallele su scale minori, ben evidenti nell’assolo di People Are Strange, per esempio. L’altra era il modo in cui risolveva gli accordi di quinta bemolle, come in Back Door Man, solo per citare un brano. Un trucco blues quest’ultimo abbastanza usuale, ma reso personale e inedito dal musicista. Il tutto legato da quello stile quasi barocco che rendeva riconoscibile un brano del gruppo ancor prima che Morrison pronunciasse qualsiasi parola.

Ray-Manzarek_2568406b

Se Morrison rappresentava lo spirito della band, la parte più irrazionale e dionisiaca e Krieger era l’autore dei brani più celebri del gruppo, lui ne incarnava l’essenza musicale, il tratto maggiormente riconoscibile e apollineo. “Quando ero con Jim non avevo un grande impulso a scrivere perché mi piaceva sempre tantissimo quello che Jim scriveva. Lui era in grado di soddisfare quel bisogno di creatività da parte dei membri del gruppo con le canzoni che scriveva. Da quel punto di vista solo Robbie riusciva a scrivere brani con una certa continuità e spesso i suoi brani servivano ad aprirci le porte delle classifiche. Prima della morte di Jim non ho sentito tutta questa urgenza di scrivere. Arrangiare le canzoni e dare una forma completa alla musica era sufficiente”. Quando l’amico scomparve, Ray capì immediatamente che senza l’imprevedibilità di Jimbo, non solo la band, ma la sua stessa anima non sarebbe stata più la stessa. “Inizialmente ci convincemmo che avremmo potuto proseguire, forti anche di alcuni concerti in cui Jim ci aveva lasciati da soli sul palco. Un conto era però suonare sapendo che lui sarebbe tornato la sera dopo, un altro era rendersi conto che non l’avrebbe più fatto”. L’esperimento dei Doors senza Morrison  non avrebbe potuto mai funzionare nel 1971: troppo grande era l’ondata emotiva successiva alla morte del cantante e l’effetto nostalgia necessitava di molto più tempo per prendere quota. Scartata anche l’idea di un nuovo cantante, la band si disgregò, costringendo il tastierista a confrontarsi con due lutti contemporanei. Mentre Densmore e Krieger dopo il fallimento del progetto Butts Band, tutto sommato, riuscirono a rimanere ai margini del music business senza eccessivi traumi, Manzarek non ne era capace, ancora convinto di dover proseguire un discorso iniziato sulla celebre spiaggia di Venice Beach la prima volta in cui ascoltò i versi di Moonlight Drive. Innanzitutto si prese in carico il destino di Danny Sugerman, il ragazzino disadattato cresciuto all’ombra della band e diventatone ufficialmente il giovane manager: gli diede una casa, uno stipendio con cui poter vivere di rendita e lo confermò tutto fare tanto dei propri progetti futuri che di quelli dei Doors. Poi decise che era il momento di rimettersi in gioco, con nuovi musicisti e ritrovato entusiasmo: riunito intorno a sé un manipolo di amici tra i quali spiccavano Joe Walsh, Larry Carlton e Patti Smith, in pochi mesi Manzarek diede alla luce The Golden Scarab, che per molti critici di allora era la cosa che più si avvicinava al mood dei Doors, se non dal punto di vista musicale, ora più vicino al Jazz, per lo meno da quello del mistero emanato dalla maggior parte delle tracce. In effetti, il cantato dello stesso musicista, oltre che diverse strofe, rimandavano in qualche modo al misticismo di cui Morrison era diventato sinonimo e questo, insieme ad arrangiamenti spesso arditi, forse non aiutarono un progetto che sembrava allo stesso tempo voler accontentare tutti senza riuscirci davvero con nessuno. Dopo l’insuccesso del successivo The Whole Thing Started With Rock & Roll Now It’s out of Control e disilluso dai continui fallimenti, Manzarek trovò tuttavia proprio in Sugerman una scintilla vitale: il ragazzo, che aveva scritto alcuni pezzi del suo ultimo album e che come Manzarek era alla disperata ricerca inconscia di sostituti di Morrison, gli presentò Iggy Pop, reduce dalla conclusione della sua avventura con gli Stooges. La fama di Pop era delle peggiori, tanto che molti sconsigliarono immediatamente a Ray di imbarcarsi in un’altra situazione a rischio. “Non mi piaceva l’idea che Ray s’imbarcasse in un’altra situazione così rischiosa” – ricorda Bruce Botnick – “Non aveva ancora superato la scomparsa di Jim e temevo che Pop fosse una figura troppo forte per lui in quel momento. Sembrava facesse più cose possibili per dimenticare il proprio passato, ma allo stesso tempo dipendesse da personalità al limite. Inoltre mi sembrava che il suo modo di suonare si avvicinasse sempre di più ad un blues venato di jazz, più che all’animalità di Pop”. Anche Sugerman aveva capito che la personalità dell’Iguana era fuori dall’ordinario, ma la cosa più che spaventarlo lo attraeva: “Dalla prima sera in cui lo incontrai capii che era la persona che mancava nella mia vita dalla morte di Jim” – ricordava nella sua biografia Wonderland Avenue – “Era completamente folle, senza controllo e assecondava il mio lato più istintivo, credevo fosse proprio quello che mancava anche a Ray”.

iggy ray

I due provarono a mettere insieme una band, cercarono i musicisti che ritenevano più adatti al sound che avevano in mente, ma le cose non funzionarono mai: gli eccessi di Pop erano troppo anche per uno che aveva vissuto anni al fianco del Re Lucertola. “Una sera, dopo settimane che non si faceva vedere, tornò a casa mia vestito da donna, con i tacchi e il rossetto sbavato sulle labbra, dicendomi che a Detroit sapevano come trattare una ragazza. Gli volevo bene, ma capii che non saremmo riusciti ad arrivare lontani, quindi formai i Nite City, ma Iggy non ne fece mai parte”. Purtroppo il fantasma di Jim continuava ad aleggiare sui progetti di Manzarek, che comunque continuava a parlare dell’amico con un trasporto ed un amore tali da non dare alcun dubbio sul cordone che ancora li legava. Musicalmente si era allontanato molto dalle sonorità degli esordi, pur essendo progredito notevolmente come musicista ed autore. “Ai tempi dei Doors, la musica era sostanzialmente una creazione comune. Quel che ritengo il mio apporto principale nella band era fornire un’atmosfera ad ogni canzone. Basta pensare alla vibrazione di base che veniva fuori da una canzone come Riders On The Storm per capire cosa voglio dire. Quando abbiamo cominciato a suonarla non somigliava per niente alla versione definitiva: il primo modo in cui l’abbiamo suonata non andava bene per niente e allora mi sono fermato di colpo, dicendo agli altri che avremmo dovuto arrangiarla in modo completamente diverso. Questo era il ruolo che ricoprivo nella band. Ora, invece, è diverso: non posso limitarmi a riarrangiare anime altrui, devo farlo con la mia”. Il nuovo progetto affondò miseramente come i precedenti, soprattutto perché il pubblico sembrava sempre più interessato ad approfondire la figura del leader dei Doors, piuttosto che la nuova musica del suo tastierista. Gli ultimi anni del decennio portarono tuttavia una ventata di entusiasmo inaspettato: i Doors superstiti si ritrovarono in studio per sovrapporre alcune poesie registrate nel 1970 da Jim Morrison a nuove trame sonore composte per l’occasione e l’anno successivo Francis Ford Coppola decise di inserire The End in una delle scene più suggestive di Apocalypse Now, ridando di colpo lustro al mito della band losangelina. Il ritorno di fiamma tra pubblico e band, fino ad allora sopito, contagiò soprattutto Manzarek, sempre più convinto di rappresentare l’eredità morale del gruppo e di dover spiegare chi fosse realmente Morrison, la cui figura assumeva di anno in anno connotati sempre più messianici. “Jim voleva dimostrare quanta poesia ci fosse nel rock n roll e quanto il rock n roll potesse essere il veicolo perfetto per far giungere la poesia alle masse. Non volevo che lo trasformassero in un pazzoide sexy, autodistruttivo e immorale”. Fu in questo periodo che Ray iniziò a pensare seriamente ad un libro che narrasse la sua storia, la storia della band e che mettesse in luce chi fosse davvero Jim: il successo stratosferico delle nuove pubblicazioni inerenti ai Doors, come Nessuno Uscirà Vivo Di Qui di cui uno degli autori era proprio Danny Sugerman, secondo Manzarek non facevano che spingere su un solo aspetto della sua personalità, quello più morboso e lascivo. Allo stesso tempo la voglia di novità lo spingeva ad imbarcarsi in nuovi progetti: affascinato dall’ondata Punk che aveva travolto quasi contemporaneamente Gran Bretagna e Stati Uniti, si invaghì degli X, una band di Los Angeles il cui sound presentava echi blues, country ed evidenti richiami ai Doors e ne produsse i primi quattro album. Contemporaneamente omaggiò Carl Orff, appena scomparso, con la registrazione dei suoi Carmina Burana e iniziò una collaborazione con Michael McClure, uno dei più influenti poeti della Beat Generation, che proseguì  fino alla fine dei suoi giorni. La poetica di McClure si sposava perfettamente col suo animo ancora orfano di Morrison, aiutandolo a colmare in qualche modo quel vuoto esistenziale.

ray jim

Ne nacquero diversi progetti, sempre a metà tra reading e commemorazioni di un America lontana, che mischiavano le letture che avevano ispirato Jim e Ray alla UCLA alla musica creata insieme. Questo progetto, insieme al medesimo in compagnia di Jim Carroll, aiutarono il musicista ad elaborare un lutto che sembrava impossibile da superare e gli fornirono l’energia per recuperare appieno il possesso del proprio passato, ora finalmente meno doloroso. Scrivere l’autobiografia Light My Fire fu altrettanto terapeutico, così come le iniziative sempre più frequenti che iniziarono a vederlo protagonista insieme agli ex compagni di viaggio: nonostante la delusione relativa al film biografico di Oliver Stone, che indugiava ancora sugli aspetti più selvaggi della figura di Morrison, Ray era ormai sostanzialmente convinto di aver raggiunto il suo scopo e di poter quindi passare l’ultima parte della sua carriera suonando i vecchi pezzi in compagnia di Krieger e Densmore. Reclutato l’ex Cult Ian Astbury, forse l’artista più morrisoniano uscito dagli anni ottanta, i Doors superstiti decisero di riunire le forze per far conoscere la propria musica alle nuove generazioni, ma l’idillio durò poco: Densmore non era infatti convinto che Astbury possedesse il carisma necessario ad un’operazione del genere e si mise contro i compagni. Anni di cause ne minarono per sempre i rapporti, ma non impedirono al gruppo di girare ininterrottamente per il mondo per più di dieci anni, cambiando diversi frontman. Furono registrati addirittura dei nuovi brani, rimasti negli archivi e in parte rielaborati da Manzarek per i suoi album insieme a Roy Rogers. Partito da Morrison, il percorso artistico di Manzarek era dunque tornato all’essere umano che più l’aveva affascinato, senza tuttavia averne mai biecamente cavalcato il mito e con un’ultima beffa: The Poet In Exile, un romanzo fantastico (?) basato proprio sul mito della falsa morte dell’amico. “Per tutta la vita mi sono chiesto: è davvero morto?” – spiegò nella conferenza stampa per l’uscita del film tratto dal libro. “Tutto quello che posso dire è che non lo sento e non lo vedo da quarant’anni e che mi manca moltissimo. Era un poeta. Un grande performer. Uno Sciamano. Un Dioniso per il mio Apollo. E un grande amico. Il vero Jim, l’essere umano è quello che ho provato tutta la vita a far emergere. Spero di esserci riuscito e spero possa leggere questo libro…”. Diavolo di un Ray, forse Jimbo sta piangendo la tua morte ora.