Nonostante gli anni di carriera siano ogni giorno più prossimi a diventare quaranta, l’annuncio della pubblicazione di un nuovo album di Patti Smith è sempre accompagnato da un turbinio di sentimenti: da un lato l’inevitabile curiosità che accompagna le uscite di ogni mostro sacro del rock e dall’altro la speranza che una delle autrici più influenti del secolo scorso abbia ancora qualcosa di rilevante da dire alle nuove generazioni. Pensare poi all’esiguo numero di album pubblicati dall’autrice di People Have The Power, mette sempre un po’ di malinconia: un po’ per la sensazione di aver avuto solo in parte la possibilità di attingere dall’animo di una delle figure più importanti per la cultura del dopoguerra, ma anche per l’inevitabile retrogusto di amarezza legato alle vicende personali che ne hanno segnato esistenza e carriera artistica. Lo stesso Banga, primo album di inediti da lunghissimo tempo, è un disco sofferto, ma in questo caso più per i contenuti che per il momento attraversato dalla cantante americana: la signora Smith pare ormai aver fatto pace con la vita, aver sconfitto i propri demoni e trovato un pace interiore a lungo cercata. Dotata di una gentilezza rara, in grado di mettere a proprio agio dopo pochi secondi, Patti non ha però perso quella curiosità e quella voglia di lottare per quello in cui crede, che sono da sempre il vero filo conduttore della sua poetica.
Hai definito Banga il tuo album più influenzato dalla cultura del nostro paese.
Senza alcun dubbio. Ho da sempre un rapporto molto profondo con il vostro paese, tanto che negli ultimi anni vi ho abitato per periodi dell’anno. Ad Arezzo, in particolare, ho talmente tante persone care da non poter stare troppi mesi senza doverci fare ritorno. Parte del nuovo album è stato registrato proprio lì insieme ai ragazzi della Casa Del Vento, con i quali vivo praticamente in simbiosi da un paio d’anni e che infatti compaiono in diversi brani del disco. Nessun paese è riuscito ad eccellere in tanti campi come l’Italia: pittura, architettura, scrittura, cinema e musica. In particolare, per la musica mi riferisco a Puccini e a Giuseppe Verdi: quando ero piccola ascoltavo esclusivamente artisti come Bo Diddley, Little Richard, Verdi e Puccini; guardavo solo film provenienti dal vostro paese ed ero ossessionata dai dipinti dei grandi artisti italiani di tutte le epoche. Credo che nessun pittore, al di fuori di quelli nati in Italia, sia riuscito a mettere su tela i temi della cristianità con quell’umanità: se si presta attenzione, si vede che nello sguardo dei personaggi ritratti è insita la consapevolezza del proprio destino e questa è una prerogativa dei pittori italiani, della loro sensibilità. Penso a Leonardo Da Vinci, a Piero Della Francesca, ma gli esempi potrebbero essere centinaia. Tra i contemporanei il mio pittore preferito è Marco Tirelli. Della stessa sensibilità è permeata l’intera opera di Puccini: lui è lo Smokey Robinson delle arie, c’è molta Motown nella sua musica. Basta avere in casa un semplice greatest hits per rendersi conto di quanto ogni aspetto della nostra vita sia presente nella sua musica: essere innamorati, abbandonati, aver paura o essere arrabbiati, tutto il range delle nostre emozioni è racchiuso nelle sue arie. È sbalorditivo. Poi siete la patria di Francesco d’Assisi, l’esempio più eclatante di purezza nella storia dell’umanità. Potrei parlare per anni del mio rapporto con la vostra cultura.
In effetti Amerigo, Seneca, ma soprattutto Constantine’s Dream sono la conferma di quello che ci hai appena confessato.
Amerigo, chiaramente dedicata a Vespucci, è un vero e proprio racconto della scoperta del nuovo continente e per questo motivo ho deciso di alternare strofe recitate ad altre cantate, in modo da immergere totalmente l’ascoltatore nel mood del brano e di farlo sentire protagonista dell’avventura dell’esploratore. Seneca è una ninna nanna scritta per il mio figlioccio mentre mi trovavo sulla Costa Concordia insieme a Jean-Luc Godard, che stava girando Film Socialisme, mentre Constantine’s Dream è senza ombra di dubbio il brano centrale dell’intero album. Confesso di averne completamente improvvisato il testo in studio, mentre Lanny Kayne mi faceva sentire una melodia che credeva potesse essere perfetta per un reading all’interno di un’abbazia. Partendo dalla grandezza e dalla drammaticità del famoso dipinto di Piero della Francesca, faccio riferimento all’imperatore Costantino, a Cristoforo Colombo e San Francesco D’assisi, per arrivare infine ad un’amara riflessione sul materialismo.
Perché allora hai scelto After The Gold Rush di Neil Young per concludere l’album?
Non volevo che il disco terminasse con un testo apocalittico come quello di Constantine’ Dream: un testo molto dark, come del resto il mood dell’intera canzone, che temevo potesse lasciare un senso di sgomento nell’ascoltatore. Di colpo ho pensato alla prima strofa del brano di Neil Young: “Well, I dreamed I saw the knights in armor…” e ho capito che era perfetto. Anche lui parla di un sogno e lo fa con lo stesso linguaggio del mio brano, ma senza quel senso di angoscia di cui ti parlavo. Inoltre, Neil ci ricorda che abbiamo tirato troppo la corda nei confronti della natura, che spesso ci presenta il conto in modo drammatico e devastante, ma mi è sempre piaciuto il fatto che il brano si concludesse con un enorme senso di speranza nel futuro. Quello che ho io anche in questo momento così drammatico per gran parte del mondo.
Quando hai scritto This Is The Girl?
Alla fine delle registrazioni di Banga. Eravamo agli Electric Lady Studios e stavamo ormai lavorando sulle sovraincisioni di chitarra, quando abbiamo appreso la notizia della morte di Emi Winehouse. Istintivamente mi sono messa a scrivere qualche strofa, ma senza l’intento di farne una canzone, anche perché ormai eravamo alla conclusione dei lavori. Poi il mio bassista, Tony Shanahan, già autore di April Fool, Amerigo e Maria, mi disse che aveva ancora un brano da farmi sentire: d’istinto dissi di no, perché volevo assolutamente concludere il disco, ma poi mi accorsi che le mie liriche si sposavano alla perfezione con la delicatezza del brano. Ogni mia parola, ogni mia pausa sembrava pensata per quella musica. A quel punto non registrarla sarebbe stato davvero stupido, quindi in pochissimo tempo l’abbiamo incisa e inserita nella tracklist. Non l’ho mai incontrata di persona, ma da cantante ti posso dire che era fantastico trovare in una ragazza così giovane un’anima musicale così vicina a quella della mia generazione. Oltre ad essere l’ultima voce ad aver creato un intero genere. Può essere vista come una sorta di preghiera in musica, una ballata per una giovane artista, che con la sua arte ha dimostrato che si può ancora dire qualcosa di nuovo utilizzando vecchi linguaggi. Talvolta l’arte riesce a sconfiggere i propri demoni, ma purtroppo non in questo caso.
A molti verrà in mente About A Boy dedicata a Kurt Cobain…
Talvolta l’arte riesce a sconfiggere i demoni di chi ne diventa veicolo, ma in alcuni casi, purtroppo, finisce per acuirne i dolori. Parliamo di due tragedie immense, due ragazzi di ventisette anni scomparsi in modo apparentemente diverso, ma a ben vedere frutto di problematiche molto simili. Per entrambi possiamo parlare tanto di autodistruzione, quanto di suicidio. Pensare che Kurt si sia ucciso con le proprie mani e che la morte di Emy sia stata invece accidentale sarebbe ipocrita. Entrambi hanno dato molti segnali prima della fine, che chi stava loro vicino forse non è riuscito a cogliere. D’altra parte non è mai facile farlo quando la situazione è vissuta in prima persona e, in ogni caso, è troppo facile banalizzare argomenti di questo tipo.
Grazie alla tua capacità di fondere due mondi apparentemente opposti, sei riuscita a dimostrare quanto rock n roll ci fosse nella poesia e quanta poesia nel rock n roll. In pratica sei stata in grado di realizzare il più grande sogno di Jim Morrison.
Jim fu la mia più grande fonte d’ispirazione quando iniziai, così come artisti quali Jimi Hendrix e John Coltrane. L’idea di poter comunicare alle masse attraverso la fusione tra poesia e musica rock era molto radicata nei leader della mia generazione e la cosa mi toccò profondamente fin da quando ero un adolescente. Per questo quando Jim morì capimmo che quell’idea non poteva morire con lui, che avremmo dovuto portare avanti il suo discorso. Per quanto mi riguarda, ci ho provato con tutta me stessa e sono onorata di aver raccolto il testimone da un’anima così grande.
Jim voleva essere ricordato come un poeta, non come una rockstar. La musica gli serviva come mezzo per portare alla massa le sue liriche. Tu da questo punto di vista dove ti collochi?
Jim era un poeta. Non sei un poeta solo se qualcuno lo attesta in qualche modo, lo sei a prescindere. Penso spesso a lui. Ogni volta in cui entro in una libreria e vedo le sue poesie tra quelle di Rimbaud e Baudelaire mi si apre il cuore, perché penso: “alla fine sei riuscito a raggiungere il tuo scopo, Jim”. Io vorrei essere ricordata come una persona che ha lavorato bene nella vita. Mi piace pensare a me come ad una lavoratrice, non potrei mai dirti che sono una poetessa, una scrittrice, una cantante, una moglie o una mamma. Lavoratrice è il termine che mi piace di più.
Forse mi sbaglio, Si avverte qualcosa che riconduce ai Doors in Nine…
Cool! È la chitarra a dodici corde di Tom Verlaine a darle quel mood così particolare, che rimanda anche ai Byrds. Credo che il suo lavoro sul brano sia assolutamente geniale e dimostra nuovamente il talento di un artista spesso sottovalutato. Pensa che è entrato in studio, ha sentito il brano e ha improvvisato l’assolo come se lo provasse da una settimana. È una canzone a cui sono molto legata: oltre ad essere una delle due di cui ho composto sia la musica che le liriche, come si evince dalla semplicità degli accordi, rappresenta il mio personale regalo di compleanno per Johnny Deep. Johnny non è solo l’attore più dotato della sua generazione, ma una delle persone più belle che abbia mai conosciuto.su un brano che, in sostanza, è davvero semplice, rendendolo qualcosa di simile ad un brano della fine degli anni sessanta. Si sentono anche echi dei Byrds. È la chitarra a dodici corde a rimandare subito a certo sonorità.
Molti non sanno che nei primi anni settanta avresti potuto diventare la cantante dei Blue Oyster Cult.
Lo scopro ora anche io! A parte gli scherzi, è vero, ne abbiamo parlato per diverse settimane, ma alla fine giunsi alla conclusione che non era la band che faceva per me in quel momento. In primis perché ero la compagna di Allen Lanier, il bassista della band, e non volevo mischiare la mia vita privata con quella della band e poi perché la mia poetica si sposava solo fino ad un certo punto con la loro. Devo dire però di amare molto i brani che scrissi insieme a loro. Non erano certo una band come se ne potevano trovare molte all’epoca: scrivevano di tematiche che nessuno osava affrontare e che ancora oggi mettono i brividi e la collaborazione con Sandy Pearlman si rivelò fondamentale in questo senso. Sandy era semplicemente un genio, stargli vicino significava essere bersagliati da continui spunti intellettuali su cui costruire interi mondi. Infine, musicalmente parlando, erano mostruosi: tutti polistrumentisti, pieni di idee inusuali ed avveniristiche.
Credi ancora che il rock n roll possa cambiare il mondo?
Penso che le persone possano cambiare il mondo. Penso che il rock n roll possa far capire qualcosa che magari le persone hanno dentro ma non sanno di possedere. Credo che la musica possa essere ancora un veicolo molto importante per le nuove generazioni. La globalizzazione ha portato persone lontane migliaia di chilometri ad utilizzare lo stesso oggetto o a conoscere la stessa cosa. Spesso però cose di estrema futilità o del tutto stupide. Il messaggio culturale che deve passare è ancora lo stesso che arrivò a me, adolescente del New Jersey, una terra senza cultura, dove tutto quello che apprendevo arrivava dalla radio. La radio mi diceva cosa fosse la guerra in Vietnam e perché decine di persone come me perdevano la vita per una causa ignobile o per protesta verso un governo criminale. Le radio mi facevano sentire Ohio di Neil Young, davano uno scopo alla mia esistenza. Per questo una canzone non può cambiare il mondo, ma può spingere le persone a farlo.