Difficile scegliere chi fosse l’headliner di una delle serate di punta di uno dei migliori festival italiani degli ultimi dieci anni: un redivivo (settantottenne) John Mayall con i suoi Bluesbreakers o quella forza della natura di nome Black Country Communion. L’hanno spuntata i secondi, forti di un album appena uscito e dal clamore suscitato dalla loro prima venuta sul suolo italico, ma molti dei presenti a Vigevano attendevano solo l’arrivo del vecchio blues man. I suoni davvero ottimi (non sembra nemmeno di trovarci in Italia) aiutano un ispiratissimo Mayall a suonare come se le primavere fossero molte di meno, con una carica ed un groove che solo alcuni artisti riescono a regalare. I musicisti che lo accompagnano sono eccezionali: la sezione ritmica composta da Greg Rzab e Jay Davenport è praticamente perfetta e la chitarra di Rocky Athas mantiene le coordinate blues essenziali per un concerto di questo calibro. Il risultato è proporzionale al valore messo in campo.
Terminato lo show di Mayall, ecco che il pubblico inizia ad inneggiare ai BCC, forse la rivelazione classic rock più grande degli ultimi quattro o cinque anni. Quando un anno fa Glenn Hughes dichiarò di aver messo in piedi un progetto insieme a Joe Bonamassa, Derek Sherinian e Jason Bonham, qualcuno pensò all’ennesima stravaganza di un musicista annoiato. Peccato che Hughes non sbagli un colpo da diversi anni. A distanza di dodici mesi e due album da studio, eccoci quindi ad attendere trepidanti uno degli show più attesi degli ultimi tempi: l’inizio è folgorante, con la splendida “Black Country” ad accogliere il pubblico di Vigevano; è poi il momento della trascinante “One Lost Soul” che lascia poi spazio a “Crossfire”. La band è un martello pneumatico, in cui spiccano le classiche movenze dell’ex Purple, ma dove col passare del tempo tutti trovano la propria dimensione. Bonamassa si dimostra musicista di un altro livello e tiene benissimo anche le parti cantate che gli vengono “cedute” da Hughes; Bonham può finalmente liberarsi del fantasma del padre e dimostrare quanto vale, mentre forse è solo Sherinian a rimanere un po’ più isolato. Come su disco, d’altra parte. Le sorprese non mancano, come la splendida “The Ballad Of John Henry”, cantata dal proprio autore o la toccante “Cold”, pezzo incentrato sul tema della morte e in grado di far venire i brividi a chiunque (Jason Bonham compreso, come ci ha confessato in una splendida intervista). Inevitabili i bis sulle note di “Man In The Middle”, preludio all’attesissima “Burn” che non sarà un pezzo dei Black Country Communion, ma non importa a nessuno. Long Live Rock N’ Roll.