Bon Jovi Racconta ‘What About Now’

Pensare che la media dell’età dei componenti dei Bon Jovi si avvicini pericolosamente ai cinquanta, fa capire quanto il tempo passi inesorabilmente per tutti, anche per quelle band che fino a ieri sembravano composte da ragazzi nel pieno del loro vigore post adolescenziale. Ne ha fatta di strada il gruppo del New Jersey, tanto che il futuro sembra orientato più alle tematiche sociali che a quelle care all’hair metal di metà anni ottanta…

È azzardato definire What About Now il primo album politicamente impegnato dei Bon Jovi?

Direi assolutamente che non si possa parlare di azzardo, dato che i testi del disco parlano molto chiaro. What About Now è la nostra risposta al primo mandato di Obama, una valutazione sul suo lavoro, sul suo impegno e sui primi risultati evidenti tanto in termini economici che culturali. Il titolo stesso del primo singolo (Because We Can, ndr) gioca proprio con lo slogan della sua prima candidatura e credo possa essere il biglietto da visita migliore per il disco. A livello sociale, i problemi non sono certo scomparsi, basta leggere un giornale o accendere la tv per rimanere paralizzati, ma credo che rieleggerlo fosse l’unica cosa giusta da fare per dare un futuro al nostro paese. Non credo che sia la prima volta in cui ci occupiamo di politica nel corso della nostra carriera, ma forse non l’avevamo mai fatto in modo così esplicito.

La sensazione è che sia da questo punto di vista che da quello musicale, vi stiate avvicinando sempre di più a Bruce Springsteen. Un’evoluzione naturale probabilmente.

Non ho mai fatto mistero del mio amore nei confronti di Springsteen: per un ragazzo del New Jersey come me, Bruce non poteva che essere un punto di riferimento costante, anche quando le nostre sonorità potevano sembrare più distanti. I suoi testi sono sempre stati fonte d’ispirazione continua per me e forse oggi veniamo paragonati più spesso perché anche lui qualche anno fa pubblicò un album legato al presidente Obama. Probabilmente le distanze tra le nostre proposte si sono affievolite, ma un filo diretto ha sempre legato la nostra concezione di musica e se ci pensi dal vivo più volte l’energia dei nostri show è stata paragonata a quella dell’E Street Band. A tal proposito, è stato davvero emozionante ritrovarci sullo stesso palco al Madison Square Garden di New York per raccogliere fondi per i nostri concittadini devastati dall’uragano Sandy.

Per la prima volta nella vostra carriera, anche la copertina fa parlare moltissimo di sé…

Onestamente, non abbiamo mai curato molto l’aspetto visivo dei nostri album precedenti. Una volta potevamo mettere nostre foto in copertina, eravamo giovani e attraenti, ma ora siamo vecchi e la cosa potrebbe diventare controproducente! Pensa che la copertina di Slippery When Wet non era altro che un sacco della spazzatura su cui avevo scritto il titolo dell’album e che avevo lasciato davanti alla porta della nostra casa discografica…Tuttavia, fin da ragazzo, ho sempre amato perdermi con la fantasia nelle copertine degli album che compravo e volevo che per una volta ci fosse un grande progetto dietro a un lavoro dei Bon Jovi. Mi sono quindi imbattuto per caso in Liu Bolin e nella sua arte fatta di immagini che scompaiono e l’ho trovata così innovativa da voler progettare insieme a lui l’artwork. Inizialmente non accettò, visto che non lavora su commissione, ma il fatto che sua moglie fosse una fan accanita del gruppo l’ha fatto ricredere!

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