Ormai l’opinione pubblica concorda sul fatto che avere genitori illustri possa essere una fortuna esclusivamente dal punto di vista del tenore di vita, ma non per tutti coloro che vogliono intraprenderne la strada. In ogni ambito, tanto più in quello musicale, è infatti spesso una condanna quella di essere “figlio di”, specie se quel “di” è un membro dei Led Zeppelin. Per sua fortuna, la stampa mondiale ha smesso da molti anni di considerare Jason Bonham soltanto come il figlio del grande John. Essere l’erede di un’artista simile (e qui parliamo del più grande batterista rock della storia) non è cosa facile: i paragoni sono all’ordine del giorno, le pressioni il pane quotidiano e le nevrosi continue. Jason è sopravvissuto a tutto questo, riuscendo persino nell’impresa più ardua di tutte: suonare nel gruppo che rese celebre il proprio padre senza risultare patetico. Da metà degli anni ottanta in poi, infatti, Jason ha preso parte alle (poche) reunion dei Led Zeppelin, l’ultima delle quali all’O2 Arena pochi anni fa e sempre senza sfigurare né tanto meno scimmiottare l’illustre genitore. Il suo presente, però, si chiama Black Country Communion, il supergruppo formato insieme a Glenn Hughes, Joe Bonamassa e Derek Sherinian.
Avete deciso di fare un tour mondiale solo dopo il secondo disco. I fan non vedevano l’ora di vedervi dal vivo!
Sì abbiamo fatto qualche concerto sporadico, ma volevamo avere più materiale da proporre durante il nostro show. Devo ammettere che ci siamo divertiti, facevamo molte più cover che durante questo tour e questo non era per forza di cose un male. Ora però è diverso, possiamo suonare per due ore materiale tutto nostro, per una band è fondamentale.
In effetti il rischio di diventare un supergruppo di cover era molto alto, visti gruppi di provenienza tuoi e di Glenn…
Assolutamente sì ed era l’ultima cosa che volevamo. A quel punto tanto valeva proseguire ognuno per la propria strada! La cosa fantastica è che, pur avendo mantenuto tutti i nostri progetti solisti, i Black Country Communion sono diventati immediatamente il main project di ognuno di noi, tanto che stiamo già pianificando il futuro. Stiamo pensando ad un album dal vivo e fra non molto uscirà un dvd.
Il secondo album sembra più dark rispetto al primo, soprattutto a livello di liriche. Sei d’accordo?
Sì è vero, i testi di Glenn sono di sicuro meno positivi che in passato, probabilmente per via di un momento difficile attraversato. Devo dire che in questo album è presente il pezzo che più mi mette i brividi del nostro repertorio, Cold. Parla della morte ed ogni sera, da quando attacco fino alla fine del brano, non riesco a non emozionarmi.
Pensi che il brano possa essere stato ispirato dalla scomparsa di Ronnie James Dio?
Non lo so, sinceramente, ma credo che ogni volta che Glenn scrive una canzone, lo faccia solo per se stesso e pensando a come sta nel momento in cui la compone. Ognuno vuole trovare significati nascosti dietro un brano o leggerci chissà quale contenuto particolare, ma credo sia sbagliato e porti a snaturare la canzone stessa. Steven Tyler un giorno mi disse che MTV aveva rovinato la capacità di immaginare le cose, perché ha iniziato a farcele vedere.
Hai parlato di Steven Tyler. Abbiamo saputo che dopo la reunion dell’O2 Arena avrebbe potuto diventare il nuovo cantante del gruppo.
Preferirei dire il nuovo cantante di un nuovo gruppo. Il cantante dei Led Zeppelin è e rimarrà sempre Robert, quello che sarebbe potuto nascere era un nuovo progetto, altrettanto ambizioso, ma totalmente nuovo. Nessuno di noi voleva utilizzare il marchio, sarebbe stato stupido. Stevie è un ragazzo stupendo (ha 63 anni ndr) ed è uno dei più grandi di sempre, ma ad un certo punto ci ha detto: “Ragazzi non posso farlo, io ce l’ho già una band, devo tornare da loro”. Probabilmente il rischio era troppo per tutti, ma durante le prove ci siamo divertiti moltissimo.
Come ti sei sentito la prima volta in cui Jimmy Page e Robert Plant ti chiesero di unirti al gruppo?
Dentro di me troppe emozioni convivevano per poterle sopportare: ero davvero orgoglioso che me l’avessero chiesto, ma allo stesso tempo temevo di non esserne in grado. Subito dopo subentrò la tristezza: il fatto che ci fossi io, significava che mio padre non c’era più. Non mi lasciai influenzare da tutti i dubbi e lo feci. Pensavo non sarebbe più successo da allora e invece il destino mi ha dato ancora un paio di occasioni, ma continuo a pensare che quel gruppo non fossero i Led Zeppelin.
Cosa ricordi della tua infanzia con tuo padre?
Io ero un bambino, per me era semplicemente mio papà. Non capivo tutta la gente che lo idolatrava, non potevo farlo. Per me era la persona con cui giocavo, che mi portava al parco. Solo dopo anni ho capito tante cose, quando sono diventato padre a mia volta. Spesso mia figlia viene fermata dai compagni che le dicono quanto sia cool suo padre e lei risponde: “Ti sbagli, non lo è affatto!!”. Come vedi, la storia si ripete!